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Los Angeles Lakers, we have a problem

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Lo scorso maggio i Los Angeles Lakers venivano eliminati 4-2 al primo turno Playoff dai Phoenix Suns, a poco meno di un anno dalla conquista del titolo NBA nel 2020.

Tanti addetti ai lavori avevano individuato nelle lacune del roster il problema principale di una squadra che, nei momenti decisivi, poteva fare affidamento quasi esclusivamente su LeBron James e Anthony Davis, con il secondo che è conosciuto al grande pubblico per essere injury-prone, ossia molto incline agli infortuni.

Di conseguenza, la dirigenza losangelina era convinta che, aggiungendo un’altra stella alla coppia James-Davis, i Lakers sarebbero tornati ad essere una contender, nonostante il titolo 2020 fosse arrivato senza un terzo violino di primissimo livello, ma con un roster composto principalmente da gregari che erano risultati fondamentali nel riportare il titolo a Los Angeles dopo 10 lunghi anni di attesa.

Tra le tante stelle che erano in odore di trasferimento (Damian Lillard, Chris Paul, DeMar DeRozan) Rob Pelinka, General Manager dei Lakers, è riuscito a prendere quello che, tra tutti, era il peggior fit per le altre 2 stelle già presenti nel roster: Russell Westbrook.

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Russell Westbrook, record-man all-time per triple doppie siglate in carriera, è un giocatore dalle caratteristiche uniche, ma che mal si sposano con quelle che hanno sia LeBron James che Anthony Davis. Russ ha dimostrato, negli anni, di essere fenomenale quando gioca in squadre in cui riesce ad avere spesso la palla in mano: dal 2016, anno del passaggio di Kevin Durant da Oklahoma a Golden State, Westbrook ha infatti sempre avuto una tripla doppia di media, con l’unica eccezione della stagione 2019/2020, anno in cui ha giocato a Houston con James Harden, altro giocatore famoso per tenere spesso -soprattutto negli anni ai Rockets – la palla in mano.

Con queste premesse, era difficile pensare che il trio formato da James-Westbrook-Davis potesse essere efficace al 100% sin da subito, soprattutto se le aspettative erano quelle di vedere in campo una replica dello showtime dei Lakers anni ’80 di Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar

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Per di più, a causa della regola del salary cap, dopo l’acquisto di Westbrook, arrivato a Los Angeles tramite uno scambio con Washington, che ha ricevuto in cambio Caldwell-Pope, Harrell Kuzma, i Lakers non avevano tanto margine di manovra, e hanno quindi puntato sulla firma di tanti veterani al minimo salariale -Ariza, Bazemore, Bradley, Ellington, Howard, DeAndre Jordan, Rondo, Monk e soprattutto Carmelo Anthony, alla ricerca del tanto agognato titolo.

I big-6 a disposizione di coach Vogel Credits: Marca

Sulla carta, ad agosto il roster dei Los Angeles Lakers non aveva rivali: una squadra che potenzialmente può schierare contemporaneamente Russell Westbrook, LeBron James, Carmelo Anthony, Anthony Davis e Dwight Howard, con in panchina giocatori del calibro di Rajon Rondo e DeAndre Jordan e giovani interessanti come Kendrick Nunn e Talen Horton-Tucker, non poteva che essere la favorita al titolo NBA.

Purtroppo, o per fortuna, l’unico vero giudice è però il campo, e gli ambiziosi sogni della dirigenza losangelina e dei suoi tifosi si sono dovuti scontrare con la realtà dei fatti. Il roster è composto da giocatori che probabilmente faranno parte della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame, ma che, per il loro modo di giocare, sono poco compatibili tra loro; inoltre, nella rotazione fin qui usata dai gialloviola, solo 3 giocatori – Davis, Monk e Horton-Tucker – hanno meno di 31 anni, dunque la gestione delle energie per poter arrivare freschi nel momento clou della stagione diventa ancora più importante.

Per molti aspetti, questa off-season ha sinistramente ricordato quella del 2012, quando i Lakers di Kobe Gasol, che avevano vinto il titolo 2 anni prima, per rimediare ad una stagione complicata andarono a formare un superteam con gli acquisti di Steve Nash Dwight Howard, che in quegli anni era nel suo prime. Come andò a finire? Nash saltò 30 partite causa reiterati problemi alla schiena, Kobe, che fino ad Aprile stava giocando una delle migliori stagioni della sua carriera, si ruppe il tendine d’Achille, e i Lakers, guidati da un Howard solo lontano parente di quello ammirato ad Orlando, persero 4-0 al primo turno Playoff contro i San Antonio Spurs.

