Ciclismo

Fuorigiri #001 – Primo colpo di pedale

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Macchina. Motore. Ruota.

Fuorigiri per l’Enciclopedia Treccani indica “la condizione di funzionamento di una macchina, generalmente un motore a combustione interna, che ruota a una velocità superiore alla massima stabilita”.

Ma facciamo un passo indietro, continuando a consultare l’Enciclopedia Treccani.

Una macchina corrisponde a un “complesso di organi collegati in modo che determinate forze applicate, dette forze motrici, compiano lavoro in vista di un determinato scopo, vincendo certe forze resistenti”.

Un motore è “ogni sistema materiale capace di trasformare una forma di energia qualsiasi in energia meccanica”.

Una ruota è “quell’organo meccanico a forma di disco, che può ruotare intorno ad un’asse passante per il suo centro e contemporaneamente, in taluni casi, spostarsi in direzione perpendicolare all’asse di rotazione”.

Nozioni di fisica, quelle che spesso mancavano nelle mie verifiche restituite in bianco nelle mani del professore. Ma chiudiamo un occhio su questo e andiamo avanti.

Nel ciclismo queste tre componenti si fondono in un tutt’uno e basta salire su una bici, scacciare via i pensieri, per rendersi conto della magia. “Quando appoggio al muro la mia bicicletta, vedo illuminarsi gli occhi dei passanti. Anche coloro che non sospetteresti essere ciclisti rallentano per osservarla. Possono avere dieci, come 100 anni, essere di fretta o avere tutto il tempo a disposizione. Non fa differenza, quello che è certo è che la bici attira la loro attenzione e per un attimo li distrae dai loro pensieri. Il desiderio di possedere una bicicletta ci accomuna tutti, nasce da bambini e alcuni lo assecondano, altri lo abbandonano, ma non smette mai di ardere sotto le ceneri” scrive Paul Fournel nel suo “Besoin de Vélo”.

Tornando alle nozioni precedenti e considerando la macchina come un complesso di organi possiamo ricondurla al nostro corpo intero, animato da diversi organi per l’appunto, che vince certe forze resistenti, i limiti che noi stessi ci poniamo.

Il motore, “capace di trasformare una forma di energia qualsiasi in energia meccanica”, la mente capace di trasformare ogni impulso in azione: “Colei che tutto move e puote”.

La ruota, quella fantastica invenzione che segna un’epoca (neolitica) e dà origine, insieme ad altre scoperte, all’età del bronzo. Mi viene da pensare all’antenato della bicicletta: il biciclo (1877), composto da un’enorme ruota anteriore alta tre metri con un metro e mezzo di diametro e che per salirci su occorreva una scala con sei gradini. Primi annunci di modernità, ai quali oggi noi guardiamo sorridendo, soprattutto alla luce dei tanti racconti; come quando all’imbrunire si vedevano passare quei mezzi spinti con forza da strani individui, nella campagna francese i contadini scappavano urlando, credendo d’aver visto il diavolo. Presto, nel 1885, il biciclo lascerà il posto alla bicicletta di oggi, alla “nuova amica che ci dà le ali per sollevarci al di sopra delle meschinità del mondo” (Maurice Leblanc, Voici des ailes).

In questo strano incrocio tra fisica, fantasia, storia e letteratura, torniamo al concetto da cui siamo partiti e dal quale prende il nome questo spazio. Nel ciclismo il fuorigiri rappresenta l’eccesso, quando si pedala a lungo con frequenze cardiache oltre la soglia anaerobica.

Per comprendere meglio concretamente il fuorigiri, anche con ironia, basta guardare una delle tante espressioni di Fabio Aru mentre attacca in salita. ©Gazzetta dello Sport

In senso lato, per me, il fuorigiri è quel guizzo che ci fa saltare con gli occhi incollati alla tv o a bordo strada, il colpo di genio, il momento che non dimentichiamo, forse il quid, l’essenza del ciclismo stesso. Uno sport costruito da episodi che restano scolpiti nella memoria e tramandati. Episodi che plasmano un’eredità gigante, formano il peso della storia che ogni corridore professionista o appassionato si porta sulle spalle.

