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Tour de France: Unchained – Un buon compromesso per scoprire le dinamiche del ciclismo

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Dall’8 giugno 2023 è disponibile su Netflix la serie “Tour de France: Au coeur du Peloton”, nota anche con il nome di Tour de France: Unchained a livello internazionale e Tour de France: sulla scia dei campioni in italiano. Cavalcando l’onda di Drive to Survive (la docu-serie sulla Formula 1 uscita con la prima stagione nel 2019), la piattaforma streaming statunitense ha allargato i suoi orizzonti sportivi nel 2023, facendo uscire a gennaio la serie Break Point, il cui focus è stata la stagione tennistica dello scorso anno, e poi a giugno quella sulla corsa di ciclismo più prestigiosa e popolare al mondo.

Volendo entrare subito nei contenuti mostrati durante gli 8 episodi della serie (dalla lunghezza variabile, il più breve è intorno ai 35 min e il più lungo si avvicina all’ora), occorre partire da una premessa fondamentale: la troupe di Netflix ha seguito nello specifico 7 squadre: in ordine alfabetico AG2R-Citroën, Alpecin-Deceuninck, EF Education Easy-Post, Groupama-FDJ, INEOS-Grenadiers, Quick-Step Alpha Vinyl e Team Jumbo-Visma. Salta subito all’occhio l’assenza della UAE Team Emirates del bi-campione in carica (prima che iniziasse il Tour 2022) Tadej Pogačar: per scelta il team degli emirati ha deciso di non partecipare al progetto nella sua stagione inaugurale; come si vede nella serie, va sottolineato infatti che le riprese della troupe sono cominciate ben prima dell’avvio della Grande Boucle. Logisticamente, ciò ha significato seguire i corridori principali delle squadre partecipanti anche durante il periodo di preparazione, al fine di poter confezionare un ritratto più ampio dei protagonisti della serie e in modo da farli conoscere meglio soprattutto al pubblico non appassionato di ciclismo. L’assenza della UAE, considerando che Pogačar è stato il mattatore della corsa per 2/3 di Tour nonché principale rivale fino all’ultima tappa del vincitore Jonas Vingegaard (Team Jumbo-Visma), è stata chiaramente penalizzante per il prodotto di Netflix che ha dovuto trovare il modo di sopperire a tale perdita, cercando di tratteggiare un corridore generazionale come lo sloveno tramite le interviste fatte a corridori, direttori sportivi e addetti ai lavori.

Costruzione di narrazioni

Per cercare di fornire un prodotto fruibile sia ai fan che ai non appassionati (più per i secondi in questo caso), l’impostazione degli episodi ha seguito una chiara linea: cercare, anche un po’ forzatamente, di creare delle storylines che generassero tensione emotiva lungo l’intero arco dell’episodio. L’episodio 3, incentrato sui due team francesi (AG2R e FDJ), è stato forse quello più riuscito da questo punto di vista, anche perché è stato possibile culminarlo con le immagini della nona tappa, quella che ha visto la vittoria in fuga di Bob Jungels (AG2R-Citroën) davanti a Thibaut Pinot (FDJ). Dunque è stato sfruttato quel finale di giornata, che ha visto le due squadre lottare per il successo (dal valore preziosissimo per entrambe), al fine di riuscire a mettere in piedi una puntata piena di amore per la propria squadra (vedasi la peculiare storia del diesse dell’AG2R Julien Jurdie) con il (ahilui) perfetto, amaro epilogo per un perdente romantico come Pinot. Serve qui specificare che alla realizzazione della serie ha partecipato anche France Television, perciò era abbastanza inevitabile una notevole presenza transalpina all’interno del prodotto, in particolare con la figura del Boss della FDJ Marc Madiot, a cui è stato riservato ampio screen time tra interviste e riprese.

Se si parla però della storia personale raccontata meglio, difficile non pensare a quella di Fabio Jakobsen (Quick-Step Alpha Vinyl, protagonista dell’episodio 1), vincitore del primo sprint alla seconda tappa in terra danese e nei confronti del quale Netflix non si è fatta problemi a mostrare le terribili immagini della drammatica caduta al Tour de Pologne 2020, dove lo sprinter olandese rischiò di perdere la vita. Il suo percorso di rinascita è stato accentuato emotivamente, sia dalle parole pronunciate dallo stesso corridore nelle interviste con la crew di Netflix in merito all’incidente, che dal cammino intrapreso per tornare a essere competitivo in una squadra, la Quick-Step a.k.a. Wolfpack, nella quale il secondo posto è una sconfitta.

