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Utah Jazz “Stockton to Malone” – Gli eterni incompiuti

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Del periodo che va tra il 1996 e il 1998, la maggior parte delle persone si ricorda soltanto degli inimitabili e leggendari Chicago Bulls, guidati da Michael Jordan, coadiuvato da Scottie Pippen e Dennis Rodman. I più attenti, e appassionati, avranno sicuramente messo i propri occhi sull’altra squadra, gli Utah Jazz. La squadra di Salt Lake City poteva contare su giocatori del calibro di Karl Malone e John Stockton, due dei giocatori più forti dell’intera storia della lega. Nonostante il potenziale a loro disposizione, non sono riusciti nella difficile impresa di sconfiggere la franchigia dell’Illinois.
Andiamo a scoprire meglio i “Jazz” delle due finals consecutive.

Utah Jazz 1996-1997 – ©nba.com

 

Roster Utah Jazz 1996-1997
40 Shandon Anderson SG
55 Antoine Carr PF
10 Howard Eisley PG
44 Greg Foster C
14 Jeff Hornacek SG
43 Stephen Howard SF
31 Adam Keefe C
32 Karl Malone PF
34 Chris Morris SF
30 Ruben Nembhard SG
00 Greg Ostertag C
3 Bryon Russell SF
12 John Stockton PG
22 Brooks Thompso PG
15 Jamie Watson S
Quintetto più utilizzato: J. Hornacek | K. Malone | G. Ostertag | B. Russell | J. Stockton
Legenda: PG= Playmaker SG= Guardia tiratrice SF= Ala Piccola PF= Ala Grande C= Centro

Stagione 1996-1997

Record: 64-18, 1st in NBA Midwest Division
La regular season fu archiviata con un ottimo record di 64 vittorie e 18 sconfitte, che valsero il primo posto nella Nba Midwest Division, attiva dagli anni 70 fino al 2003/2004. La divisione comprendeva squadre di buon calibro, come Dallas Mavericks, Denver Nuggets, Houston Rockets, Vancouver Grizzlies, Minnesota Timberwolves e i San Antonio Spurs.

Gli Utah Jazz erano consapevoli delle loro capacità e del loro obiettivo. La squadra dello Utah arrivava dal secondo post della “Mid-West Division” e dalla sconfitta alle finali di Conference, rimediata dai Seattle Sonics, per 4-3. Successivamente, i Sonics persero in finale contro i soliti Bulls, nonostante la presenza di Gary Payton, Shawn Kemp e Detlef Schrempf. Quest’ultimo, meno conosciuto, è stato 3 volte “All-Star” e 2 volte, “sesto uomo dell’anno”.

Tornano ai nostri cari “Jazz”, confermarono Jerry Sloan come loro coach, mentre rafforzarono il proprio roster con Shandon Anderson (pick n.56 del Nba Draft del 1996), Ruben Nembhard, Brooks Thompson e Stephen Howard, che servirono a fortificare la “second unit”.

Come avrete notato dal record, la squadra di Jerry Sloan ottenne facilmente l’accesso ai play-off, migliorando il risultato della stagione precedente, piazzandosi al primo posto della propria division.

Inoltre, i giocatori più importanti ottennero premi individuali al termine delle stagione regolare. Karl Malone vinse il MVP (Most Valuable Player), terminando anche nel primo quintetto Nba (All-Nba First Team) e in quello difensivo (Nba All-Defensive First Team).
Mentre John Stockton rientrò nel terzo quintetto di tutta la Nba (All-Nba Third Team) e nel secondo quintetto difensivo (Nba All-Defensive Second Team).

Il primo turno dei play-off li vide sfidarsi contro i Los Angeles Clippers, contro cui ottennero un agevole 3-0.

Nelle semifinali della Western Conference, incrociarono i Los Angeles Lakers di “Shaq”, appena arrivato dagli Orlando Magic, e dei giovani Derek Fisher e Kobe Bryant, appena diciottenne, alla prima esperienza nei play-off. I Jazz lasciarono poco e nulla alla truppa giallo-viola, portandosi a casa la finale di Conference, con un netto 4-1.

Nella finale di Conference, sfidarono gli Houston Rockets. La squadra texana poteva contare sul talento di Charles Barkley, la fisicità di Olajuwon, oltre che sul completo Drexler, guardia tiratrice, dotata di grande atletismo e qualità difensive. Il duo Malone-Stockton riuscirono a condurre la franchigia dello Utah alle “Nba Finals”, registrando entrambi più di 20 punti di media.

Infine, ebbero la sfortuna di competere contro i Chicago Bulls, i quali non necessitano alcuna presentazione. La franchigia dell’ Illinois partì fortissimo, portandosi a casa le prime due sfide. Nonostante ciò, Malone e compagni reagirono, vincendo entrambe le sfide successive. La reazione d’orgoglio non bastò a contenere la forza dell’armata rossa. MJ decise di vincere le combattutissime gare 5 e 6, realizzando rispettivamente 38 e 39 punti. In particolare, l’ultima sfida arrivò al risultato di 86 ad 86 a circa 20 secondi dal termine. Possesso per il Bulls, a pochi secondi dal termine, Jordan viene raddoppiato, scarico per Steve Kerr, tiro in sospensione e il Delta Center di Salt Lake City esplode. Una giocata che valse un titolo.
Nonostante il triste epilogo, rimane la miglior stagione della storia della franchigia.