Fuorigiri è l’andare contro gli schemi da parte di chi pedala, alzandosi sui pedali e smuovendo gli occhi dal computerino sul manubrio, all’inseguimento di un ciclismo fatto di fantasia, creatività, stravaganza e non regolatezza, sobrietà, matematica. Quest’ultimi sono gli ingredienti di un ciclismo che traduce costantemente le pedalate in watt. Ne va contrapposto invece uno, come scrivevo prima, fatto di corpo (macchina) mente (motore), al quale va aggiunto l’anima. Perché, come diceva Marco Pantani: “È inutile avere una bici leggerissima se ti porti nell’anima un corpo che pesa come un macigno”. Pantani era un esperto del Fuorigiri, per come lo sto intendendo. Pantani che andava a sensazioni e ha vinto poco, ma quelle vittorie non se le scorda più nessuno.

Fuorigiri è alzarsi sui pedali e sfidare la forza di gravità, è la danza di Alberto Contador. Fuorigiri è Fausto Coppi, l’Airone, che sferra l’attacco decisivo a 192 chilometri dal traguardo durante la Cuneo-Pinerolo (Giro 1949) oppure Charly Gaul, l’Angelo della Montagna, che viene trasportato a mano e immerso in una vasca piena di acqua calda per mezz’ora, dopo che a quattro gradi sotto lo zero, in maniche corte senza neanche il berretto in testa, sfidò la tormenta e stravinse sul Monte Bondone (Giro 1956). Ma Fuorigiri è anche Luigi Malabrocca che si nasconde nei pagliai e nelle stalle, Raymond Poulidor che sale otto volte sul podio del Tour de France senza mai indossare la maglia gialla. È Jacques Anquetil che si pettina prima di ogni traguardo, a favore delle sue ammiratrici.

Charly Gaul all’arrivo della Merano-Monte Bondone del Giro 1956. Il corpo era quasi congelato, la maglia gliela dovettero tagliare con un coltello. ©Il Foglio

Fuorigiri sono le divise della EF al Giro 2020 oppure quelle di Mario Cipollini, esperto di divise insolite, eccentriche, vistose, e poi di volate. Fuorigiri è Julian Alaphilippe che solleva troppo presto le braccia al cielo per festeggiare in posa con la maglia iridata e Primoz Roglic che lo beffa, è Cristopher Froome che corre a piedi sul Mont Ventoux tra due ali di folla.

Chris Froome corre a piedi sul Mont Ventoux durante la Montpellier-Chalet Reynard del Tour de France 2016. Richie Porte tampona una motocorsa e il britannico cade a ruota rompendo la bici. Ne prende una da uno spettatore, ma non riesce a pedalare e così continua a piedi verso il traguardo in attesa dell’ammiraglia. La direzione neutralizza l’incidente, salvando la maglia gialla di Froome. ©AFP

Fuorigiri è il maialino che viene consegnato al vincitore della Tro-Bro Léon, come lo era la maglia nera del Giro d’Italia (reinseritela!). Ma Fuorigiri sono anche le lacrime di Luis Ocaña dopo la caduta nella discesa bagnata del Col de Menté, quando aveva otto minuti di vantaggio su Eddy Merckx (Tour de France 1971), sono le scuse migliori e peggiori per giustificare un test antidoping non superato (veleno per topi, caramelle alla cocaina dal Perù regalate dalla zia, disfunzioni erettili per citarne alcune e senza fare nomi).

Fuorigiri è Alfonsa Rosa Maria Morini che si iscrive al Giro d’Italia 1924 come Alfonsin Strada, dato che alle donne era vietato partecipare, e conquista presto migliaia di tifosi, è Peter Sagan che fa “gruppetto” e impenna in salita o autografa la sua biografia ad un tifoso durante l’ascesa al Tourmalet.


Perfino i tifosi accampati sullo Stelvio la notte prima della tappa sono Fuorigiri e lo sono anche le mie scuse per non uscire di casa quando c’è un Grande Giro, una Monumento.

Fuorigiri è l’aria di festa che circonda la partenza o l’arrivo di una corsa, la spasmodica attesa a bordo strada di quell’alveare colorato che è il gruppo, il quale spesso sfugge via in un battito di ciglia lasciando un’aroma di magia.

Fuorigiri è tutto questo e tanto altro. Un diario sul ciclismo. Un ciclismo guardato, ascoltato, sfogliato, narrato in prima persona. Perché, come dice Peter Sagan: “Se ci sono cento ciclisti sulla linea di partenza, al traguardo ci saranno cento storie diverse da raccontare”. Fuorigiri proverà così ad entrare in punta di piedi dentro la corsa, sviscerandola, a volte con un taglio ironico, altre con uno sguardo romantico, altre ancora pungente. Lo farà senza una frequenza precisa, facendosi guidare dalla sete di conoscenza ciclismo e restando rigorosamente a ruota delle belle storie.


Immagine in evidenza: ©Giro d’Italia, Twitter

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Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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