La narrazione che invece è sembrata maggiormente forzata è quella dell’episodio 5, incentrato sull’arrivo dell’Alpe D’Huez nel giorno della festa nazionale francese e che ha visto protagonisti Tom Pidcock (INEOS-Grenadiers) e Neilson Powless (EF Education Easy-Post), entrambi nella fuga che si è poi giocata la vittoria, ma con Pidcock che vinto in maniera netta e Powless che si è piazzato solo quarto al traguardo. Proprio la EF è la squadra che forse ha avuto la narrazione più confusa: nel primo episodio è una delle due squadre protagoniste e ci viene presentata come una squadra alla ricerca di punti UCI (e dunque bisognosi di vittorie di tappa) per cercare di evitare la retrocessione, che significherebbe molto probabilmente la perdita di sponsor e il rischio chiusura della squadra. Dopo la delusione della crono inaugurale con Stefan Bissegger, fa strano che si sia passati direttamente al quarto posto di Powless sull’Alpe D’Huez, senza dedicare un focus appropriato (ma soltanto un accenno con qualche immagine) alla vittoria del danese Magnus Cort Nielsen (EF) nella decima tappa. Una frazione sulla quale si sarebbe potuta costruire una narrazione interessante e sicuramente più coerente con le premesse iniziali della squadra, testimoniate dalle parole del Boss della EF Jonathan Vaughters. Siccome però la troupe aveva seguito Powless nel percorso d’avvicinamento al Tour, evidentemente hanno scelto di non gettare alle ortiche tutto quel materiale audio-visivo dedicato al corridore di nazionalità statunitense.

Nemmeno l’episodio 7 (il più corto degli otto in programma) è stato particolarmente entusiasmante in termini di appeal, incentrato sulla lotta per il podio tra Geraint Thomas (INEOS-Grenadiers) e David Gaudu (Groupama-FDJ). Alla fine, nonostante il tasso di drama che la serie cerca di accentuare, non è mai stata una battaglia così combattuta tra i due, con l’esperto corridore britannico sempre in controllo del piazzamento sul podio.

Una volta conclusa la serie, si evince che per ogni squadra i produttori hanno scelto di concentrarsi al massimo su due corridori, di base i più rappresentativi, alcuni dei quali seguiti nel periodo preparatorio alla corsa. Proprio come successo con Powless (EF), Ben O’Connor (AG2R), Thibaut Pinot e David Gaudu (FDJ) Fabio Jakobsen e Julian Alaphilippe (Quick-Step, il secondo poi non selezionato al Tour), Jasper Philipsen e Mathieu van der Poel (Alpecin-Deceuninck) e Wout van Aert (Jumbo-Visma).

Tour de France: Unchained – Il focus sui general manager e i direttori sportivi

“Tour de France: Unchained”, specie per chi il ciclismo non lo segue assiduamente, ha reso bene l’idea dell’importanza all’interno del team della figura del direttore sportivo. In alcuni di loro, dei personaggi estremamente carismatici, la personalità è emersa più che distintamente durante gli otto episodi, grazie alle inquadrature on-board in macchina mentre reagivano a ciò che succedeva durante la corsa o mentre al mattino davano le indicazioni ai propri corridori sulla tappa del giorno e su quale strategia di squadra adottare. Fra tutti emergono il già citato Julien Jurdie (AG2R), seguito da Grischa Niermann (Team Jumbo-Visma), quello più presente essendo il DS della squadra vincitrice della Grande Boucle con Jonas Vingegaard, e Christoph Roodhooft (Alpecin-Deceuninck). Sia Niermann che Roodhooft si sono dimostrati due figure a cui non piace molto essere contraddetti in merito alla strategia da attuare in corsa: basta vedere le loro reazioni rispettivamente alla richiesta di van Aert di andare in fuga in una tappa in cui il piano della squadra era difendere la maglia gialla del capitano Vingegaard (comprensibile il disappunto di Niermann) e alla preferenza di Philipsen di non cambiare il pesce-pilota nel suo treno (proposto, o forse imposto da Roodhooft) per lo sprint finale sui Campi Elisi.

Oltre ai direttori sportivi hanno avuto centralità tre general manager: il vulcanico ed esigente Patrick Lefevere (Quick-Step), Jonathan Vaughters (EF Education Easy-Post) e Marc Madiot (Groupama-FDJ), ciascuno con un modo di fare ben marcato. L’interesse nel vedere le loro reazioni, durante le varie tappe clou della corsa, non è mancato. Come anticipato prima, un focus su Vaughters e la EF il giorno della vittoria di Cort Nielsen sarebbe stato più che doveroso.

