Calcio

“Franz è il mio nome…”

5

“Die Mauer muss weg”. (“Il muro deve cadere”.)

 

Questa è una storia di contraddizione ed esasperata alterità; anzi, potenzialmente, un manifesto programmatico di che cosa comporti l’essere altro.

Il virgolettato che avete letto qualche riga sopra è uno dei cori più peculiari intonati dai tifosi de “L’Unione di Ferro”, la Union Berlin. “Il muro deve cadere” era lo slogan che prima del fatidico 9 novembre 1989 ogni bocca scandiva ripetutamente, e in modo più o meno plateale, per le strade della Berlino divisa. Oggi, a distanza di decenni, risuona ancora tra le gradinate dello Stadion An der Alten Fösterei ogniqualvolta gli Eisernen sono alle prese con un calcio di punizione: “mauer” è traducibile, infatti, anche come “barriera” e allora ecco spiegato il ricorso a quella frase in grado di segnare indelebilmente la storia di un intero paese. Un esempio che ben racconta la cosmologia di una squadra assurta prima a simbolo di integrazione e lotta senza quartiere per l’uguaglianza e, in un secondo momento, ad incarnazione di quel bizzarro sentimento noto come “Ostalgie”, crasi tra le parole “Osten”, vale a dire “est”, e “Nostalgie”, “nostalgia”, termine entrato ufficialmente nella lingua tedesca nel 1993, quando la Gesellschaft für Deutsche Sprache (Società per la lingua tedesca) lo inserì nella lista delle dieci parole più rappresentative dell’anno, per indicare quel senso di smarrimento misto a rimpianto sviluppatosi nei primi anni ’90 nella Germania orientale a seguito della scomparsa della famigerata DDR e che oggi, secondo un sondaggio del 2016, attanaglierebbe i cuori del 69% dei tedeschi dell’Est, giovani inclusi.

Un biglietto valido per la Coppa delle Coppe ’68-’69 e mai utilizzato causa scoppio della Primavera di Praga e ritiro di tutte le squadre del blocco sovietico dalle competizioni UEFA. – ©️ Tuttoilcalcioestero.it

“Non ogni tifoso dell’Union era nemico dello stato, ma ogni nemico dello stato era tifoso dell’Union”. Con questa frase lapidaria l’Eulenspiegel, mensile satirico berlinese, sintetizzò il clima che si poteva respirare attorno all’Union Berlin nel corso degli anni Ottanta. Impossibile trovare una sintesi più calzante. Una squadra che affonda le sue radici nel brodo primordiale del calcio teutonico, da sempre intrecciata con la sfera politica e con lo stato sociale della città. L’Union Berlino tira i primi calci al pallone in quel XX secolo che per la Germania ha significato un’impressionante sequela di demolizioni, palingenesi, squilibri e divisioni. Il club vede la luce nel 1906 sotto il nome di SC Olympia 06 Oberschönweide, denominazione in piena sintonia con il gusto neoclassico berlinese allora in auge. Negli anni ’20 la squadra si sposta a Köpenick, quartiere sud-est di Berlino, e si guadagna il soprannome di “Eisern Union”, “L’Unione di Ferro”, per la spiccata vocazione all’industria siderurgica propria della zona. Quelli dell’Union iniziano, dunque, ad essere chiamati “schlosserjungs”, ossia “i ragazzi metalmeccanici”, per via del completo blu con cui gioca la squadra, che ricorda i lavoratori dell’acciaio. Fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’SC Olympia si impone più volte a livello locale, divenendo così un habitué delle finali nazionali. L’apoteosi è raggiunta nel 1923, quando il club si classifica secondo nella fase finale di Verbandsliga, il nome dell’allora campionato nazionale, dovendo però cedere l’onore delle armi all’Amburgo nella finale persa nettamente per 3 a 0. Il 1945 stravolge, però, tutta la Germania: gli Alleati sciolgono, infatti, tutte le associazioni tedesche, incluse quelle di tipo sportivo. La squadra è quindi rifondata con tanto di nuovo statuto nello stesso anno, ma dura appena un lustro. Nel ‘50, infatti, comincia il delicatissimo, dal punto di vista geopolitico e non solo, processo di suddivisione di Berlino in due metà, che sarebbe poi culminato nel 1961 con la costruzione del Muro più malfamato della Storia: una parte della squadra riesce a stabilirsi a Berlino Ovest, mentre l’altra rimane ad Est. È proprio da questa metà orientale che nasce l’1. FC Union Berlin, denominazione assunta ufficialmente dal club a partire dal 1966.

