CiclismoLe Nostre Storie

Il nostro Giro d’Italia

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Tanti sono i ricordi personali legati al Giro d’Italia ed ai momenti più emozionanti. Noi, in attesa della Corsa Rosa 2020, abbiamo scelto la tappa che più di ogni altra è entrata nel nostro cuore raccontandovi il perché. Buona lettura!

Mestre – Monte Zoncolan 2010

Di Luca Montanari

Per spiegare cos’è per me il Giro d’Italia, senza cadere nella banalità di un effimero “più di un semplice evento sportivo”, devo tornare indietro con la mente da ragazzino. È un preludio all’estate, la mia stagione preferita, ma allo stesso tempo per anni mi ha accompagnato nel periodo più stressante dell’anno, l’ultimo mese di scuola. Proprio da lì è iniziato uno strettissimo legame di fedeltà tra me e il Giro: gli ho promesso di stravolgere la mia routine, organizzarmi con lo studio e i compiti in modo che potessi seguire almeno l’ultima ora di corsa, a patto che mi offrisse quella spensieratezza e quelle emozioni che sarebbero potute mancare. Alla fine mi ha regalato di più: storie, personaggi, imprese, luoghi, cultura, oltre che la passione per questo sport. Se il rapporto personale con la Corsa Rosa è perdurato negli anni, anche successivamente alla mia discreta carriera scolastica, lo si deve in principio ad uno dei primi “premi di fiducia” che essa mi ha donato: una gemma più unica che rara, contenente la storia di un riscatto personale nella salita più dura di tutte. Mentre anche i migliori arrancavano, l’eleganza di Ivan Basso nel pedalare regolarmente senza quasi mai alzarsi e staccare gli avversari con una facilità disarmante, mi lasciava semplicemente sbalordito, impietrito davanti al televisore in un sabato pomeriggio di mezza estate. Ed io che già dal giorno dopo imitavo le smorfie del futuro vincitore di quell’edizione del Giro, mentre scalavo una rampa ben più dolce in bici con mio padre, quest’ultimo costretto ad interpretare Cadel Evans in veste iridata.

Ivan Basso e Cadel Evans scalano lo Zoncolan, ©Scatti dal ciclismo, Facebook

Taranto – Viggiano 2014

Di Giuseppe Greco

Avrei potuto inserire uno dei tapponi dolomitici da 7 ore in sella, ma le emozioni e il ricordo di quel giorno a Taranto difficilmente li dimenticherò.
Il 2014 per me è stata un’annata particolare.
Anno dei 18 anni, anno delle scelte di vita future, anno della mia prima tappa dal vivo al Giro d’Italia. Ma se la prima, in ordine cronologico, riguarda la Giovinazzo-Bari del 13 maggio (con vittoria in volata di Bouhanni), la seconda è quella a cui sono più legato in termini di cuore.
14 maggio 2014: Taranto-Viggiano (la vittoria è andata a Diego Ulissi, ma questa è un’altra storia)
Sembravo un bambino emozionato la mattina di Natale, in attesa di scartare i regali.
Le sensazioni erano davvero importanti e a dirla tutta, mai provate prima.
Ricordo come se fosse ieri l’arrivo dei corridori al foglio firma sulla rotonda panoramica di Viale Virgilio a picco sul mare. Eccoli sfilare ad uno ad uno.
C’erano quattro vincitori del Giro: Basso, Hesjedal, Cunego e Scarponi; c’erano i colombiani Quintana e Urán, e c’erano Evans e “Purito” Rodríguez.
Al loro passaggio mi sentivo piccolo e ammiravo questi eroi che pedalano per quasi un mese in lungo e largo per l’Italia. Emozioni indescrivibili.
Poi non so come, sono riuscito ad avvicinarmi a loro per una foto. Basso, poi Cunego, poi tutti gli altri e infine lui, l’aquila: Michele Scarponi.
Ci scambio anche cinque minuti di chiacchiere, come al solito Michele sempre in anticipo rispetto al resto del gruppo. Che persona genuina Michele, sempre col sorriso stampato in faccia, sempre pronto alla battuta, anche in giornata no. Avrei dovuto immaginarlo sin da allora, quando l’unico angelo in mezzo al gruppo mi mise la mano sulla spalla e come un fratello maggiore mi sussurrò: “per una volta, la scuola viene dopo il Giro, ma non ti ci abituare”.

