Ciclismo

Liegi-Bastogne-Liegi: tutti a raccolta, tregua a nessuno

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Il gran finale delle Classiche di Primavera è arrivato e dà appuntamento a Liegi, centro culturale e commerciale della Vallonia francofona. Qui nel 1106 morì Enrico IV, storico Imperatore del Sacro Romano Impero. Otto Secoli più tardi, nel 1918, diede i natali al pittore e fotografo specializzato nelle diapositive Henri Brasseur. Nel 1982 vi nacque la campionessa del Tennis, Justine Henin, quattro volte vincitrice al Roland Garros, oltre alle affermazioni agli US Open (due) e agli Australian Open (una).

Dal 1892 è teatro di partenza e arrivo della Doyenne, chiamata così per via della sua longevità, tale da renderla la più antica delle classiche. La Liegi-Bastogne-Liegi non è mai una corsa banale: chiama tutti a raccolta, non dà tregua a nessuno. Chiude il Trittico delle Ardenne e con esso la stagione che precede l’epopea dei grandi giri, ma lo fa senza alcuna intenzione di portare in scena un lungo arrivederci, talvolta contornato da lacrime di tristezza e ingenua nostalgia. Non vi sarà spazio alcuno domani per rivivere con la mente quanto accaduto tra i fiori di Sanremo, il pavé, le strade della birra e Huy.

A Liegi si farà sul serio, prendere o lasciare. E per non lasciare nulla al caso, gli organizzatori hanno deciso di dare una ventata d’aria fresca rompendo gli argini e i dogmi del passato, rivoluzionando i 256 km di percorso per mantenerne la tradizione, ben lontano tuttavia dal lapallissiano italiano tutto cambi affinché nulla cambi. Quest’anno cambia lo scenario finale: niente più Côte de Saint-Nicolas e strappo conclusivo di Ans, l’ultima côtes sarà ai -15 dal traguardo, quando sarà la Côte de la Roche-aux-Faucons a rappresentare l’ultima chance per gli scalatori.

Tutti a raccolta, appunto. Ma gli scalatori sono avvisati. Per evitare la zavorra degli uomini con lo spunto veloce, devono attaccare e sperare in un arrivo solitario. Perché il nuovo percorso aiuta maggiormente un arrivo sì ristretto, ma composto da un gruppetto anche piuttosto folto nel minimo possibile, in grado comunque di evitare un atto conclusivo come quello dello scorso anno firmato Jungels. Chiaramente, tra le altre dieci côtes, Col du Rosier può rappresentare un potenziale trampolino di lancio con i suoi 4000 metri al 5,9% di pendenza media ai -60. Ma è soprattutto la mitica Redoute, ai -39, 2 km all’8,9%, a fungere da imponente spartiacque a segnare il destino della corsa. Da qui può andar via un buon drappello di uomini, guai a rimanere indietro.

Gli ultimi 15 chilometri saranno in pianura, ma sarebbe una deduzione errata pensare che possano essere il paradiso: le precedenti insidie, una più dura dell’altra, potrebbero rendere quella che in altre situazioni chiameremmo una passerella un’immensa voragine di energie residue. Una volta giunti a Liegi, si potrà vedere il paradiso, ma sarà un privilegio per un uomo soltanto, il prescelto della Doyenne. Che in tanti già lo vedono con le sembianze del personaggio del momento, Julian Alaphilippe, dominatore in lungo e in largo di questa Primavera a partire dalle Strade Bianche, passando per la Sanremo e la Freccia Vallone. Con il cambio del percorso, però, gli servirà sia una squadra perfetta, sia una condizione che non lo tradisca sul più bello.

A rovinargli la festa, neanche a dirsi, è pronta la sua nemesi: Jakob Fuglsang è arrivato al punto del noto ora o mai più senza giri di parole. In forma straordinaria, per il danese si presenta l’occasione della vita nella classica che forse più si addice alle sue caratteristiche. Poi c’è Alejandro Valverde nella sua corsa, ma avrà bisogno molto più della sua classe per raggiungere Eddy Merckx a quota cinque vittorie.

Quindi Michael Matthews, tra i maggiori favoriti con questo percorso: ha lo spunto veloce e può recuperare nel tratto finale qualora risultasse leggermente staccato sull’ultima asperità, ma corre il rischio di essere tagliato fuori se davanti se ne accorgono. Kwatkowski, invece, proporrà in prima persona a regalare l’ultima gioia al Team Sky prima delle addio alle corse, quando il 2 maggio diventerà Ineos (cambia il nome, non la sostanza). Occhio anche a Wellens, Lambrecht e Bardet nella schiera degli outsider niente male

A guidare la pattuglia italiana, neanche a dirsi, c’è Vincenzo Nibali. La Liegi è la sua classica, nella città belga ha un conto aperto dal lontano 2012, al Tour of the Alps ha dato dimostrazione di avere con sé testa, gambe e morale. Non fa promesse, ma proverà a far saltare il banco. Così come Formolo, che arriva alla Liegi per sognare in grande, e Ulissi, forte quest’ultimo del sorprendente terzo posto ottenuto sul muro di Huy. E infine lui, il re delle Fiandre, Alberto Bettiol: non ha nulla da perdere, può correre senza tarli in testa, ha un team tornato ad essere tale. Per vincere sarà necessario l’effetto sorpresa, una dote che certamente non gli manca.

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