L’Union Berlin è come un’araba fenice e muove i primi passi nel neonato mondo pallonaro della Germania divisa all’inizio degli anni Settanta. È un calcio, però, malato: a Berlino c’è, infatti, la Dynamo Berlin, una squadra, per usare un eufemismo, particolare. Non tanto perché in grado di mettere in bacheca dieci campionati di fila della DDR, ma perché il suo presidente è un tale Erich Mielke. Questi è uno dei padri della Stasi, il Ministero per la Sicurezza di Stato, la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca atta ad arginare le “Feindlich-negative Person”, le persone ostili-negative nei confronti del Partito Socialista Unificato di Germania. Completano il panorama calcistico dell’epoca le ben più attrezzate rispetto agli Eisernen Hansa Rostock, Lokomotiv Lipsia e Carl Zeiss Jena, società sempre ligie ai dettami del partito e tolleranti nei confronti di ogni broglio o soperchieria sportiva favorevole alla Dynamo. È in questa cornice che dobbiamo ricercare l’essenza dell’essere un Eisernen. Nonostante fosse, ed è tutt’oggi, quanto di più lontano esista da un ipotetico centro, l’Union Berlin incarnava i valori e gli ideali di milioni di persone dell’Est. L’Union rappresentava i lavoratori, senza che questo implicasse un suo schieramento a sinistra: la tifoseria, infatti, inglobava di tutto. Dalla subcultura punk (da cui deriva anche l’inno energicamente intonato dalla gloria locale Nina Hagen), agli skinheads, i neonazisti e diversi studenti di qualunque estrazione sociale e politica. Il denominatore comune era non perdere alcuna occasione per mostrarsi contro il dispotico regime dell’Est. Non esistevano, e non esistono ancora oggi, ultras o riferimenti per il tifo organizzato. Si stava e si continua a stare sotto un’unica bandiera. Tutti si battevano per non divenire ciò che non volevano essere. Mai si sarebbe collaborato con quella divisione che aveva sconvolto le vite di milioni di persone. Le soddisfazioni, ovviamente, non sono molte: nel 1968, i giallorossi berlinesi conquistano il loro primo trofeo, la FDGB Pokal, strappata alla squadra della Turingia, la Carl Zeiss Jena. Per i Köpenicker le gioie maggiori sono, però, i derby vinti contro “i porci della Stasi” della Dynamo, anche se quello di cui i tifosi hanno più lieta memoria è lo storico 8-0 del 2005, tuttora ricordato da un tabellone manuale all’interno dello stadio, in quarta serie, quando anche l’Union era precipitato, schiacciato dai problemi finanziari e salvato dai suoi tifosi che nel 2004 avevano iniziato a donare sangue agli ospedali, girando l’incasso (10 euro a donazione) al club.

