Ciclismo

Il ritorno di Malaussène

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In queste settimane di Tour de France a Daniel Pennac saranno fischiate le orecchie e può anche essere che le vendite della saga di Belleville in Italia abbiano registrato un improvviso aumento. Il ritorno di fiamma del ciclo parigino non è dovuto a un rilancio letterario ma al vizio dei francesi di differenziare i nomi con accenti e vocali sconosciute agli italiani.
È così che la tappa della doppia ascesa del Mont Ventoux, con arrivo a Malaucene, è diventata per i cronisti italiani la tappa di Malaussène – il celebre capro espiatorio di Pennac. Inconsapevolmente, Benjamin Malaussène si è ritrovato titolare di una tappa della corsa francese, e che tappa! Wout Van Aert, non proprio un personaggio alla Malaussène, ha dimostrato la sua classe nella frazione della seconda settimana di Tour e tale impresa è stata rievocata come un mantra durante tutto il prosieguo della corsa a tappe, a beneficio del personaggio dei romanzi di Pennac.
Dopo le prime due settimane ci si aspettava che Pogačar mettesse il sigillo al suo secondo Tour e che Cavendish abbattesse il record di vittorie nella corsa francese, portandolo almeno a trentacinque. Chi invece ha fatto parlare ancora di se è stato Wout Van Aert, quello della tappa di Malaucene.
Il belga ha dominato la cronometro da Libourne a Saint Èmilion, dimostrando un’ottima forma per la prova olimpica contro il tempo. È pur vero che Pogačar non si è particolarmente spremuto. Dopo i due arrivi in salita sul Col de Portet e a Luz Ardiden, lo sloveno non aveva motivo di prendersi rischi per incrementare il vantaggio in classifica generale. L’alieno spettinato ha dimostrato come la debacle sul Ventoux fosse stata un episodio isolato, perché negli altri arrivi in salita ha strapazzato i rivali diretti alla vittoria conclusiva. La cronometro di Saint Èmilion è stata per lui più un dovere di firma; forse avrà anche pensato che già l’anno scorso aveva umiliato la Jumbo Visma all’ultima cronometro e farlo due volte di seguito, prima ai danni di Tom Dumoulin e ora nei confronti di Van Aert, che almeno per hairstyle ne è l’erede in casa Jumbo, sarebbe sembrata una questione personale.

Van Aert trionfa sugli Champs Elysées- – © Eurosport

Il giorno dopo la cronometro ci si aspettava di incoronare sugli Champs Elysées Cavendish come atleta con il maggior numero di vittorie al Tour de France. Aveva già eguagliato Merckx la settimana precedente, occorreva solo mettere la ruota un millimetro avanti a quella degli altri sul traguardo di Parigi, anzi, anche un parimerito al fotofinish sarebbe stato sufficiente, tanta era la voglia che si respirava di scrivere la storia abbattendo i vecchi campioni.
Forse una telefonata tra belgi o un podio ipotecato han fatto sì che, ancora una volta, Wout Van Aert venisse buttato nella mischia. La Jumbo Visma si è ricordata che il campione belga è forte anche in volata, nelle vie della capitale francese ha lavorato per lui e il fuoriclasse ha fatto il capolavoro. A volata lanciata Cavendish è rimasto chiuso tra il belga e le transenne e l’inglese non ha avuto lo spazio e forse neanche la forza di superarlo. Wout Van Aert è andato così a vincere nello stesso Tour una tappa di alta montagna, una cronometro e una frazione allo sprint: tripletta che ricorda Hinault, l’ultimo dei grandi. Insomma un altro pezzo di storia riavvicinato in questa edizione della corsa a tappe francese, segno che la Storia di questo sport sta voltando pagina.
Come in ogni Tour c’è già chi avanza sospetti sull’autenticità di quanto hanno dimostrato gli atleti sulle strade di Francia. Da chi cerca nei replay prove di doping meccanico, ricordando la storia della ruota di Roglič che andava da sola alla Amstel Gold Race, a chi ipotizza congiure a livello nazionale o internazionale, il mondo del ciclismo è pieno di novelle Jessica Fletcher che cercano di portare alla luce trame contorte. Forse questo è in parte dovuto a quanto successo nel Tour del 2007, quando un innocente aneddoto raccontato durante una telecronaca da Davide Cassani, allora al commento tecnico a fianco di Auro Bulbarelli, causò il ritiro della maglia gialla Rasmussen da parte della squadra, la Rabobank, nonché la squalifica per il corridore stesso. In quel caso gli avvenimenti rocamboleschi facevano un baffo agli intrighi di Angela Lansbury.

La storia di questo sport ha reso molti appassionati dei Muzio Scevola proprio nel tentativo di difendere il proprio idolo. L’unica cosa che si può fare è seguir le corse con la stessa consapevolezza con cui si guardano le previsioni meteo: nonostante il sole millantato, può accadere che un ombrello possa essere utile.

Pogačar premiato a Parigi come vincitore del Tour de France 2021. – © Sky Sport

Nell’entusiasmo storico della tripletta di Van Aert, non bisogna scordarsi che nel frattempo Pogačar a ventidue anni ha vinto il secondo Tour de France, e questo accade solo ai veri campioni. In una delle ultime interviste lo sloveno  ha dichiarato che spera che le sue imprese avvicinino i bambini a questo sport: una visione che dimostra maturità nonché un richiamo a quell’inspire a generation che fu il motto delle Olimpiadi di Londra 2012. In questo tempo olimpico è quello in cui occorre sperare.
Immagine in evidenza: Particolare della raccolta Malaussène ©Feltrinelli

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Riccardo Avigo

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