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Quando la parola atleta non basta: la storia di Maya Moore

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Quella di Maya Moore e di Jonathan Irons potrebbe sembrare una storia tratta da un legal thriller di John Grisham, ma è reale. Una campionessa WNBA che mette in pausa la propria carriera sportiva per aiutare a riaprire il processo nei confronti di un uomo ingiustamente condannato a 50 anni di prigione. Un anno e pochi mesi dopo il suo annuncio, la sentenza viene ribaltata e l’uomo viene liberato.

La Storia

Siamo a St. Louis, Missouri, il 14 Gennaio del 1997. Un uomo ritorna a casa e trova un ladro nel proprio appartamento. L’uomo viene ferito da un colpo di pistola alla tempia ma sopravvive, e il ladro riesce a fuggire. Una settimana dopo per quel crimine viene arrestato Jonathan Irons, un ragazzino afroamericano di soli 16 anni: i vicini affermano di averlo visto nel quartiere con una pistola il giorno del furto. 

Viene processato come un adulto nonostante la giovane età, e viene condannato a 50 anni di carcere il 4 Dicembre del 1998. Molte cose non tornano in quel processo. Irons si è sempre dichiarato innocente, e sulla scena del crimine non sono state trovate impronte o tracce di sangue che potessero essere collegate a lui. L’unica cosa su cui si è basata l’accusa, oltre alle parole dei vicini, è una testimonianza di un detective che afferma di averlo sentito confessare. In realtà, non ci sono registrazioni né testimoni che possano provare questa confessione. Irons, inoltre, ha sempre negato di aver detto quelle parole. 

La stella

Maya Moore è una delle migliori giocatrici in forza alla WNBA, e il suo palmares parla per lei. Durante la sua carriera da professionista ha vinto il titolo con le Minnesota Lynx per quattro volte (2011, 2013, 2015, 2017), è stata MVP delle finali e della regular season, sei apparizioni all’All Star Game (3 volte MVP della competizione), è stata eletta Rookie of the Year nel 2011. Tutto questo senza contare la sua carriera al college, da cui si è anche diplomata con ottimi voti, e i suoi successi all’estero e con la nazionale americana.

Maya Moore in campo con le Minnesota Lynx

Nessuno immagina che una campionessa come lei nel pieno della sua carriera possa pensare di rimanere due anni lontana dai palazzetti. Eppure Maya Moore decide di farlo. Con una lettera su The Players Tribune, nel Febbraio del 2019 annuncia che non giocherà la stagione 2019. 

There are different ways to measure success.The success that I’ve been a part of in basketball truly blows my mind every time I think about it. But the main way I measure success in life is something I don’t often get to emphasize explicitly through pro ball. I measure success by asking, “Am I living out my purpose?”

 

Che può essere tradotto così:

Ci sono molti modi di misurare il successo. Il successo che ho avuto tramite la pallacanestro mi emoziona ogni volta che ci penso. Ma la mia vita da professionista spesso non mi dà l’occasione per evidenziare esplicitamente il modo in cui io misuro il successo. Io misuro il successo chiedendomi: “Sto dando un senso a quello che faccio?”

Di sicuro la vita di una professionista WNBA è più stressante di quella dei colleghi maschi della NBA e degli altri sportivi in generale a causa della grande disparità di stipendio e della breve durata del campionato. Quasi tutte le giocatrici, durante l’inverno, giocano all’estero, mentre la stagione WNBA le impegna da Maggio ad Ottobre.

Moore ha motivato la sua scelta di non giocare per stare vicina alla sua famiglia, ma non solo. Tramite amici di famiglia, nel 2007 viene a conoscenza del caso Irons, e subito si appassiona alla vicenda. Anche lei, come tanti altri, trova la condanna ingiustificata in base alle prove esistenti. Ha l’occasione di visitare Irons in carcere per la prima volta nel 2017, e nel 2019 decide di partecipare attivamente alla causa degli avvocati di Irons per riaprire il processo. Nel frattempo, Moore ha fondato un’associazione no-profit chiamata Win With Justice e si sta battendo attivamente per una riforma del sistema investigativo e giudiziario americano. 

Nel gennaio del 2020, Moore annuncia che non giocherà neanche questa stagione, e salterà anche le Olimpiadi in programma quest’estate in Giappone.

Finalmente sembra che il suo sacrificio abbia portato i suoi frutti. Nella giornata di lunedì 9 Marzo il giudice ha stabilito che non ci sono i presupposti per considerare Irons colpevole e pericoloso. Pertanto, in virtù del principio di habeas corpus, potrà tornare libero.

Oltre l’atleta

Gli sportivi professionisti hanno una grande responsabilità, non sono nei confronti delle squadre per cui giocano, ma anche come esempio e modello. Grazie alla loro visibilità possono mandare un messaggio raggiungendo un numero molto elevato di persone, e negli anni abbiamo assistito a diversi esempi in questo senso. Da Lebron James con la sua I Promise School, a Marc Gasol, che ha passato la scorsa estate nel Mediterraneo a salvare vite, a Colin Kaepernick, che sta tuttora pagando la sua manifestazione di protesta silenziosa. 

In tutto questo si inserisce la decisione di Maya Moore di essere più che una semplice atleta. Di mettere non solo la propria voce nel combattere le ingiustizie e le diseguaglianze, ma anche il proprio tempo, sacrificando il momento migliore della propria carriera sportiva per potersi dedicare ad una causa senza distrazioni. Una lezione di vita che va ben al di là dei risultati che si possono ottenere in una carriera, per quanto vincente come la sua.

 

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Giulia Picciau
1988. Sport invernali, montanara mancata, appassionata di basket, calcio e moto

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