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La dura legge del giocatore ‘UnDrafted’: bet on yourself

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Negli States la notte del Draft NBA ha un significato speciale, per certi versi unico nel suo genere: è il giorno in cui il sogno di 60 ragazzi – quelli selezionati al termine delle 60 scelte previste nell’evento – si realizza, mentre per centinaia di altri giovani si spezza, nella maggior parte dei casi in maniera definitiva. La snervante attesa del momento in cui il proprio nome venga pronunciato, vissuta assieme ai propri familiari e, spesso e volentieri, ad alcune figure importanti per il percorso di crescita del ragazzo tra High-School e College Basketball, è sempre cornice di sentimenti ed emozioni contrastanti.

Le lacrime, in genere, sono ciò che connette le due facce della medaglia: c’è chi si commuove per la gioia (vedasi la reazione di Obi Toppin qui sotto, scelto con la chiamata numero 8 dai Knicks al Draft di poche settimane fa) e chi piange per essere rimasto ‘UnDrafted’, ovvero il non essere stato scelto da nessuna franchigia: specialmente a caldo, lo si percepisce quasi come un fallimento personale.

La non chiamata assume con estrema facilità quel sapore amaro di sconfitta, dal quale il giocatore deve saper trarre le motivazioni necessarie per poter continuare il suo percorso, cercando di lavorare giorno dopo giorno per conquistarsi la fiducia di una squadra disposta a metterlo sotto contratto. Ecco che, negli anni, sono diversi i giocatori rimasti UnDrafted che hanno saputo costruirsi una carriera NBA di tutto rispetto: partendo dal basso, oggi spesso tramite contratti in prova, non garantiti o two-way (quest’ultimo implica trascorrere buona parte della stagione a farsi le ossa in G-League, ossia la Lega di sviluppo), c’è chi è stato in grado di compiere gradualmente una vera e propria scalata all’interno delle gerarchie, fino ad affermarsi come pedina fondamentale di determinate franchigie.

Tra i nomi del passato che appartengono alla categoria dei non draftati, non possiamo che citare tra gli altri John Starks, Bruce Bowen e Ben Wallace, rispettivamente elementi di assoluto valore dei Knicks anni ’90, degli Spurs e dei Pistons degli anni ’00. Passando al presente, al fine di avere una visione più ampia a riguardo, è interessante soffermarsi su 3 giocatori che si trovano in tre diversi momenti della propria carriera. Prima di iniziare, una menzione speciale la merita Udonis Haslem, quest’anno alla 18esima stagione su 18 con la maglia dei Miami Heat.

 

Christian Wood (Houston Rockets)

Partiamo da un’immagine, piena di significato, che testimonia in toto quanto scritto sopra riguardo allo stato di desolazione e delusione di un giocatore il cui nome non figurò in nessuna delle 60 chiamate della Draft Night.

Per i successivi 4 anni Christian Wood, prodotto dell’Università di Nevada, ha visto aprirsi e chiudersi più volte le porte della NBA, senza mai poterla assaggiare davvero. Nell’ordine fu messo sotto contratto e poi tagliato dai Philadelphia 76ers (per fare spazio all’ormai vecchio e logoro Elton Brand, futuro GM della franchigia), dagli Charlotte Hornets, dai Milwaukee Bucks (per firmare Pau Gasol) e infine dai New Orleans Pelicans, che necessitarono di fare spazio nel roster per gli asset che arrivarono in cambio nella trade per Anthony Davis. Il tutto giocando a malapena un totale di 51 partite, dove il minutaggio fu consistente (23.6 di media) solo nelle 8 gare disputate a New Orleans durante l’assenza di AD prima dello scambio che lo ha visto lasciare la Louisiana; fu allora che ebbe la possibilità di mettere in mostra lampi del suo talento. Per il resto, quasi esclusivamente G-League per lui.