Sciarpata allo Stadion An der Alten Försterei. – ©️ fc-union-berlin.de

Gli stravolgimenti del 1990 colgono l’Union in un momento economicamente difficile: per il biennio 1993-94, la neonata DFB nega ai berlinesi la promozione in 2 Bundesliga, conquistata sul campo, a causa di inadempienze finanziarie. Rischiato il fallimento definitivo nel 1997, l’Union inaugura il XXI secolo con una prestazione superlativa nel 2001 quando, oltre alla tanto agognata promozione in 2 Liga, conquista anche una insperata finale di coppa nazionale, poi persa per 2 reti a 0 contro lo Schalke 04, che le valse, per l’anno successivo, la gloria della partecipazione alla Coppa Uefa, esperienza europea durata soltanto due turni. La caduta del muro e l’inizio di una nuova era ha portato, nel frattempo, non pochi grattacapi anche alla galassia del tifo dell’Union. La fine inopinata del sistema contro il quale si erano sempre battuti ha significato il disorientamento totale. Il professarsi un Köpenicker era per molti una ragione di vita politica e sociale, oltre che sportiva. Attraverso l’Union si manifestava, si esprimeva un profondo disagio. Dal ’90 in poi, nulla attorno all’Union Berlin ha un briciolo di attualità: cori come “il muro deve andarsene”, o “meglio essere un perdente che un maiale della Stasi” non sono chiaramente più proponibili. Si è repentinamente passati dall’essere fieramente bollati come “gli altri” dalla Dynamo, all’essere sì “gli altri”, ma rispetto ai vicini dell’Hertha, i “cugini simpatici”, come li chiamano loro, proveniente dalla Bundesliga della Germania Ovest, con la quale la rivalità rimarrà sempre blanda e, anzi, s’instaurerà un rapporto fraterno. L’Union Berlin pare non avere più d’un tratto alcun senso. I tifosi hanno bisogno disperatamente di nuovi stimoli, di qualcosa che possa rimpiazzare degnamente la DDR. Quel qualcosa, col passare ineluttabile del tempo, è venuto a bussare alla porta dell’Eisern Union e si è palesato in tutte le sue luccicanti e opulente storture: si tratta dello spettro del calcio moderno o, come dicono da quelle parti, “den Modernen Fussball”. Nulla era finito in modo esiziale, anzi, una nuova sfida al palazzo era appena iniziata. Una lotta contro lo snaturarsi, contro l’ingresso in un mondo fatto di capitali e sponsorizzazioni che mai potranno essere parte preponderante del club di Köpenick. Un fiero ostruzionismo si era appena generato nei confronti di coloro i quali continuano tutt’oggi ad esigere, ad esempio, le curve senza più i posti in piedi.

Una veduta aerea della casa dell’Union Berlin. Sorprende il polmone verde che lo circonda e che offre un piacevole colpo d’occhio. – ©️ fc-union-berlin.de

Questa nuova missione abbracciata dai tifosi dell’Union Berlin è squisitamente esemplificata dalle straordinarie vicende che hanno interessato in questo primo scorcio di nuovo millennio la casa di tutti gli “schlosserjungs”: il meraviglioso Stadion An der Alten Försterei, il cui nome è traducibile come “Stadio nei pressi dell’Antica Casa del Guardaboschi”. Inaugurato nel lontano 1920, l’impianto deve il suo caratteristico appellativo al vicino bosco, che tuttora si deve attraversare per raggiungere lo stadio, con annessa la pittoresca casa del guardaboschi, oggi sede societaria dell’Union Berlin in magnifico stile rurale tedesco antico. I primi lavori di ristrutturazione nel corso degli anni ’70 e ’80 dotano l’Alten Försterei di due tribune centrali e portano al raggiungimento di una capienza complessiva di oltre 22.000 posti. La struttura inizia, però, a risultare obsolescente già a partire dagli anni ’90, ottenendo l’agibilità solo grazie al prolungamento annuale di deroghe temporanee. Questi prolungamenti terminano nel 2006, l’anno dei Mondiali in salsa tedesca: l’ondata di ammodernamento degli stadi in vista della kermesse calcistica per antonomasia non può più tollerare simili deroghe di sapore giurassico. Due, quindi, le soluzioni che vengono messe sul tavolo delle trattative a dirigenti e tifosi dell’Union: trasloco o ammodernamento. I tifosi e la società optano per la soluzione minoritaria: ristrutturazione. A differenza di tutti gli altri club, che salutano sbrigativamente le loro storiche strutture, uno su tutti il Bayern ed il suo Olympiastadion, i giallorossi decidono di non rinunciare alla loro casa, che li aveva amorevolmente ospitati per quasi 50 anni e in due Stati diversi (DDR e Bundesrepublik). Il senso di appartenenza e di attaccamento al luogo non poteva essere cancellato come un segno sulla spiaggia dalla risacca del mare.

