Un episodio può decidere tutto nel mondo del calcio, anche il destino di una nazionale in rampa di lancio. Basta un’interpretazione diversa di un’azione, un fallo non fischiato oppure un fuorigioco visto soltanto dall’arbitro per modificare l’andamento di una partita e regalare gloria a chi non l’avrebbe meritata sul campo.
E’ quanto accadde all’Egitto ai Mondiali di Italia 1934, i primi di una formazione africana in una rassegna globale e, per trentasei anni, l’unica a riuscire a centrare questo ambito traguardo.
Le Olimpiadi del 1928 e lo spareggio con la Palestina
A differenza di quanti potessero aspettarsi, non si trattava del classico “cuscinetto”, pronto a sacrificarsi a favore di coloro che puntano alla vittoria finale della Coppa del Mondo. I “Faraoni” avevano già partecipato a tre Olimpiadi raggiungendo il punto più alto della loro epopea il 3 giugno 1928 quando allo Stadio Olimpico di Amsterdam ebbero la meglio del più quotato Portogallo vincendo lo scontro dei quarti di finale per 2-1 e guadagnandosi così l’accesso alla lotta per le medaglie. La semifinale con l’Argentina fu una vera e propria ecatombe considerata la presenza in quel team di futuri campioni iridati come Luis Monti e Raimundo Orsi così come di fenomeni come Domingo Tarasconi che condusse al successo per 6-0. Discorso simile anche nella finale per il bronzo che vide l’Italia imporsi per 11-3 realizzando il record di reti in una sola partita.
Eppure quelle tre reti furono un segnale per “I Figli del Nilo” guidati dallo scozzese James McCrae, temprato a cavallo fra la Prima Guerra Mondiale sui duri campi della Gran Bretagna e con un breve trascorso nel Manchester United come giocatore. Complice la rinuncia da parte della Turchia di giocarsi il turno preliminare, gli egiziani si trovarono infatti a giocarsi sul doppio turno lo spareggio africano-asiatico con la Palestina, destinato ad assegnare l’unico posto disponibile per i due continenti. Decisi ad avere la meglio sulla territorio sottoposto sin dal 1916 al controllo del protettorato inglese, gli africani misero in chiaro le cose sin dall’andata giocata all’ombra delle Piramidi e vinta con un perentorio 7-1 trascinati da Mahmoud Mukhtar Altech, noto anche come El-Tetsh (“L’acrobata”).
Il capocannoniere dei “Diavoli Rossi” del Al-Ahly fece infiammare i tredicimila presenti a Il Cairo realizzando una tripletta e riportando la Nazionale ai fasti olimpici di sei anni prima. Inutile la rete della bandiera di Nudelman così come il ritorno allo stadio Hapoel di Tel Aviv dove Altech si scatenò ulteriormente mettendo a segno un poker e lasciando ai tifosi della Terrasanta soltanto l’onore di vedere Suknik andare in rete.
L’approdo in Italia e gli ottavi con l’Ungheria
Carichi per il risultato e l’entusiasmo raccolto, “El-Tetsh” e compagni volarono dritti nel Bel Paese consapevoli di dover affrontare l’Ungheria, un avversario già superato in passato e alla portata degli africani come ricordato in un’intervista lasciata alla BBC nel 2002 dal portiere Mustafa Kamel Mansour.
Eravamo più forti di loro, d’altronde l’Egitto aveva già battuto l’Ungheria alle Olimpiadi 1924 per 3-0 ed era finita al quarto posto nel 1928.
L’undici affacciato sul Mar Rosso si ritrovò a sbarcare nel Bel Paese il 20 maggio con il piroscafo Tevere direttamente in una delle città più emblematiche e affascinanti della penisola: Napoli. Il match degli ottavi si sarebbe infatti giocato una settimana più tardi allo Stadio “Giorgio Ascarelli”, realizzato nel Rione Luzzati nel 1930 su commissione dell’omonimo presidente del Napoli e ribattezzato in vista dei Mondiali come “Stadio Partenopeo”.
Nonostante l’interesse riposto da un punto di vista sportivo, “gli immensi spalti biancheggiano al sole, chiazzati qua e là da macchie di pubblico” non negando però uno spettacolo balistico grazie agli immediati attacchi dell’Ungheria, capace di forare la rete di Mansour dopo soli undici minuti grazie all’incursione di Pál Teleki, bravo a sfruttare il cross di uno scatenato Imre Markos. In grado di far ammattire la difesa dei “Figli del Nilo”, l’ala del Bocskay provò immediatamente a raddoppiare trovando per gli avversari preparati sino al trentunesimo quando un ulteriore passaggio da fuori consentì Geza Toldi di far partire una bordata dalla distanza decisiva per il 2-0.
La rimonta dei Faraoni e il fuorigioco inesistente
Il risultato ormai consolidato spinse i magiari ad abbassare i ritmi e lasciar più ampio spazio agli uomini di McCrae, bravi a sfruttare il momento d’oro di Abdulrahman Fawzi, stella dell’Al-Masry di Port Said. Dal trentacinquesimo al trentanovesimo l’interno dei Verdi riuscì prima a ridurre le distanze con un colpo di testa e poi a pareggiare i conti con un preciso tiro al volo. L’ira dei Faraoni non si fermò nemmeno al rientro dagli spogliatoi andando vicina al sorpasso con Hassan e trovando un clamoroso sorpasso grazie a Fawzi che, grazie ai suoi ubriacanti dribbling, si “bevve” due difensori in un sol colpo e gonfiò per la terza volta la rete dei danubiani.
Spinti dai 14.000 presenti, i Faraoni si lanciarono in laute esultanze spente però improvvisamente dall’arbitro Rinaldo Barlassina, unico a rilevare un fuorigioco dubbio. La direzione di gara a dir poco discutibile venne notata anche a Mansour che anni dopo ricorderà il contraccolpo psicologico patito dagli eziani.
Dopo il gol annullato a Fawzi, l’Ungheria passò in vantaggio con Vincze e realizzò il quarto gol con lo stesso Geza Toldi. Anche in questo caso l’arbitro non vide un netto fallo su di me, che avevo bloccato il pallone in uscita e presi una ginocchiata nello stomaco e una gomitata che mi spaccò un dente”.
L’eliminazione e il ritorno a Italia 1990
La storia di “Tuffy” (come venne simpaticamente soprannominato l’estremo difensore africano) e dei compagni non si sarebbe conclusa con l’esperienza mondiale, ma sarebbe proseguita nel 1936 alle Olimpiadi Estive di Berlino dove furono costretti ad arrendersi per 3-1 all’Austria nel corso degli ottavi di finale.
Si trattò probabilmente dell’ultimo spiraglio per una nazionale che dovrà aspettare Italia 1990 prima di riaffacciarsi sulla scena internazionale, manco si trattasse uno scherzo del destino. Chissa come sarebbe cambiato la sua storia se quell’episodio fosse stato interpretato in maniera diversa, ma il calcio è questo: basta un’istante per cambiar il tutto.
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