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La Ryder Cup sbarca in Italia, guida alla 44ª edizione

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Quando si pensa alla Ryder Cup, e al golf in generale, spesso si richiama la tradizione. Uno sport dai valori e dalle prassi ben radicate si dice. Eppure non tutti sanno che la più celebre competizione nel golf, la “Ryder” appunto, ha più volte cambiato pelle nella sua storia. Giunta oramai alla 44ª edizione, è oggi conosciuta come la sfida tra Europa e USA. Di fatto però la competizione assunse questa veste soltanto a partire dal 1979, oltre un cinquantennio dopo la sua nascita (1927). Fino ad allora il confronto vedeva opposti gli Stati Uniti alla Gran Bretagna (cui si era aggiunta l’Irlanda nel ’73). E il movente di questa evoluzione fu, banalmente, lo squilibrio nei risultati. Tranne rare eccezioni infatti a prevalere era sempre la formazione statunitense e l’esigenza di ravvivare l’interesse per la sfida portò ad aprire verso l’Europa continentale. Col senno del “poi” la strada intrapresa fu quella giusta…

Format e punteggio nella Ryder Cup

La natura di competizione a squadre della Ryder Cup non si adatta alle modalità di un comune torneo individuale di golf, ma implica delle particolarità. Nello specifico la sfida mette in palio 28 punti totali, derivanti da sedici match di doppio e dodici “singoli”. Nelle prime due giornate i team, composti ciascuno da dodici giocatori, si scontrano nei “doppi”, divisi equamente in otto “four-balls” e otto “foursomes“. Quest’ultima modalità prevede che i membri di ogni coppia giochino le buche alternandosi. La precedente permette invece ad ognuno di giocare interamente le buche, garantendo che il risultato di coppia sia il migliore dei due conseguiti singolarmente. La domenica spazio ai singoli, scontri “match play” in cui prevarrà chi saprà aggiudicarsi il maggior numero di buche nelle sfide dirette.

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Le tribune del tee della “1” del “Marco Simone GC” da dove cominceranno i match

Va precisato poi che in Ryder Cup è ammissibile il pareggio, tanto nelle singole buche, come negli interi match. Le buche concluse dai rappresentanti dei due team con egual numero di colpi risultano per l’appunto pareggiate. Inoltre, se giunto alla “18” un match dovesse risultare in parità, non si procederebbe ad alcuna buca di spareggio, bensì si assegnerebbe mezzo punto per squadra. Se vorranno strappare la coppa a Team USA, vincitore nel 2021 a Whistling Straits, i ragazzi europei dovranno totalizzare dunque almeno 14 pt. e ½. Al termine delle tre giornate infatti non è ammessa la parità e, nell’eventualità di 14 pari, il trofeo rimarrebbe ai campioni uscenti.

Un esito quanto mai incerto

Nonostante gli ultimi tre vincitori Major facciano parte di Team USA (Brooks Koepka, Wyndham Clark e Brian Harman) e 7 dei primi 12 golfisti al mondo siano statunitensi, la sfida si preannuncia assai equilibrata. Team Europe sarà composto infatti da un mix di campioni assoluti con esperienza in Ryder e giovani pronti a stupire. La squadra capitanata dall’inglese Luke Donald, innanzitutto non potrà prescindere dal rendimento dei suoi tre fuoriclasse: Rory MciIlroy, Jon Rahm e Viktor Hovland. L’Europa potrà contare poi su numerosi altri elementi di valore. Dalla grande esperienza di Justin Rose, all’affidabilità e classe del trio inglese Tommy Fleetwood, Matthew Fitzpatrick, Tyrrell Hatton.

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Jon Rahm e Rory Mcilroy nella sconfitta europea in Wisconsin del 2021

Non mancheranno comunque alcune incognite da un lato e dall’altro. Saranno infatti ben quattro per squadra gli esordienti nell’edizione romana di Ryder Cup. Come detto, W. Clark e B. Harman vengono da vittorie major capaci di infondere loro grande consapevolezza nei propri mezzi. Sam Burns invece nel 2023 si è aggiudicato il WGC-Dell Match play, il maggior torneo stagionale con formula “match-play”, la stessa impiegata in Ryder Cup. Pochi dubbi dunque sul valore assoluto dei debuttanti sponda statunitense. Qualche leggera difficoltà potrebbero incontrarla piuttosto per ciò che concerne l’adattamento alle condizioni di gioco. Problematica questa che, almeno teoricamente, dovrebbe condizionare meno due dei quattro rookies europei, Nicolai Højgaard e Robert Macintyre. Questi ultimi infatti si sono imposti rispettivamente nelle edizioni ’21 e ’22 dell’Open d’Italia, disputate proprio sul percorso del Marco Simone GC.

