Che si sia marocchini o meno, è difficile tutt’oggi togliersi dalla testa il rumore che fece la favola del Marocco durante il Mondiale in Qatar. Una vera e propria scheggia impazzita capace di trafiggere potenze mondiali come Spagna, Belgio e Portogallo e di trascinarsi contro ogni aspettative alle semifinali di una Coppa del Mondo, impresa storica che non era mai accaduta per una nazionale africana o araba.
La magia, che invase anche l’Italia, ricolma di maglie rosse di quel dicembre 2022 ormai è rimasta alle spalle, e mentre nella testa di tutti coloro che seguono il calcio il Marocco ha assunto connotati più intriganti, molti continuano a chiedersi che fine abbia fatto quella nazionale che ha esaltato il mondo per quelle settimane? Di sicuro quello che c’è da sottolineare è che l’impresa dei Leoni dell’Atlante non è figlia del caso. Il paese nordafricano è arrivato a quella semifinale compiendo scelte e ragionando in maniera diversa da altre nazioni intercontinentali. Eppure, le vere soddisfazioni, sembrano tutt’altro che prossime…
Embed from Getty ImagesDa Salé Ad Al Khor: il ruggito dei leoni
Se oggi tutti i marocchini possono orgogliosamente dire di essere arrivati in una semifinale mondiale, molto lo si deve alle scelte che vennero fatte nel lontano 2009, quando a Salé, a pochi chilometri dalla capitale Rabat, veniva aperto il centro sportivo Mohammed VI, un gioiello unico nel suo genere nel continente africano, portato avanti da Nasser Larguet, una delle menti più importanti dietro l’ascesa dei Leoni dell’Atlante.
Sì, perché il Marocco si aggiunge alla lunga lista di paesi in via di sviluppo, dove il calcio per le strade è una costante, un pilastro innegabile della cultura marocchina, dove per molti giovani la strada sportiva, purtroppo, è spesso l’unica via per uscire dalle difficoltà.
E per un paese come il Marocco, poter contare su un centro sportivo mirato alla crescita dei giovani talenti, è un investimento che può fare la differenza. Ce lo raccontano Youssef En-Nesyri, attaccante del Siviglia, Aguerd, ex West Ham e su tutti il gioiellino rivelazione di quella compagine in Qatar, Azzedine Ounahi, tutti figli di quel centro sportivo di Salé che estrapolò fino in fondo i loro potenziali, permettendogli lo slancio verso il palcoscenico europeo.
Ma se da una parte in patria i dirigenti marocchini sono riusciti finalmente a sfruttare il loro vero potenziale, l’arma in più che il Marocco ha magistralmente usato è stata proprio la diaspora europea che per decenni ha avuto. Qui, forse, si è fatta la vera differenza, andando a combattere contro il tempo per portare dalla loro quei talenti che, in molti casi, finivano nelle nazionali europee. I casi più eclatanti quelli di Achraf Hakimi e Hakim Ziyech, uno nato in Spagna e l’altro in Olanda e portati in nazionale rispettivamente a diciassette e a ventidue anni, battendo sul tempo le nazionali nella quale erano nati. Una giocata geniale, considerato come alla corte di Regragui sono giunti giocatori figli delle migliori giovanili del mondo e capaci di portare quel qualcosa in più che a una nazionale del genere serviva.
Infine, l’ultima pedina necessaria era proprio il ct, Walid Regragui, ennesimo figlio della diaspora (essendo nato a Parigi), che proprio per questo motivo è stato capace di sventare la minaccia di portare al mondiale un gruppo forte, sì, ma che fosse poco unito, incapace davvero di combattere per una bandiera che, per molti dei convocati, è stata soltanto quella dei genitori.
Ma è stato forse proprio quel senso di appartenenza che i “Figli dell’Europa” hanno provato ad aver dato quella spinta in più, quel sacrificio che ha coronato quella che resta l’impresa più grande dei Leoni dell’Atlante.
Lo sbadiglio del Leone: la Coppa d’Africa 2024
Al tramonto di quel mondiale, dopo la sconfitta nella finale terzo/quarto posto per mano della Croazia, il ct Regragui lanciò subito la sfida in avanti: la conferma, per quella nazionale, doveva arrivare in Costa d’Avorio, durante la Coppa d’Africa. Era necessario vincere il titolo continentale per poter dimostrare di essere alla pari dei più grandi del mondo. E infatti, l’anno dopo, il Marocco si presentava, nonostante pochissime partite giocate nel mezzo, come la super favorita per portare a casa la Coppa d’Africa 2024.
Certo, è rinomato nel continente africano come per le nazionali magrebine, ossia quelle che vivono a nord del Sahara, è sempre complicato giocare dall’altra parte del deserto. Climi diversi, difficili se non abituati e sopratutto lo scarso tifo presente, che dal Marocco all’Egitto è sempre stato un tallone d’Achille. Ma poco importava, perché il Marocco era arrivato dove nessun altro c’era mai stato in quel continente e doveva dimostrare di essere un punto di riferimento per ogni nazione africana.
E la campagna in Costa d’Avorio partì nel migliori dei modi, con un convincente 3-0 rifilato alla Tanzania, ma poi lentamente l’entusiasmo marocchino andò scemando, venendo infine eliminato dal Sudafrica agli ottavi per 2-0, nel modo peggiore, con un rigore sbagliato da Hakimi a fine partita che poteva valere il pareggio. Ed è proprio qui che nei marocchini dubbi e domande insorgono, nel tentativo di capire cosa andò storto in quel torneo, dove molto probabilmente la pressione sulle spalle si fece troppo incalzante.
Sì, perché la voglia di riportare in patria un trofeo che manca dal 1976 era molta, ma se c’è una cosa che sono stati capaci di capire negli ultimi anni, viste le esperienze di nazionali come Brasile e Inghilterra, è che la pressione sulle spalle sa essere il peggiore dei nemici. Così il Marocco lascia la Coppa d’Africa dopo una partita fatta di poche idee e concretezza, e tornando, in un certo senso, con i piedi per terra.
Dopo quella bruciante disfatta, i Leoni dell’Atlante sono tornati a vincere nelle qualificazioni al prossimo mondiale, vincendo con Zambia e Congo, ma sembra proprio che per il Marocco, ora, serva di nuovo un difficile esame.
Mondiale 2030 e Coppa d’Africa 2025: le due grandi occasioni
Di sicuro da qualche parte i Leoni si devono rialzare, e le notizie non sembrano, poi, così negative. In primis c’è da segnalare la prima fondamentale convocazione per Brahim Dìaz, che, dopo le convincenti stagioni al Milan e al Real Madrid, sembra la pedina perfetta per dare freschezza e spirito ad una nazionale che pare essere rimasta con la testa sulle sponde del Golfo Persico, ma sopratutto, in prospettiva, gli appuntamenti per il Marocco sono quelli da protagonista.
Prima, nell’inverno del 2025, la Coppa d’Africa, che giocherà in casa, da Paese ospitante, e che potrebbe rappresentare il punto più alto della nazionale in questi anni. Poi, ancora più importante, la Coppa del Mondo 2030, ospitata insieme a Spagna e Portogallo.
Quello che è sicuro è che al Marocco non mancano le occasioni, a patto che i Leoni tornino a ruggire, come hanno fatto in Qatar, e che tra le magiche città imperiali ai piedi dell’Atlante possa nei prossimi anni avere un lieto fine quella favola partita in Arabia, capace di colpire al cuore molti appassionati.
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