Roster 1997-1998
40 Shandon Anderson SG
55 Antoine Carr PF
45 William Cunningham C
10 Howard Eisley PG
44 Greg Foster C
14 Jeff Hornacek SG
25 Troy Hudson PG
31 Adam Keefe C
32 Karl Malone PF
34 Chris Morris SF
0 Greg Ostertag C
3 Bryon Russell SF
12 John Stockton PG
11 Jacque Vaughn PG
Quintetto più utilizzato: G. Foster | J. Hornacek | K. Malone | B. Russell | J. Stockton

Stagione 1997-1998

Gli Utah Jazz si presentarono ai nastri di partenza con un roster simile all’anno prima, mentre alla guida rimase il confermatissimo Jerry Sloan. Lasciarono i Jazz: Howard, Nembhard, Thompson e Watson. Al contrario, fecero parte del roster della seguente stagione: Cunningham e Vaughn.

Per quanto riguarda il centro, la sua esperienza a Salt Lake City durò poco, trasferendosì ai “Sixers” (Philadelphia 76ers) all’interno della medesima stagione. Mentre il playmaker statunitense ha giocato 4 anni con la canotta degli Utah Jazz. Il nuovo “play” venne scelto come pick n.27 al NBA Draft del 1997 ed ottenne il ruolo di vice-Stockton.

La franchigia dello Utah registrò nuovamente un ottimo record (62-20), che gli permise di arrivare nuovamente primi all’interno della Mid-West division, nonostante l’assenza inziale di Stockton, che a causa di un infortunio al ginocchio, saltò le 18 partite introduttive della regular season.

Nel primo turno dei play-off incontrarono nuovamente i temibili Houston Rockets, riuscendo a batterli 3-2, grazie all’ennesima grande prestazione di Karl Malone, che registrò ben 26 punti e 12 rimbalzi di media.

Alle semifinali di Conference, sfidarono i San Antonio Spurs di Greg Popovich e del rookie Tim Duncan, che registrò numeri impressionanti alla sua prima esperienza “play-off”, come ben 21 punti di media. La serie terminò 4-1 per i Jazz, che ottennero nuovamente l’accesso alle finali di Conference, dove incontrarono nuovamente i Los Angeles Lakers di Shaquille O’Neal.
La serie terminò col risultato di 4-0, lasciando spazio a ben poche interpretazioni.

Arrivarono così alle “Nba Finals”, dove trovarono nuovamente ad attenderli i Chicago Bulls di Michael Jordan. Nulla poterono contro “The Last Dance” della squadra più forte degli anni 90 e non solo.
Gli Utah Jazz ci provarono fino in fondo, arrivando fino a gara 6, dove furono sconfitti per un solo punto.
Emblematica l’ultima azione targata Bulls, con MJ che strappa la palla dalle mani del suo rivale, Karl Malone, isolamento nell’altra metà campo, crossover su Byron Russell, arresto e tiro. Due punti decisivi per la franchigia dell’Illinois, che si porterà a casa l’ennesimo titolo.

Focus sul duo “Stockton to Malone”

Karl Malone e John Stockton – ©nba.com

Karl Malone

Il suo talento vinse sulle sfortune avute da piccolo, come la scomparsa del padre a 3 anni e la nascita in una delle zone più povere della Louisiana. Si mise in mostra nella Louisiana Tech, squadra collegiale locale. Successivamente, fu scelto dagli Utah Jazz con la pick n.13 al NBA Draft del 1985. Da qui iniziò la sua storia d’amore con la squadra di Salt Lake City, che durò fino al 2003, per poi trasferirsi ai Lakers, per la sua ultima stagione da giocatore di basket. A Los Angeles provò a regalarsi l’unica soddisfazione mancante alla sua carriera, l’anello. Non arrivò nemmeno quell’anno, complice la sconfitta nelle Nba Finals causata dai Detroit Pistons. Considerato l’ala grande più forte di tutti i tempi, ha vinto vari trofei, come quello di MVP della regular season e dell’All-Star game, e ha fatto parte di numerosi quintetti NBA. Inoltre, ha registrato molti record, concludendo la sua carriera come secondo marcatore della storia della lega americana, davanti a LeBron James e dietro a Kareem Abdul-Jabbar. Come premio alla sua carriera e al suo percorso con i Jazz, la sua canotta n.32 è stata ritirata nel 2006 dalla stessa franchigia, mentre dal 2010 fa parte della “Naismith Memorial Basketball Hall of Fame”. Infine, gli fu dato il soprannome di “Postino”, per la costanza di rendimento.

John Stockton

Al contrario del “postino”, John non ha vissuto un percorso triste e difficile, il quale terminò nella “Gonzaga University”. Nel 1984 si rese eleggebile per il Draft, dove venne scelto dagli Utah Jazz, alla scelta n.16. Proprio lì, a Salt Lake City, rimase finò al 2003. Nella sua carriera ha vestito solamente dei colori, quelli degli Utah Jazz. Secondo gli esperti, è considerato uno dei playmaker più forti della storia del gioco, grazie al suo IQ cestistico e la sua intensità. Queste qualià gli hanno permesso di detenere il record per il maggior numero di assist e palle rubate, oltre che molte apparizioni nei quintetti NBA. La franchigia di Salt Lake City gli ha reso merito, ritirando la sua canotta, la n.12, nel 2004. Mentre nel 2009 è entrato a far parte della “Naismith Memorial Basketball Hall of Fame”.

Gli Utah Jazz avrebbero meritato senz’altro un anello, ma sulla loro strada si sono messi i Chicago Bulls di Michael Jordan. Nulla hanno potuto contro la forza avversaria, nonostante ciò è ricordata come una delle squadre più talentuose della storia. Ma si sa, la storia la fanno i vincitori, la squadra dello Utah rimarrà in eterno, incompiuta.

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Mirko Guarducci
Motorsport Addicted, 2 or 4 wheels doesn’t matter.

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