Fatto sta che Wood si è ritrovato ai nastri di partenza della stagione 2019/20 a giocarsi l’ultimo posto – il quindicesimo – del roster dei Detroit Pistons con il 38enne Joe Johnson, dato per favorito nel guadagnarsi quel posto. Presentatosi al training camp con un contratto parzialmente garantito, Christian Wood è riuscito alla fine a convincere la dirigenza a firmarlo. Dopo l’addio da Motor City di Andre Drummond alla Trade Deadline, nella parte finale della Regular Season prima della sospensione causa COVID-19 del famoso 11 marzo, Wood ha avuto finalmente tutto lo spazio per esprimersi al meglio: nelle ultime 15 gare ha viaggiato alle notevoli medie di 22.3 punti, 9.5 rimbalzi e 1.0 stoppate ad allacciata di scarpe, tirando con il 56.2% dal campo e il 41.0% dall’arco. Lungo versatile, capace di fare più che dignitosamente un po’ tutto; è a tutti gli effetti un giocatore ideale per la pallacanestro moderna.

Nella (inusuale) Free-Agency di novembre, l’ex-Pistons si è rivelato essere uno dei pezzi più intriganti del mercato: ad ingaggiarlo sono stati gli Houston Rockets, con un triennale da $41M. La franchigia texana, pronta ad aprire un nuovo ciclo dopo l’addio del GM Daryl Morey, di Coach Mike D’Antoni e l’arrivo sulla panchina di Stephen Silas, ha tutto l’interesse nel renderlo uno dei perni centrali del suo sistema. L’opportunità che Christian Wood aspettava da 5 anni è finalmente arrivata: a lui, adesso, spetterà ripagare la fiducia che finalmente una franchigia ha riposto in lui.

Buona fortuna, Christian!

 

Wesley Matthews (Los Angeles Lakers)

Uno degli ‘UnDrafted’ più navigati all’interno della Lega, giunto quest’anno alla sua stagione numero 12 in NBA, Matthews è stato autore di un inizio di carriera più “fortunato”, se così si può definirlo, di molti suoi colleghi che non sono stati scelti al Draft. Il prodotto di Marquette (stesso College di Jimmy Butler e Dwyane Wade, tra gli altri) fu infatti firmato dagli Utah Jazz, franchigia che gli fornì una vetrina importante fin da subito: 82 partite giocate su 82 nell’anno da Rookie, di cui 48 da titolare, con una media di quasi 25 minuti a partita.

L’anno successivo passò ai Portland Trail Blazers dove, per 5 stagioni, fu in pianta stabile parte del quintetto titolare. Matthews, guardia tiratrice con il 38.1% da 3 in carriera, noto inoltre per essere un difensore di ottimo livello nel suo ruolo, deteneva fino a poche settimane fa ben due record assoluti per un giocatore non draftato. Uno dei due è stato battuto dal giocatore di cui parleremo tra poco, l’altro lo possiamo menzionare: Wesley Matthews è attualmente il giocatore ‘UnDrafted’ che ha segnato il maggior numero di triple nella storia NBA (1’669, 25esimo all-time), l’unico sopra quota 1’500 tra coloro non scelti al Draft.

Il 34enne nativo del Texas è sempre stato estremamente costante, viaggiando in doppia cifra di media per punti dal 2010//11 al 2018/19. Inoltre, è partito titolare nel 92.1% delle sue partite giocate in NBA (729 delle 791 totali). Va poi sottolineato che, nel marzo 2015, subì la rottura del tendine d’achille del piede sinistro, e dopo soli 7 mesi, fu presente a ottobre al via dell’annata seguente in maglia Mavs (firmò con Dallas in quell’estate). Tuttora si tratta di uno dei recuperi più rapidi per un giocatore di pallacanestro da questo genere di infortunio. Dopo aver giocato per i Milwaukee Bucks nella passata stagione, quest’anno Matthews ha firmato un annuale da $3.6M con i campioni in carica, vale a dire i Los Angeles Lakers.

