Ciclismo

Mathieu van der Poel e Wout van Aert, i predestinati del Nord

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Appassionati delle ruote lenticolari, segnatevi a penna e imprimete nella vostra mente questi nomi: Wout van Aert e Mathieu van der Poel. Due giovani in grado di rivoluzionare la concezione di specialisti e la regola generale la quale presupponeva che il miglior modo per avvicinarsi al ciclismo su strada fosse la pista (Bradley Wiggins e Geraint Thomas docet). Per le nuove frecce del Nord, entrambi under 25, la stagione sportiva in corso di svolgimento ha rappresentato la definitiva consacrazione tra i professionisti, evidenziando delle qualità inimmaginabili visto il cambio di specialità.

Il percorso che porta van der Poel e van Aert al ciclismo che conta è costellato di epiche sfide e dominato da una rivalità inusuale nel ciclocross. Un continuo testa a testa che non ha fatto altro che far esprimere al meglio entrambi i contendenti, lasciando solo le briciole agli avversari. Due carriere costellate da tantissimi trofei, nonostante la giovane età, ma pronte ad esplodere da un momento all’altro anche sull’asfalto.

Solo 4 mesi dividono il belga e l’olandese volante, entrambi 24enni e padroni incontrastati del ciclocross da ormai un quinquennio, spartendosi vittorie e gloria: 3 Mondiali per van Aert (2016-2017-2018) contro i 2 di van der Poel (2015-2019), oltre 100 vittorie nel circuito internazionale di ciclocross in due e 50 podi in Coppa del Mondo. Un dominio assoluto spezzato solo dal belga Toon Aerts, vincitore della UCI Ciclocross World Cup nella stagione appena conclusasi a primavera inoltrata. Precisamente, un primato condizionato dalla presenza ondivaga dei due fuoriclasse, oramai impegnati nella loro seconda parte di carriera.

Van Der Poel

Nonostante l’accesa rivalità, Wout van Aert e Mathieu van der Poel si rispettano molto e sono grandi amici. L’olandese, infatti, ha confermato come uno dei primi a congratularsi per la sua vittoria alla Amstel Gold Race 2019 sia stato proprio Wout Van Aert.

Con tante aspettative e tutti i riflettori puntati addosso, il passaggio all’asfalto non è stato dei migliori per van Aert e van der Poel, almeno per il primo anno. Il primo ad esordire è il fiammingo, accasatosi alla Telenet-Fidea nel 2013 e esploso nella sua ultima stagione in completo Vérandas Willems–Crelan, dopo una lunga trafila in diverse squadre del suo paese natale. Con la Willems-Crelan, van Aert conquista il primo podio tra i Pro, mettendosi in mostra all’edizione 2018 delle Strade Bianche: un terzo posto che sorprese tutti per concretezza, forza e freddezza. Poco dopo, il nono posto al suo primo Fiandre e il podio all’Europeo di Glasgow (vinto dal nostro Matteo Trentin) gli spalancano le porte del circuito più famoso del mondo del ciclismo, il World Tour.

L’ulteriore salto di qualità è imminente e si concretizza, non dopo tante vicissitudini legate alla risoluzione dell’accordo stipulato con la VWC, nel Dicembre 2018: van Aert passa alla Team Jumbo-Visma e debutta nel World Tour proprio quest’anno. Il fiammingo coglie subito il bis sulle strade di Siena, arrivando dietro ad uno scatenato Tiesj Benoot e cedendo sull’ultimo muro prima dell’arrivo di Piazza del Campo all’accelerata di Romain Bardet. Poco male, perché l’escalation dei mesi successivi confermerà tutte le aspettative: sesto posto alla Milano-Sanremo, secondo ad una delle classiche più importanti del Belgio, la Harelbeke-Antwerp-Harelbeke, 2 volte vincitore di tappa e maglia verde del Criterium du Dauphinè 2019.

Proprio nel consueto antipasto del Tour de France, Wout van Aert ha dimostrato al mondo tutto il suo repertorio: un campionario in cui velocità, passo e mentalità vincente la fanno da padrone. Nella cronometro di Roanne, il giovane belga ha completamente annichilito l’ex campione del mondo di specialità Tom Domoulin (che ha chiuso a 51″ di ritardo), concludendo con 31” di vantaggio su un altro volpone delle prove contro il tempo come TJ Van Garderen. Il giorno dopo, sull’arrivo in leggero falsopiano di Voiron, Van Aert ha dominato lo sprint ristretto lanciato da Julian Alaphilippe, lasciando almeno una bicicletta tra sé e i suoi avversari (primo su tutti, uno dei migliori velocisti del momento come Sam Bennett).

