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Paavo Nurmi e la “sisu”: il più grande insegnamento a 50 anni dalla scomparsa del Finlandese Volante

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«La mente è tutto, i muscoli sono pezzi di gomma. Tutto ciò che sono, lo sono grazie alla mia mente». Parole di Paavo Nurmi, l’atleta più medagliato ai Giochi Olimpici nell’atletica leggera, nonché secondo di sempre nella storia delle Olimpiadi per numero di ori (nove) e decimo per medaglie totali (dodici) tra Anversa 1920, Parigi ’24 e Amsterdam ’28. Numeri di un mezzofondista che quando gareggiava faceva puntualmente registrare un nuovo record, superando sempre se stesso. «Per battere il tempo bisogna conoscerlo», diceva. E lo conosceva talmente bene da correre per più di venti volte un primato mondiale. L’uomo-cronometro, lo chiamavano infatti, per rispecchiare anche la sua personalità. «Nurmi va oltre i limiti dell’umanità. È sempre più serio, riservato, concentrato. C’è una tale freddezza in lui, oltre a un autocontrollo così grande, che mai, per nemmeno un momento, mostra i suoi sentimenti. Qual è il vero carattere di Paavo Nurmi? Perché sembra che gli manchino delle caratteristiche umane? È schiavo dello sport, dell’allenamento, dei record, a tal punto da sacrificare corpo, anima e qualsiasi momento libero? Non è un dilettante solo di nome questo atleta di 27 anni che i finlandesi chiamano studente ingegnere e gli svedesi professionista? Il futuro risponderà senza dubbio a queste domande. In ogni caso c’è da dubitare che Nurmi possa mantenere a lungo la sua situazione attuale. Ai Giochi di Parigi abbiamo trovato il campione finlandese più magro, più rude, ancora più silenzioso e riservato di prima. Questo straordinario corridore che, per un motivo o per l’altro, conserva un formidabile, intenso fanatismo per lo sport, dovrà presto darci una risposta al mistero vivente che costituisce».

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Paavo Nurmi conquista nei 1500 metri la prima delle cinque medaglie d’oro di Parigi 1924

Un breve ritratto di chi lo vide correre, precisamente di Gabriel Hanot in un numero di Le miroir des sports, settimanale francese, nel 1924. Quel «mistero vivente» si è dissolto nel significato della sisu, una parola finlandese intraducibile in qualsiasi lingua del mondo, colta per approssimazione solo attraverso un insieme di concetti. Per il New York Times è «la parola che spiega la Finlandia», quella «preferita dei finlandesi», oltre a «la più bella di tutte le parole finlandesi». Indica la resilienza, la forza d’animo, l’ostinazione, la resistenza mentale. Invece di dire «non ce la faccio» o «ci rinuncio», ci si chiede «come posso riuscirci?». Una domanda che Nurmi ha iniziato a porsi presto, fin dall’età di 12 anni, quando, primo di cinque figli in una famiglia molto povera, è stato costretto ad abbandonare la scuola. Il padre morì a causa di una grave malattia polmonare e così Paavo diventò colui che doveva portare a casa i soldi per mangiare. Prima fattorino per un panificio, trascinando carrelli e sacchi per la città natale di Turku, poi operaio in una fonderia. Nel 1919, al primo anno di servizio militare, ripetè più volte prove fisiche strazianti, tra i pochissimi della sua unità a sopportarle. Marce di tredici miglia portando con sé un fucile, una cartucciera e uno zaino pieno di sabbia.

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Paavo Nurmi al termine dei 10000 metri ad Anversa 1920, la sua prima vittoria olimpica

