«Sei vivo? Bene, fatti valere allora». È il motto di Rigoberto Uran, che da quest’anno non sarà più in gruppo. L’ultima apparizione alla Vuelta di Spagna, interrotta alla sesta tappa per una caduta. La frattura a un’anca gli ha impedito di rientrare prima della fine della stagione per ricevere sulla strada il meritato saluto da parte di tutta la famiglia delle due ruote, di cui Rigo è stato uno dei maggiori animatori negli ultimi vent’anni. Diciotto stagioni da professionista, un altro dei veterani che si congeda, un altro dei grandi corridori arrivati al vertice maturando lentamente, figli di un altro ciclismo. C’è un filo sottile che unisce l’addio di Thibaut Pinot, al termine del 2023, a quello di Uran. Oltre a un simile graduale percorso di crescita, senza exploit straordinari, sono stati entrambi molto amati dai tifosi, pur vincendo poco. Ma l’hanno fatto con classe, riuscendo a trasformare anche la sconfitta in punto di forza, di connessione intima con chi li sosteneva a bordo strada. «Penso che molte persone si identifichino con me perché vogliono vincere, ma non ci riescono», disse una volta Uran. Così si spiega il forte legame con gli appassionati, l’affetto verso il capostipite del movimento moderno colombiano. È stato Rigo a lanciare definitivamente la Colombia sulla scena, superando quelle estemporanee comparse di alcuni scalatori nei grandi Giri a cavallo degli anni Novanta e Duemila. Pure per questo è il corridore più popolare nel suo Paese, nonostante le sole quattordici vittorie, quando, invece, i suoi successori, come Nairo Quintana e Egan Bernal, hanno vinto almeno un grande Giro. Anche per questo è il corridore più seguito in assoluto sui social. Anche. Perché c’è molto altro.
Il passo decisivo, verso una popolarità che ha trasceso lo sport, Uran l’ha compiuto a 14 anni. Quando suo padre ha trovato la morte durante una sparatoria tra narcotrafficanti nella cittadina natale di Urrao, nel Dipartimento di Antioquia a Nord Est del Paese. Coinvolto per sbaglio, mentre era in sella alla sua bici, in un regolamento di conti per il cartello della droga. Un tragico episodio che costrinse il piccolo Rigoberto a prendersi cura della famiglia, di una disperata mamma Aracelly e della sorella minore Martha. Ereditò così il mestiere del padre, vendendo i biglietti della lotteria per strada e senza abbandonare né gli studi né la passione per la bicicletta. Scuola al mattino, lavoro al pomeriggio, lunghe pedalate alla sera, inseguendo un riscatto e una vita migliore in un Paese inghiottito dalla violenza. Quelle pedalate diventeranno presto dei veri e propri allenamenti e alla fine della settimana ci saranno delle gare da vincere. Si mette in mostra fin dalle prime competizioni in un parco di Urrao e viene portato dal tecnico Josè Laverde, in una delle migliori squadre giovanili della Colombia. Prime fasi di un percorso costellato di ostacoli. Il giovane Rigo sarà messo a dura prova, ma non smetterà mai di affrontare le sfide in sella con una feroce determinazione accompagnata al sorriso. Sarà la chiave vincente, anche della sua popolarità molti anni dopo.
Uran avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per ascoltare poco gli altri, essere freddo e poco sensibile nelle relazioni esterne. Invece la sua leggerezza e la sua generosità lo faranno brillare prima come uomo, che corridore. Qualità che lo porteranno a vedere la luce in Europa dopo una lunga gavetta. Nel 2005 la vittoria alla Vuelta del Porvenir, il Giro di Colombia dei dilettanti, lo consegna al mondo dei professionisti a 19 anni, quando, a differenza di oggi, era un’eccezione. Nel 2006 viene prelevato e portato in Italia da Fabio Bordonali, nella sua Tenax-Salmilano, oltre che adottato da una coppia di Brescia. L’anno dopo veste la maglia della Unibet conquistando la prima grande affermazione nella settima tappa del Giro di Svizzera. Ma capì che non bastava andare forte in salita e ne pagò presto le conseguenze. Poco più di un mese dopo, al Giro di Germania, cadde rovinosamente in discesa e ne uscì con entrambi i gomiti rotti. Peccava nella guida del mezzo e così i suoi allenamenti divennero più delle prove di guida che test di resistenza, sotto la supervisione generosa, quasi paterna, di quel Bordonali che non era più il suo direttore sportivo.
“Ciccio”, il soprannome affidatogli in Italia, dimostrò di saperci fare nelle corse a tappe. Ad accorgersene per prima, tra le grandi, fu la squadra spagnola Caisse d’Epargne, con la quale nel 2008 fece secondo nella generale del Giro di Catalogna e terzo al Giro di Lombardia. Gli ottimi piazzamenti nei grandi Giri lo portarono nel 2011 alla Sky, come gregario. Nelle tre stagioni trascorse con la formazione britannica riuscì anche a vincere: la quarta tappa del Giro di Catalogna, il Gran Piemonte e la maglia bianca al Giro d’Italia nel 2012, ma soprattutto la decima frazione del Giro 2013, quando scattò all’inizio della salita finale dell’Altopiano del Montasio, tagliando il traguardo a braccia alzate dopo 7,5 chilometri in solitaria. Nella notte tra la dodicesima e la tredicesima tappa di quella corsa rosa, il suo capitano Bradley Wiggins decise di ritirarsi a causa di un’infezione alla vie respiratorie. Uran ottenne così via libera per dedicarsi alla generale e conquistò un grande secondo posto alle spalle del vincitore Vincenzo Nibali. In mezzo, meno di un anno prima, arrivò vicinissimo a quello che, a posteriori, poteva essere il successo più grande della sua carriera: l’oro olimpico. Sfumato negli ultimi metri sulle strade di Londra, allo sprint contro Aleksandr Vinokurov.