I bei momenti per i fan del ciclismo

Tra i tanti dietro le quinte che “Tour de France: Unchained” ha mostrato, soprattutto per conoscere le dinamiche interne tra staff e corridori, ci sono due momenti in casa Jumbo-Visma che hanno potuto far riflettere lo spettatore. Entrambi hanno come protagonista Wout van Aert, tratteggiato per certi versi come il villain della serie in alcuni episodi, causa di suoi certi comportamenti, tanto che lo stesso corridore belga non ha apprezzato particolarmente come è stato dipinto nel prodotto made by Netflix.

Il primo dei due momenti riguarda i festeggiamenti della sera a cena post-vittoria della quarta tappa, in cui van Aert in maglia gialla si è involato verso il successo solitario, staccando anche il capitano Vingegaard negli ultimi metri dello strappo. Salita dove il rivale Pogačar era rimasto staccato e, se i due della Jumbo-Visma fossero rimasti insieme, avrebbero potuto forse guadagnare dei secondi sullo sloveno. Mentre lo staff e i compagni di van Aert festeggiano quella vittoria, un’inquadratura su Vingegaard mentre è a tavola (seguite dalle sue eloquenti parole nell’intervista) evidenzia tutto il suo disappunto per non aver potuto approfittare della situazione per prendere del tempo nei confronti dell’avversario a causa dell’egoismo, se così vogliamo definirlo, del compagno.

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L’altro momento emblematico è stato citato precedentemente, ovvero quando lo stesso van Aert, nel briefing mattutino della quindicesima tappa, quella in cui non sarebbe ripartito Primož Roglič, chiede al DS Grischa Niermann di poter andare in fuga. Il belga sente le gambe per competere per la vittoria di tappa, ma il DS aveva appena comunicato alla squadra di stare vicino alla maglia gialla Vingegaard per proteggerlo da eventuali imprevisti, essendo anche da quel momento con un corridore in meno. Il momento di silenzio del DS alla domanda, rimasto stupito della richiesta, seguita dall’espressione quasi infantile del belga che capisce di non avere il via libera, fa capire anche ai non appassionati quanto a volte sia difficile per corridori abituati a vincere cercare di stare sempre al servizio dei compiti di squadra.

Un aspetto da migliorare per la seconda stagione

Un elemento che sarebbe necessario approfondire meglio, nell’auspicio che la corsa creerà anche le narrazioni ideali per farlo (altrimenti difficilmente accadrà), è la questione delle maglie. Esclusa la maglia gialla che s’intuisce essere indossata dal leader della corsa, nonché di per sé iconica anche al di fuori del mondo del ciclismo, alle altre maglie principali non si fa per nulla riferimento, e fa strano soprattutto perché la maglia verde della classifica a punti indossata da van Aert si vede per quasi tutto il tempo. Per non parlare della celebre maglia a pois, a cui non è stato dedicato nemmeno un accenno durante la serie: per carità, alla fine è stata vinta da Vingegaard, il quale indossando la maglia gialla non ha mai potuto sfoggiarla e i due principali corridori che hanno provato a vincerla (Simon Geschke della Cofidis e Giulio Ciccone della Trek) non facevano parte delle 7 squadre seguite. Ecco perché ci si augura che al Tour de France 2023 si crei la narrazione giusta per poterne dedicare un focus, soprattutto alla pois.

Tour de France: Unchained – Promossa o bocciata?

In conclusione, si può dire che la prima stagione della serie Tour de France: Unchained ha offerto comunque un’ottima dose di intrattenimento, con episodi sicuramente meglio riusciti di altri e in generale un interesse medio verso il prodotto che forse è andato un po’ a scendere nella seconda metà. Il fatto che la UAE non abbia partecipato (considerando anche l’appeal del personaggio Pogačar, al di là dell’indiscusso valore del corridore) ha penalizzato e non poco il prodotto finale, soprattutto negli episodi in cui si è raccontata la battaglia per la classifica generale contro il rivale e poi vincitore Jonas Vingegaard.

La sufficienza la strappa ampiamente, con la consapevolezza di poter alzare il tiro sia per favorire la comprensione ai non appassionati di ciclismo che nell’entusiasmare i fan dello sport in questione.

Immagine in evidenza: ©Getty Images

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Michele Moretti
Nato e cresciuto con la passione per lo sport. La pallacanestro nel mio cuore, seguita e praticata sin da bambino. Calcio, Ciclismo e Tennis le altre discipline che guardo appassionatamente. Qui per provare a raccontarvi le emozioni che lo sport ci regala ogni giorno.

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