Esilarante colpo d’occhio allo Stadion An der Alten Försterei, divenuto, in occasione dei Mondiali 2014, un enorme salotto in cui seguire in compagnia quella che poi si rivelerà essere una straordinaria cavalcata della nazionale di Löw. – ©️ fc-union-berlin.de

L’Union non è, però, un club di grande caratura. Le casse societarie non sono rimpinguiate periodicamente da introiti e sponsor e né la DFB né il comune di Berlino hanno intenzione di salvaguardare un impianto che sarebbe stato lontano dalle luci della ribalta del Mondiale 2006. I lavori, dunque, non rimane che farseli da soli: oltre 2000 tifosi si offrono come volontari e affrontano 140.000 ore di lavoro gratuito per il restauro quasi integrale dello stadio. Il tutto facendo affidamento su meno di tre milioni di euro di finanziamenti a propria disposizione, tutti arrivati dal basso e non dal comune, nonostante le fedifraghe promesse della municipalità di Berlino. Oggi, fuori dallo Stadion an der Alten Försterei, c’è un monumento molto particolare in memoria di quell’impresa: un caschetto da lavoro rosso, con incisi tutti i nomi degli operai che hanno contribuito alla realizzazione di un sogno. È al giorno d’oggi uno dei migliori impianti in cui respirare l’atmosfera verace del calcio tedesco: su 22mila posti, soltanto 3600 sono a sedere. È per buona parte di proprietà dei tifosi, che ne hanno acquistato diverse quote di proprietà. Nel 2014, in occasione dei mondiali in terra carioca, il terreno di gioco è stato riempito da più di 800 divani per poter guardare le partite della Mannschaft sul maxischermo piazzato davanti a uno delle due curve. Il der Alten Försterei è diventato così il “WM Wohnzimmer”, il “salotto del Mondiale”. Un altro appuntamento al quale non si può mancare è quello che ogni anno si tiene a Natale: lo stadio si riempie di tifosi, giocatori o anche semplicemente gente comune che bevono vino, accendono candele e intonano cori e canti natalizi. Anche questo è testimonianza di come gli Eisernen abbiano saputo reinventare la loro idea di calcio: sono rimasti un club vecchio stampo, in una Berlino che spesso vive il calcio con superficialità.

Berlino, 29 maggio 2019: i giocatori dell’Union Berlin festeggiano in compagnia dei tifosi la prima storica promozione in Bundesliga dall’alto della balconata del municipio di Köpenick. -©️ Getty Images

In occasione della prima storica partita dell’Union in Bundes nella stagione 2019-2020, i tifosi hanno esposto le fotografie dei loro compagni di tifo scomparsi in anni recenti per rivendicare che essi erano lì, con loro, a vedere per la prima volta l’Union scendere in campo per un match di massima serie. Un gesto che per qualcuno sarà anche un sottile esercizio di retorica, ma che, invece, riporta un po’ di purezza dove domina da troppo tempo incontrastata l’ipocrisia.

Berlino, 18 agosto 2019: i tifosi dell’Union Berlin sollevano al cielo i poster dei compagni di tifo scomparsi negli ultimi 30 anni prima dello storico debutto in Bundesliga contro il Lipsia al der Alten Foersterei. – ©️ Getty Images

VS su Telegram

Samuele Virtuani
Nato a Milano il 4 maggio 2001, è un grande appassionato di Storia, soprattutto contemporanea, nonché accanito calciofilo fin dai tempi delle scuole medie. Da novembre 2020 è speaker presso Radio Statale, per la quale ha ideato e condotto per due stagioni "BigBang Effect", un programma per menti in cerca di idee esplosive. Da ottobre 2022 ha virato verso lo storytelling sportivo con "Glory Frame", show radiofonico in onda tutti i martedì dalle 15:00 alle 16:00 sulle frequenze di Radio Statale e in podcast.

5 Comments

  1. Bellissimo articolo

  2. Ricco di storia, curiosità e più che mai attuale! L’inciso con il pezzo di Garbo, inno dell’allora New Wave italiana disprezzata dal compianto Battiato, è superlativo.

  3. Bello scorrevole e interessante.

  4. Bello anche se sono troppo giovane per il muro di Berlino.

    1. Tranquillo lo sono anche io… 😁

Comments are closed.

Login/Sign up