Nurmi passò presto dal correre con addosso la divisa dell’esercito a farlo vestendo quella della nazionale, ritrovandosi l’anno dopo a rappresentare la Finlandia ai Giochi Olimpici di Anversa 1920. Debuttò conquistando l’argento nei 5000 metri, a cui fecero seguito gli ori nei 10000 metri, nel cross individuale e in quello a squadre. Una doppietta, quella nella corsa campestre, che ripeté anche a Parigi 1924, l’ultima apparizione di questa disciplina alle Olimpiadi. Nurmi vinse la gara individuale con quasi un minuto e mezzo di vantaggio sugli avversari, quei pochi che erano rimasti ad inseguirlo, visto che metà dei partecipanti si arrese per via del caldo impressionante (45 °C) e finì in ospedale. Sempre nella capitale francese ci fu l’apoteosi di Nurmi, che in pista vinse i 1500 metri e soli ventisei minuti dopo anche i 5000 metri. Un numero pazzesco, a cui aggiunse, non sazio, il successo nei 3000 metri a squadre. La Finlandia aveva iniziato il suo dominio nel fondo e mezzofondo, prima di finire all’ombra, molti anni dopo, del monopolio degli atleti degli altopiani africani, etiopi e keniani su tutti. Ma anche per i colleghi connazionali, Nurmi restava uno sconosciuto, al di là delle sue prestazioni che tutto il mondo aveva imparato ad apprezzare. Un uomo freddo, come le lande sconfinate della sua terra, che parlava pochissimo e non rilasciava interviste, nonostante la sua popolarità.

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Il suo atteggiamento, come la sua corsa, metodica, meccanica e scandita dal ritmo del cronometro, non cambiò nemmeno dopo gli ultimi successi olimpici ad Amsterdam 1928, oro nei 10000 metri e argento nei 5000 e nei 3000. Alla volontà indistruttibile e alla disciplina feroce, Nurmi accompagnava l’incapacità di aprirsi al mondo esterno. In realtà il suo silenzio ci ha parlato più di quanto non potessero fare tante parole. Anzi, la sisu ha sempre parlato per lui.

Fu quasi costretto al ritiro, dopo che gli negarono di intraprendere quella che doveva essere la sua nuova grande sfida: la maratona. Il CIO puntò il dito contro di lui e su dei soldi che ricevette come rimborso spese dopo una gara, incriminati come prova di un suo passaggio al professionismo. Niente partecipazione ai Giochi di Los Angeles 1932; Paavo non perdonò mai nessuno (Federazione finlandese compresa) per questo divieto, nemmeno a distanza di anni. Come quando a Helsinki 1952 accese il braciere olimpico, ma incalzato dalla stampa dichiarò che aveva corso sempre per se stesso, non per la Finlandia. Italo Calvino, inviato per l’Unità a quei Giochi, descrisse l’apparizione di Nurmi come un insegnamento di modestia e di saggezza. Una delle poche penne italiane che ebbe modo di incrociarlo, insieme a Gianni Brera, a cui concesse un’intervista per La Gazzetta dello Sport, curiosamente in lingua latina, l’unica conosciuta da entrambi.

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Paavo Nurmi, ultimo tedoforo, durante la cerimonia d’apertura di Helsinki 1952

Sempre chiuso in se stesso, nel 1964 rifiutò persino un incontro con il presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson, in visita a Helsinki. Nurmi non condusse una vita serena dopo l’addio all’atletica. Il matrimonio con Sylvi durò appena tre anni e morì a 76 anni, nel 1973, nel silenzio che l’ha sempre avvolto. L’anno prima, nel giorno del suo compleanno, rilasciò una delle pochissime interviste, dichiarando che per lui la fama terrena e la reputazione valevano meno di un mirtillo rosso marcio. Un cinismo sprezzante che non stupisce, da parte di chi in pista ammazzava la competizione, rendeva le gare delle esibizioni. Per il Finlandese Volante «non esistevano record imbattibili o limiti umani» e a cento anni dalle sue imprese, mai affermazione fu più vera. Probabilmente l’atleta più enigmatico della storia, una sfinge, ma dall’eredità pesantissima. «I record verranno battuti, le medaglie d’oro perderanno il loro splendore, arriveranno sempre nuovi campioni. Ma come concetto storico e stile Paavo Nurmi non sarà mai battuto», disse Marjatta Väänänen, ministra finlandese, nel suo discorso di commemorazione il giorno del funerale. A cinquant’anni dalla sua scomparsa, è ancora la sisu a parlare per Nurmi, che forse non ha sempre vinto, ma sicuramente non ha perso mai.

Immagine in evidenza: ©Brandstaetter images

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Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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