I Lakers nel 2012/13: da Dream Team all’eliminazione al primo turno Credits: NBA Passion.com

Infine, alle problematiche già note ancor prima che la stagione iniziasse, si è aggiunta la variabile che, negli ultimi anni, sta diventando la più importante nella maggior parte degli sport: gli infortuni. La vittima principale in casa Lakers è stata LeBron James, che ha saltato 12 delle 24 partite giocate fin qui dai losangelini.

L’assenza di LeBron ha evidenziato un ulteriore problema che i Lakers speravano di aver risolto con l’acquisto di giocatori di esperienza e di talento come quelli firmati in estate, ossia che i compagni di LeBron, quando il loro condottiero non è in campo, giocano male e soprattutto fanno ancora più fatica a vincere. Nelle 12 partite senza The King, i Lakers hanno un record di 7 perse e 5 vinte, curiosamente opposto a quello con James in campo, che recita 7 vittorie e 5 sconfitte.

A preoccupare Vogel e il suo staff è soprattutto il modo in cui arrivano alcune sconfitte. Oltre alle squadre contro cui arrivano (Oklahoma ha ottenuto 2 delle sue 6 vittorie in stagione contro i Lakers, di cui una clamorosa partendo da uno svantaggio di 26 punti) è da sottolineare la tendenza dei gialloviola a prendere delle cosiddette imbarcate, come dimostra il -24 contro Minnesota e il -22 contro Boston.

In generale, i Lakers hanno fino a questo momento una pessima organizzazione difensiva – 29esima difesa su 30 con 113,4 punti concessi a partita – mitigata solo in parte dal quarto miglior attacco con 111,7 punti a partita.

Nonostante le buone percentuali da dentro l’area – 50% abbondante da 2 – LeBron e compagni stanno facendo fatica da dietro l’arco – 18,8% per Anthony Davis e poco più del 30% per James e Westbrook. Questi dati, nella NBA moderna, possono diventare pericolosi, soprattutto ai Playoff, dove le difese avversarie potrebbero scommettere sulle basse percentuali da 3 punti per riempire l’area, andando ad abbassare anche le percentuali al tiro da dentro l’area, come in questo esempio, in cui proprio i Los Angeles Lakers, durante i Playoff 2020, lasciano tirare Westbrook con metri di spazio:

Ad oggi, con la maggior parte delle problematiche sopraccitate non ancora risolte, i Lakers si trovano all’ottavo posto della Western Conference, con una percentuale di vittorie del 50% – la stessa di Los Angeles Clippers, Dallas Mavericks e Denver Nuggets, con le ultime due che hanno però giocato 2 partite in meno – frutto di un record di 12 vittorie e 12 sconfitte e, se la Regular Season terminasse oggi, i gialloviola sarebbero qualificati al Play-in per giocarsi gli ultimi due posti disponibili per i Playoff.

Nonostante serva un cambio di rotta deciso nel minor tempo possibile, la situazione non è irrecuperabile, anzi. Grazie all’equilibrio che caratterizza da anni la Western Conference, anche in questa stagione le squadre che vanno dalla quarta all’undicesima posizione si trovano nell’arco di 3/4 partite, e dunque una serie di risultati positivi, non necessariamente come le 18 vittorie consecutive appena conquistate dai Phoenix Suns prima di essere sconfitti dai Golden State Warriors, potrebbe cambiare i giudizi sulla stagione della squadra di coach Vogel.

Inoltre, le motivazioni personali dei giocatori potrebbero essere determinanti. LeBron James vuole dimostrare, dopo una stagione non all’altezza delle aspettative, di essere ancora il Re; Carmelo Anthony vuole raggiungere l’anello tanto inseguito quanto meritato per la carriera avuta, mentre Westbrook vorrebbe dimostrare ai suoi detrattori che può essere il valore aggiunto anche in una squadra che punta dichiaratamente al titolo. Senza dimenticare che vincere, solitamente, non dispiace a nessuno.

In ogni caso, come la NBA ci ha sempre insegnato, l’unica certezza che abbiamo è che sarà un’altra stagione da vivere tutta d’un fiato.

 

 

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Federico Bollani

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