Il van Aert visto al Giro del Delfinato sembra essere il prototipo del ciclista moderno: completo, forte a cronometro e con ampi margini di miglioramento in salita. Un profilo che ricorda molto quello di Peter Sagan agli inizi di carriera. Il prossimo Tour De France, oltre a rappresentare l’esordio nelle corse a tappe, sarà il primo vero banco di prova per il futuro del belga: sarà molto interessante constatare le attuali potenzialità di van Aert in salita, l’unico anello debole del giovane fuoriclasse, almeno per il momento.

Al contrario del fiammingo, l’olandese volante Mathieu van der Poel ha da sempre avuto le stimmate del predestinato. Figlio del grande Adri, già campione del mondo di ciclocross nel 1996 e vincitore di diverse classiche e di due tappe al Tour, il fenomeno classe 1995 è di origine belga. Nato a Kapellen, nei pressi di Antwerp, Mathieu ha mosso i primi passi in quello che è stato il primo vero amore del papà: il ciclocross. Fin dalle giovanili, van der Poel dimostra di essere un atleta poliedrico, passando dallo sterrato alle pietre, dalla terra all’asfalto senza grandi patemi d’animo. Un’atleta completo come mai se ne erano visti nella terra delle classiche. Vince tutto tra gli U23, anche un campionato del mondo su strada nel 2013.

Da quel momento in poi, van der Poel non si ferma più, diventando l’emblema di un intero movimento, il ciclocross olandese, ed ergendosi come una delle icone più seguite e più apprezzate d’Olanda, tra i giovani. Il testa a testa con van Aert lo entusiasma, gli permette di lavorare al meglio sui propri punti deboli: uno su tutti, la resistenza e la lucidità nei momenti clou della corsa. Diventa professionista, qualche mese dopo il suo rivale, con la Corendon-Circus, una squadra Professional belga che subito lo blinda: la sua venuta, infatti, coincide con un ridimensionamento dello staff e dell’organigramma societario, votato alla valorizzazione estrema del talento di van der Poel. Da allora, Mathieu è il simbolo e la stella della Corendon-Circus, con la quale maglia è riuscito a vincere diversi titoli mondiali di ciclocross e, soprattutto, l’ultima Amstel Gold Race.

Sulle strade di casa, il ragazzone di Kapellen ha rotto una maledizione durata quasi due secoli, con l’ultima vittoria olandese targata Erik Dekker e Rabobank nel 2001. Un intero paese ha così potuto omaggiare il suo nuovo pupillo e beniamino, reduce già da un ottimo quarto posto nel Giro delle Fiandre. Potenza, qualità da finisseur e da un cambio di ritmo pazzesco, che ne costituiscono i principali punti di forza, sono il marchio di fabbrica di casa van der Poel. Tuttavia, l’estrema completezza tecnico-fisica dell’astronascente olandese potrebbe risultare un unicum nel ciclismo moderno, caratterizzato dall’estremizzazione della tecnologia e del controllo del gesto atletico e fisico del corridore.

Qualcosa di straordinario, che già oggi gli permette di essere competitivo nelle tre discipline regine del mondo a pedali: oltre al ciclocross e al ciclismo su strada, Mathieu van der Poel è pronto per prendersi anche la corona di miglior mountain-biker del mondo. La vittoria nella seconda tappa di Coppa del Mondo di cross-country, a Nove Mesto, ne è la dimostrazione: con questo successo van der Poel è l’attuale leader di specialità, nonostante sia solo la sua prima vera apparizione nel circuito. A riprova della sua sete di vittoria, l’olandese ha già annunciato la sua presenza alla gara pre-olimpica di Tokyo, sia per la MTB che per la prova in linea. Per ora niente grandi giri, ma un progetto molto chiaro: cercare di realizzare l’irrealizzabile, ovvero il trittico mondiale in tre differenti specialità (MTB, ciclocross e strada), con un occhio di riguardo alle prossime Olimpiadi.

Due corridori all-around di imparagonabile caratura, uno con più prospettiva nelle corse di tre settimane, l’altro con serie possibilità di monopolizzare l’intero panorama ciclistico internazionale: la sfida continua senza interruzioni di colpi. Perché i due nuovi fulmini del Nord non temono superficie. Tra un paio di anni, che sia su asfalto, terra, sterrato o pavè, ricordatevi di questa strabiliante coppia: perché un van, indifferente dal proseguo del cognome, potrebbe rischiare di stappare lo champagne con eccessiva frequenza e, chissà, anche sfilare nelle strade di mezzo mondo con un iride stampato sul petto, dipinto sul telaio e scritto nel destino.

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Pierluigi Ninni
La mia passione per lo sport e per il giornalismo nasce fin da piccolo con l'ossessione calcistica. In seguito, ho imparato ad ammirare e a scrivere di basket, ciclismo e nuoto. 23 anni, laureato in Economics and Business Administration.

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