Per Wesley, dunque, si profila una stagione in cui potrà puntare a vincere l’anello – obiettivo mai accarezzato nemmeno da vicino finora in carriera – con i gialloviola che si auspicano possa essere un giocatore importante su entrambe le metacampo all’interno del sistema di Coach Frank Vogel.

 

Fred VanVleet (Toronto Raptors)

Tra i giocatori ‘UnDrafted’, colui che si è preso maggiormente le luci della ribalta nelle ultime due stagioni è sicuramente il signore in questione che, nella Free-Agency 2020, ha firmato un quadriennale da $85M con i Toronto Raptors, giurando quindi fedeltà alla franchigia canadese con la quale è cresciuto e sbocciato, oltre ad aver vinto lo storico titolo NBA nella stagione 2018/19, recitando un ruolo più che fondamentale nella conquista dell’anello. Qualora ve lo steste chiedendo, sì: Fred VanVleet è diventato il giocatore non draftato più pagato della storia, in termini di singolo contratto, superando proprio Wesley Matthews che nel 2015 firmò un quadriennale da $70.06M.

Il percorso che ha portato il 26enne dell’Illinois ad avere il successo che si è meritato sul campo in questo biennio è stato tutt’altro che scontato. Il titolo di questo pezzo fa riferimento proprio a un suo tweet, scritto la notte del 23 giugno 2016, data della Draft Night di quell’anno.

Scommetti su te stesso. Nessuno quel giorno scelse Fred VanVleet, ma ciò non significò altro che aggiungere ulteriori motivazioni nel serbatoio per la point-guard di Wichita State. O meglio, le due franchigie che si proposero a lui inizialmente lo avrebbero solamente fatto giocare nella Lega di sviluppo e, in seguito, molto probabilmente, sarebbe stato tagliato. Furono i Toronto Raptors a puntare su di lui, squadra nota negli ultimi anni per l’ottimo lavoro svolto per quanto riguarda l’ambito del player development (un esempio lampante è l’ascesa di Pascal Siakam).

Dopo un primo anno perlopiù di ambientamento, è dalla sua seconda annata nella Lega (2017/18) che ha visto il suo minutaggio elevarsi in maniera importante, e di conseguenza le sue prestazioni. Nella stagione scorsa, quella post-titolo, siamo stati testimoni della sua affermazione definitiva: 17.6 punti, 6.6 assists e 1.9 recuperi ad allacciata di scarpe, disputando 54 gare su 54 da titolare nell’accorciata stagione regolare. VanVleet aveva dichiarato di voler ‘fare cassa’ una volta che si sarebbe aperto il mercato, e la franchigia canadese ha deciso di riempirgli le tasche con un contratto importante, dimostrando di voler fare di Fred uno dei punti di riferimento del futuro prossimo dei Raptors.

Fred VanVleet in maglia Raptors – ©️ Mark Blinch/NBAE via Getty Images

Per chiudere il cerchio, è evidente come negli anni sono tanti i giocatori ‘UnDrafted’ che hanno saputo ritagliarsi il proprio ruolo nella National Basketball Association: la maggior parte dei ragazzi è ormai consapevole che bisogna cogliere al volo ogni possibilità che ti viene fornita e, come ha ricordato Luguentz Dort – giocatore ‘UnDrafted’ nel 2019 messosi in mostra nella bolla di Orlando e di cui, probabilmente, avremo modo di parlare in futuro – con questo Tweet la notte del Draft di quest’anno, quella chiamata è solo un numero.

 


©️ Immagine in evidenza: Ashley Landis-Pool / Getty Images

Michele Moretti
Nato e cresciuto con la passione per lo sport. La pallacanestro nel mio cuore, seguita e praticata sin da bambino. Calcio, Ciclismo e Tennis le altre discipline che guardo appassionatamente. Qui per provare a raccontarvi le emozioni che lo sport ci regala ogni giorno.

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