Ciclismo

Landa, il gregario che vuol essere capitano

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Si può essere campioni pur essendo gregari? Mikel Landa, basco di Mungia, orgoglioso di portare con sé e mostrare la propria appartenenza territoriale come figlio di una comunità speciale, reincarna lo spirito di opulenza, forza e determinazione da offrire per il bene unico di un obiettivo prefissato più dalla squadra, piuttosto che in termini personali. Landa, 30 anni a dicembre, ha il pregio di non nascondersi quando la strada si fa in salita, ma non lo scopriamo oggi.

Nel 2015 fu semplicemente straordinario al Giro e alla Vuelta, in appoggio a Fabio Aru che arrivò dietro soltanto a un certo Alberto Contador nella Corsa Rosa, ma colse la sua ad oggi più importante vittoria nei grandi giri, conquistando la maglia rossa ed entrando di diritto tra i campioni di questo nobile sport. In entrambe le occasioni, c’era anche lui, Mikel Landa Meana, e addirittura vinse tre tappe: dopo aver inanellato due perle a Madonna di Campiglio e sull’Aprica, alla Vuelta s’impose nella tappa regina Andorra la Vella-Cortals d’Encamp.

Ed è così che il gregario voleva diventare capitano. I numeri c’erano e nel 2016 si presenta ai nastri di partenza con i gradi massimi nel Team Sky proprio al Giro d’Italia, ma è proprio qui che comincia il dilemma in occasione del ritiro nella tappa numero dieci: Landa ha i numeri per fare il capitano? L’anno successivo si rende protagonista assoluto al Tour de France, ma solo per accompagnare Chris Froome a Parigi in giallo. Così detto, sembra riduttivo: Mikel poteva nientemeno far saltare il banco nelle tappe di montagna, nonostante la scottatura del podio perso da Bardet per un solo secondo. C’è tuttavia un dato da non sottovalutare: pur in cerca di gloria e forse un po’ più di fortuna, il basco è un corridore esperto e autentico uomo squadra, in grado di fornire una considerevole tranquillità per tutta la squadra, anche in occasione del passaggio alla Movistar

Tra le fila del team di Unzuè la rivalità è eccessiva, ma Landa sa che è sempre la strada a dettare le gerarchie e le sue chance di poter vincere un grande giro crescono quasi vertiginosamente. Si arriva al Giro d’Italia di quest’anno con una Movistar che deve fari i conti con il forfait di Valverde, pronta però a calare un doppio asso: Carapaz da una parte, il forte scalatore basco dall’altra. Alla vigilia sembra proprio Mikel, come da pronostico, ad avere tutta la squadra a sua disposizione e soprattutto i numeri, finalmente, per la definitiva consacrazione.

Prima le cadute, poi i problemi fisici, quindi l’allergia al polline. E invece no, basta così. Ora Landa è in gran forma e può vincere, in salità dimostra di essere incontenibile, il più forte, quello che prima o poi dà la mazzata finale da annichilire i suoi avversari e infiammare i tifosi. Qualcosa, tuttavia, non torna: Carapaz va, dimostra intelligenza e anche un certo opportunismo sano da portarlo in maglia rosa, per non lasciarla più. E ancora una volta Mikel è costretto a fermarsi e dedicarsi alle esigenze di una Movistar ormai lanciata verso la vittoria finale, ma lo fa con grande stile e una professionalità ineccepibile. E dal desiderio di essere capitano, Landa torna a vestire i panni dello straordinario gregario di lusso, il più forte a vedersi.

Mikel fa la corsa per Carapaz, che gli restituisce il favore nella penultima tappa allo scopo invano di portare a casa almeno il podio. I due Movistar tengono il passo insieme con Pedrero e non perdono la testa sul Mortirolo, discesa annessa, così da non far scappare del tutto l’avversario più temuto, Vincenzo Nibali. A Verona fa festa in rosa l’ecuadoriano, per il basco la soddisfazione di mettersi in proprio, di aver ancora una volta sfornato il suo landismo con il suo stile leggero e le qualità sopraffine da scalatore, le quali ancora una volta non sono bastate. Anche lui lo sa e il Tour de France si avvicina. Quintana vuole essere il leader unico nel team, Valverde annuncia la sua presenza e non ha la minima intenzione di svolgere un ruolo secondario. E poi c’è Landa, l’uomo squadra a reclamare un posto in prima fila.

Alla Grande Boucle vuole provare a vincere, consacrarsi, dimostrare di poter essere il capitano che tutti vedono come un fantastico gregario di lusso. Ed ora tocca a lui trasformarsi dal miglior numero due di una squadra al mondo in un capitano con in numeri per vincere.

 

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