Il “fattore campo” in Ryder Cup

Tutti gli appassionati, italiani e non, avranno negli occhi la roboante vittoria di Team Europe a Le Golf National di Parigi datata 2018. Quel trionfo (17 ½-10 ½) fu agevolato però, almeno parzialmente, da un percorso ideale per i ragazzi guidati dall’allora capitano Thomas Bjørn. Campi non eccessivamente lunghi, con fairway stretti e rough punitivi tendono infatti ad esaltare le qualità dei golfisti di scuola europea.

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T. Fleetwood e F. Molinari durante una delle loro quattro vittorie in doppio nella Ryder Cup 2018

Andando più a ritroso nel tempo però la “regola del fattore campo” resiste, almeno per l’Europa, da ben sei edizioni. L’ultima volta che Team USA riuscì ad aggiudicarsi la coppa nel Vecchio Continente risale infatti ad un trentennio fa. Era il 1993 quando gli statunitensi, capitanati da Tom Watson, si imposero a “The Belfry“, in Inghilterra, con lo score di 15-13. Per allungare dunque l’imbattibilità casalinga Team Europe farà ricorso a tutte le risorse a disposizione. Non ultime la preparazione ad hoc e la maggior conoscenza del percorso del Marco Simone.

Le peculiarità del percorso

Dal 2018 il campo ad est della Capitale ha subito profonde trasformazioni in vista di questo evento di portata globale. Le ultime tre edizioni dell’Open d’Italia, giocate proprio a Guidonia-Montecelio, hanno restituito sensazioni positive sulla qualità del restyling. I green del percorso, totalmente rinnovati e insidiosi per le numerose contropendenze, non raggiungeranno velocità elevatissime, per evitare di avvantaggiare gli statunitensi, abituati a green estremamente rapidi sul PGA Tour. Il rough, specie intorno ai green, risulterà invece assai penalizzante, tentando così di premiare la possibile maggior precisione dei giocatori europei nei colpi “alla bandiera”.

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Il rookie austriaco Sepp Straka uscendo dal bunker della “16” in un giro di prova

Il disegno del Marco Simone GC saprà offrire ad ogni modo grande spettacolo e pathos. Molte delle buche finali si prestano infatti ad interpretazioni e strategie differenti, che indurranno i giocatori in svantaggio a prendersi i rischi maggiori per tentare di riportare in equilibrio gli incontri.

L’unicità della Ryder Cup

Il nostro Paese si accinge dunque ad ospitare uno dei più grandi eventi sportivi nel panorama globale. Non mancherà, tra le altre cose, un pizzico d’Italia nel team europeo. Nonostante non vi siano infatti giocatori azzurri nei “dodici”, tra i cinque vice-capitani figurano anche i nomi dei fratelli Francesco ed Edoardo Molinari. Il ruolo del vice-capitano risulta essere del tutto peculiare in Ryder Cup. È qualcosa più di un semplice supporto per i giocatori e nel contempo coadiuva il capitano nelle scelte più delicate, specie nell’assemblare i doppi. I due campioni torinesi, reduci entrambi da edizioni vittoriose in Team Europe, cercheranno dunque di mettere la loro esperienza al servizio di capitan Luke Donald e dei ragazzi più giovani.

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Da sinistra a destra Edoardo Molinari, Luke Donald e Francesco Molinari

Alla luce di quanto detto finora non sembra mancare davvero nulla per una grande edizione di Ryder Cup, sulla carta tra le più equilibrate degli ultimi anni. Nonostante infatti il fattore campo, la miglior conoscenza del percorso e l’esperienza premino l’Europa, Team USA rimane una corazzata. Fino a pochi mesi fa, molti giocatori chiave europei vivevano un momento di appannamento e gli statunitensi, capitanati da Zach Johnson, sembravano essere favoriti. Ad oggi le cose stanno diversamente e Team Europe pare in condizione di riscattarsi dal pesante tracollo del 2021. La sfida è lanciata e non ci resta che attendere per scoprire chi solleverà nel cielo di Roma il trofeo più ambito del golf mondiale.

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Il trofeo della Ryder Cup


Immagine in evidenza: © Photo by Paolo Bruno/Getty Images

Riccardo Taborro

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