Tennis

Tomáš Berdych, il primo degli esseri umani

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Era il 4 Luglio 2010, a Londra splendeva un insolito sole e il tempio del tennis mondiale, il Centre Court di Wimbledon, era pronto a ospitare la finale dell’edizione n. 124 del torneo maschile. A sfidarsi c’era da una parte il fortissimo spagnolo e n.2 al mondo Rafael Nadal, mentre dall’altra il ceco rivelazione di quell’anno Tomáš Berdych. Tennista dal fisico imponente, alto 196 cm per 81 kg e capace in quel torneo di battere Federer e Djokovic in successione, rispettivamente in quarti e in semifinale. I bookmakers e tutte le più importanti testate giornalistiche naturalmente danno per favorito Nadal, già una volta campione a Wimbledon a differenza del ceco alla sua prima finale slam. La partita inizia e il copione non delude le attese, Nadal che rincorre qualsiasi cosa gialla che gli passi di fianco e Berdych che insiste di sfondamento. Peccato per Tomáš che stavolta i colpi di sfondamento non bastano, il primo parziale infatti si conclude 6/3, il secondo 7/5 e il terzo dopo poco più di due ore 6/4. In tutto il centrale di Wimbledon, tra gli applausi del pubblico, risuona la voce dell’arbitro che al microfono dice: “Game, set and match Nadal “. Lo spagnolo esulta sdraiandosi sul prato verde di Wimbledon e a Tomáš rimane solo da congratularsi con il suo avversario.
Chissà quante volte Berdych avrà ripensato a quei momenti e avrà rigiocato nella sua mente quella partita, che poi rimarrà l’unica finale slam della sua carriera. Molti penseranno un’ occasione persa, forse sì, anche perché non capita tutti i giorni di giocare una finale di Wimbledon e soprattutto di battere nello stesso torneo Federer e Djokovic. Allo stesso tempo bisogna però considerare che Tomáš giocò quel match contro una macchina da guerra, che probabilmente neanche dopo cinque ore avrebbe potuto perdere quella finale. Pochi rimpianti, dunque, per il ceco, che infatti anche a fine partita fa i complimenti al suo avversario e mostra una certa soddisfazione per aver raggiunto la finale e aver giocato uno straordinario torneo.

Perché alla fine questo era Tomáš Berdych, un tennista sportivo, leale e silenzioso, che non amava essere al centro dell’attenzione. Per alcuni fin troppo calmo e silenzioso, tant’è che alcune volte veniva accusato di avere poca cattiveria agonistica per questo suo atteggiamento. Ma lui era proprio così, un personaggio genuino del mondo del tennis e che amava parlare con i fatti e con i suoi colpi, più che con le parole. Colpi potentissimi, piatti e con poca rotazione, ma penetranti al massimo. Non era di sicuro il tennista che ti faceva dire wow dopo uno scambio, ma era concreto ed efficace nel suo modo di giocare. Eccome se era efficace, chiedetelo ai suoi avversari che dovevano scendere in campo con gli scudi per ripararsi dalle sue prime di servizio da più di 230 km/h. D’altronde 15 titoli in carriera, tra cui il Masters Mille di Parigi-Bercy e due Davis, non si vincono per caso. Come non si raggiungono per caso una semifinale agli Us Open, al Roland Garros e alle Atp Finals, due agli Australian Open e appunto la finale a Wimbledon. Il 18 Maggio 2015, inoltre, ha raggiunto la posizione n. 4 al mondo dietro solo mostri sacri come Djokovic, Federer e Murray. Una carriera, dunque, di più di 980 partite a livello Atp con moltissime soddisfazioni e forse l’unica colpa, non sua, di esser nato nell’epoca dei “ fantastici quattro”: Federer, Nadal, Djokovic e Murray.
Purtroppo da qualche anno il fisico, fondamentale nel suo gioco, non regge più come una volta e soprattutto un problema all’anca sta dando parecchio fastidio. Infatti, il gigante ceco da tempo non ottiene più i risultati di una volta ed è scalato addirittura alla posizione n. 103 nel ranking Atp. All’età di 34 anni così in questi giorni, a Londra, Tomáš molto probabilmente saluterà per sempre il mondo del tennis, sempre con il suo solito sorriso, e sarà ricordato da tutti come il primo degli essere umani dopo gli alieni Federer, Djokovic, Nadal e Murray.

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Simone Caravano
Simone Caravano 22 anni, laureato in Scienze delle Comunicazioni presso l'università degli studi di Pavia. Attualmente studente della laurea magistrale in giornalismo dell'università di Genova. Credo che lo sport sia un mondo tutto da scoprire e da raccontare, perché offre storie uniche ed emozionanti. Allora quale modo migliore esiste per fare ciò, se non attraverso la scrittura.

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