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La Valle dei Templi – Stadio Sinigaglia o “Perdere l’amore”

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La speranza è sempre l’ultima a morire, soprattutto quando sembra impossibile che un traguardo non possa esser raggiunto e che semplicemente il destino ha deciso di fare un piccolo scherzo prima di offrire una seconda chance decisiva. Eppure a volte il lume della speranza si spegne proprio quando la linea d’arrivo sembra esser nell’imminenza di esser tagliata e il risultato è soltanto una questione di tempo.

E’ il caso dello scudetto 1985-86, apparentemente già nelle mani della Roma e svanito improvvisamente in un caldo pomeriggio di maggio allo Stadio Comunale “Giuseppe Sinigaglia” di Como, a due passi dal Tempio Voltiano e dall’hangar dell’Aero Club Como. Perchè all’ombra del Cupolone tutti ricordano la disfatta con un Lecce già retrocesso e le ancora insistenti chiacchiere sulle combine, in pochi sanno che i veri giustizieri dei giallorossi furono i lariani, vincenti come i canottieri che solcano le placide acque del lago tanto amato da Alessandro Manzoni.

Lo Stadio Comunale “Giuseppe Sinigaglia” fotografato dall’alto © Wikipedia

Proprio a uno di loro è dedicata la struttura, voluta da Benito Mussolini e inaugurata nel 1927 in occasione delle Celebrazioni Voltiane, un vero e proprio simbolo di quell’architettura razionalista che stava gradualmente prendendo piede in Italia. Il progetto, seguito dall’architetto milanese Giovanni Greppi, era stato concepito con l’obiettivo di sostituire l’ormai superato Campo Polisportivo Garibaldi e offrire un impianto in grado di ospitare diversi sport grazie alla presenza di una pista per ciclismo di 500 metri e una d’atletica lunga 450 metri.

Lì ci aveva costruito la propria brillante carriera Giuseppe Sinigaglia, figlio del lago, ma soprattutto sportivo a 360 gradi. Ginnasta, lottatore, podista, saltatore, lanciatore del disco, il giovane comasco era cresciuto sul prato dedicato all’ “Eroe dei Due Mondi” prima di approdare alla Canottieri Lario e cimentarsi nella sua disciplina preferita: il canottaggio. Remando sul vicino specchio d’acqua Sinigaglia divenne una leggenda del canottaggio tanto da vincere titoli italiani e europei, ma soprattutto la prestigiosa “Diamond’s Sculls” diventando il primo azzurro a parteciparvi e a esser premiato dalla Regina d’Inghilterra Mary di Teck.

Giuseppe Sinigaglia © Il Quotidiano del Sud

Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale spazzò via il sogno del vogatore tricolore che, complice la sua struttura fisica imponente, lo portò ad esser arruolato nel 2º Reggimento dei Granatieri di Sardegna. Protagonista dell’offensiva del 9 agosto 1916 che consentì all’Italia di conquistare il Monte San Michele, il tenente Sinigaglia trovò la morte poche ore dopo esponendosi da una trincea e venendo raggiunto da una scarica di mitragliatrice nemica. Trasportato la sera nell’ospedaletto da campo di Crauglio, frazione di San Vito al Torre, Sinigaglia morì nel pomeriggio del 10 agosto 1916 venendo così decorato con la medaglia d’argento al valor militare.

Quelle placide acque amate da Sinigaglia non sarebbero potute diventare in alcun modo burrascose per la Roma di Sven Goran Eriksson che, dopo aver fatto i conti con l’incredibile sconfitta con il Lecce, aveva ancora l’opportunità di centrare lo spareggio per lo scudetto superando un Como ormai tranquillo e senza più nulla da chiedere al campionato. Dopotutto la squadra capitanata da Carlo Ancelotti aveva compiuto una rimonta incredibile che l’aveva condotta al termine della primavera a raggiungere una Juventus in caduta libera, battuta a domicilio per 3-0. Eppure la settimana precedente il Lecce dei fratelli Di Chiara aveva distrutto le certezze dei capitolini superandoli per 3-2, un risultato che sapeva di psicodramma complice il gol di Michael Laudrup che aveva regalato alla Juventus di Giovanni Trapattoni il successo per 1-0 sul Milan.

Le azioni di Como-Roma 1-0, ultima giornata della Serie A 1985-86 © Almanacco Giallorosso

Nulla era però perduto, le possibilità di compiere un miracolo nella terra di Alessandro Volta c’erano tutte e lo spareggio scudetto appariva soltanto una formalità. Certo, serviva un suicidio dei bianconeri, proprio con i salentini che si erano eretti a giustizieri dei giocatori presieduti da Dino Viola. Nulla però appariva impossibile tanto che i tifosi giallorossi raggiunsero le sponde del Lago di Como in massa, orgogliosi del loro amore incondizionato per la “Magica”.

Come nei più prevedibili epiloghi, la flebile fiamma si spense dopo meno di sessanta secondi complice un’incornata di Mats Dan Erling Corneliusson, svedese particolarmente amato dal pubblico casalingo grazie alla rete messa a segno contro la Juventus negli ottavi di Coppa Italia. Quasi a voler bilanciare la situazione l’attaccante scandinavo mise a segno una delle due reti realizzate con la maglia azzurra segnando definitivamente la fine della Roma.

La sconfitta di Como rappresentò per la Roma la fine di un’era segnata dallo scudetto del 1982 e da quel clamoroso K.O. con il Lecce che rimarrà per sempre nella mente dei tifosi al pari della finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori con il Liverpool.

La pagina della Gazzetta dello Sport dedicata a Como-Roma 1-0 © Almanacco Giallorosso

Perchè le partite sono un po’ come quelle sere in cui si perde l’amore, quelle in cui ogni speranza si spegne mentre i vetri vanno in frantumi e non resta che picchiare la testa contro il muro.

Perdere l’amore
Maledetta sera
E raccogli i cocci
Di una vita immaginaria
Pensi che domani
È un giorno nuovo
Ma ripeti non me l’aspettavo
Non me l’aspettavo

Prendere a sassate
Tutti i sogni ancora in volo
Li farò cadere ad uno ad uno
Spezzerò le ali del destino
E ti avrò vicino
Perdere l’amore

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Marco Cangelli
Giornalista presso la testata online "Bergamonews" e direttore della web radio "Radio Statale", sono un appassionato di sport a 360 gradi. Fondatore del format radiofonico "Tribuna Sport" e conduttore del programma "Goalspeaker", spazio dal ciclismo all'atletica leggera, passando per lo sci e gli sport invernali

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