Rigoberto Uran esulta al traguardo della decima tappa del Giro d’Italia 2013 sull’Altopiano del Montasio. Fu la prima delle sue due vittorie nella corsa rosa
Da quel Giro 2013, scoppiata la sua popolarità in Colombia, capì che l’assalto a una corsa da tre settimane era possibile. Aveva bisogno solo di maggiore libertà e di una squadra dedicata a lui. Così l’anno seguente si trasferì alla Quick-Step e al Giro instaurò un duello tutto colombiano con il 24enne Nairo Quintana, secondo al Tour de France dell’anno precedente. A spuntarla fu Quintana. Uran di nuovo secondo, questa volta vestendo la maglia rosa per quattro giorni e vincendo la dodicesima tappa, quella dell’ondulata cronometro nella terra dei vini, tra Barbaresco e Barolo. Nel 2015 si concluse l’avventura con la squadra belga, al termine di una stagione in cui era atteso sul primo gradino del podio del Giro d’Italia, ma la bronchite e una caduta nella prima parte della corsa lo rallentarono. Senza fermarlo, perché, con la caparbietà di sempre, tornò sulle ruote dei migliori nelle ultime giornate, sfiorando più volte il successo di tappa. La stagione seguente passò a vestire la maglia della Cannondale, l’attuale EF Education-EasyPost, con la quale ha terminato la propria carriera. Con la squadra americana iniziò a far bene anche al Tour de France, a partire dal secondo posto, un altro ancora, ottenuto nel 2017. In quell’edizione ottenne anche una vittoria, a Chambéry, dopo uno sprint a ranghi ristretti contro gli altri big della generale, al termine di un tappone di montagna con ben sette G.P.M. Durante quel Tour, in salita, non si lasciò mai scappare il vincitore Chris Froome. Quei cinquantaquattro secondi di distacco finali a Parigi furono solo il risultato del ritardo accusato nei confronti del britannico nelle due prove contro il tempo. Quell’anno vinse anche la Milano-Torino, lasciando il gruppo a quattro chilometri dall’arrivo. Le altre tre top ten al Tour si unirono alle due ottenute alla Vuelta di Spagna, dove vinse una tappa nel 2022, bruciando i compagni di fuga allo sprint. L’ultima vittoria della carriera lo fa entrare nella cerchia di corridori capaci di vincere almeno una tappa in tutti e tre i grandi Giri. In più, uno dei più costanti dell’ultimo decennio, viste le dieci top ten raccolte tra Giro, Tour e Vuelta.
A 37 anni ha lasciato il gruppo come uno dei maggiori leader e uomini squadra, stimato da tutti e venerato in Sudamerica, naturalmente soprattutto in Colombia. Non tanto per i risultati, ma quanto per la sua personalità. Sempre col sorriso, «quando vado in bici continuo a divertirmi», spontaneo, ironico, attento alla comunicazione. Come quella volta nell’intervista dopo-tappa al Tour de France 2022 ai microfoni Rai…
L’anima della festa, tra i pochi che è saputo andare oltre lo sport. Lo testimoniano gli ottanta episodi della serie tv sulla sua vita, prodotta da RCN e trasmessa in prima serata, le sue iniziative, a partire da El Giro de Rigo, granfondo a cui prendono parte migliaia di ciclisti da tutto il mondo. Uran parte per ultimo, in modo da salutare tutti i partecipanti nel corso della giornata. Hanno partecipato a quest’evento anche diversi professionisti, che Rigoberto invita a visitare la Colombia. Dopo Vincenzo Nibali, Alberto Contador, Peter Sagan, è toccato a Wout van Aert, con il quale ha condiviso un lungo giro in barca lo scorso autunno.
Promuove il marchio “GoRigoGo” attraverso i suoi negozi di bici e di abbigliamento, i bike cafè, i ristoranti e addirittura il caffè stesso. Una forza imprenditoriale che parte dal suo rapporto con il popolo del ciclismo e non solo. Come quella volta che un tifoso, un floricoltore di mezza età in tenuta da lavoro, riuscì a tenere il suo ritmo mentre si allenava con la bici da cronometro sulle strade del dipartimento di Antioquia. E cosa fece Uran? Si fermò e si complimentò con lui, invitandolo a Medellín nel suo negozio di biciclette. Dopo aver completato insieme una sessione su Zwift, gli regalò una Cannondale nuova e un completo da allenamento. «È stato come se gli fosse apparsa la Vergine. Sono queste le cose che mi rallegrano la vita», raccontò Rigo sui suoi profili social.
Uno spirito coltivato fin da quei giorni in cui consumava le suole per vendere qualche biglietto in più della lotteria. Non l’ha abbandonato nemmeno quando la lotteria l’ha vinta lui, in sella a una bicicletta. Ma senza colpi di fortuna. Solo testa, cuore e gambe. Senza smettere mai di sognare, nemmeno oggi. Basta leggere quello che ha dichiarato recentemente sul suo futuro: «Ora mi dedico al calcio. È un sogno che avevo, ci proverò e vedremo cosa succede. Il mio obiettivo ora è diventare un calciatore professionista. Lo sapete che sono pazzo, parecchio, ma mi piace fare tante cose». E a noi piaci così, caro Rigo.
Immagine in evidenza a cura di Giorgia Sapienza (@sgstudiografico)
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