Chiavari – La Spezia 2015

Di Gabriele Codeglia

Il suono della campanella sta ancora risuonando nei miei timpani, mentre scendo frettolosamente le scale dal quinto piano, l’ultimo del mio liceo. Nello zaino, rigorosamente appeso alla mi schiena soltanto con la bretella destra, ci sono due panini e una bottiglia d’acqua.
Il primo caldo si fa sentire, mentre aspetto mio fratello che invece è in terza media. La scuola sta per finire e lasciar spazio all’estate. È il 12 maggio 2015.
Attraversiamo tutta la città a piedi, destinazione Viale Italia, sede dell’arrivo. Sul lungomare di Spezia non c’è una nuvola. Divoriamo i panini seduti su una panchina, all’ombra delle foglie dei giardini pubblici. È l’edizione numero 98 del Giro d’Italia e il plotone è da poco partito da Chiavari. Mancano più di tre ore alla conclusione della quarta tappa.
L’idea è una sola: vedere l’arrivo nel miglior modo possibile. Il lungo rettilineo finale fa pensare ad una volata, di quelle da seguire senza respirare. In ogni caso, io e mio fratello ci appiccichiamo come ventose alle transenne, sotto il sole che batte e ci fa sudare come formaggio fuori dal frigorifero. Allontanarsi da quella strategica posizione significherebbe dire addio alla possibilità di vedere il vincitore con le braccia alzate a pochi metri da noi. Resistiamo, senza farci inglobare dalla calca che piano piano si crea intorno a noi. Passa la carovana, allunghiamo le braccia e facciamo scorta di Estathé di qualsiasi gusto: ci rigenerano.
Mio fratello è in piedi sopra ad un cono, di quelli utilizzati per la segnaletica stradale, arancioni con le bande catarifrangenti, altrimenti non vedrebbe nulla. Manca sempre meno e alla fine accade l’inaspettato. Niente volata, niente mandria di ciclisti inferociti che si avvicina alla linea del traguardo. In lontananza scorgiamo un omino, vestito di nero. Lo speaker annuncia il suo nome: è Davide Formolo, non ha ancora ventitré anni, corre per la Cannondale-Garmin e tra pochi metri coglierà il suo primo successo da professionista dopo un’azione spettacolare sull’ultima, durissima, salita della giornata.

Davide Formolo esulta sul traguardo di La Spezia

Pinzolo – Aprica 2015

Di Davide Bottarelli

La sceneggiatura della Pinzolo-Aprica 2015 secondo me racchiude in sé tre di quegli elementi caratteristici che ci fanno innamorare di una grande corsa a tappe. A differenza delle classiche di un giorno, in una corsa di tre settimane a farla da padrone sono le complesse dinamiche di gerarchie e giochi di squadra che portano a situazioni di stallo pronte ad essere interrotte da un lampo, una scintilla.
Ed ecco il primo elemento, il colpo di scena che arriva quando il gruppo si prepara alla volata per affrontare il Mortirolo, la “Montagna Pantani”. Una caduta lascia attardata tra gli altri la Maglia Rosa di Alberto Contador, la corsa è lanciata e non c’è più spazio per il fair play, l’Astana di Fabio Aru tira a tutta. E’ quel momento in cui d’istinto ti alzi dal divano e vai a prendere i pop-corn.
Il secondo elemento è la rimonta epica. All’inizio della salita Contador rimane solo, con il suo stile ipnotico si alza sui pedali e mette in scena una danza infernale, capace in pochi chilometri di azzerare tutto lo svantaggio e di riportarsi sul gruppetto formato da Aru, Landa e Kruijswijk.
Nemmeno il tempo di riprendere fiato ed ecco che Il Pistolero prova l’allungo. E qui siamo al terzo elemento, il gregario che va più forte del capitano. Aru perde subito contatto, mentre Mikel Landa vorrebbe saltare subito sulla ruota di Contador ma è costretto ad aspettare nervosamente il capitano prima del via libera. Situazione che diventerà poi una costante nella carriera di Landa che quel giorno vinse la tappa e ribaltò le gerarchie interne, anche se la storia di quel Giro vinto poi da Contador ci disse che si trattò solo di una diabolica illusione.

Alberto Contador sul Mortirolo

Pinerolo – Risoul 2016

Di Michele Polletta

27 maggio 2016. Il silenzio delle biblioteche universitarie è simile a un ronzio. Culla lo studio e diverse attività collaterali, talvolta, anche la visione delle corse. Lasciare la tana accademica non è semplice: bisogna capire cosa si vuole fare da grandi. Uso il Giro come una specie di ala rosa, aiuta a sorvolare le incognite, rasserena. Naturalmente, base in biblioteca, come ogni giorno da qualche anno a questa parte, nonostante, ora, gli studi siano terminati: angolino, cuffiette, attesa. Dopo diciannove tappe faccio parte dell’arredamento, vengo lasciato nel mio brodo anche dagli altri appassionati, la granitica solidità di Kruijswijk ha attenuato gli entusiasmi: “se succede qualcosa avvisaci” sussurrano andando via. Non pare essercene bisogno. Scarponi sbrana il colle dell’Agnello, vola verso una probabile vittoria di tappa; dietro, la maglia rosa fa buona guardia, scollina con i più pericolosi, sembra tutto deciso. Nibali la pensa diversamente, indossa la mantellina, e scende a tomba aperta, saggia i nervi di Kruijswijk. L’olandese viene tradito da una curva: si schianta contro un muro di neve; l’Astana arresta Scarponi, confermando come il ciclismo sia lo sport individuale più di squadra che esista. Corsa in fiamme. Vorrei urlare, non posso, già alcune occhiatacce hanno accolto un sussulto scomposto sulla caduta decisiva. Mi attacco al telefono, riassumo in decine di messaggi la situazione, distacchi, impressioni, abuso del maiuscolo. Qualcuno torna. Arriva giusto in tempo per una birra celebrativa: festeggiamo la tappa più entusiasmante e drammatica che io ricordi. Con buona pace degli scettici, e di chi è rimasto a studiare, in silenzio.

Stefan Kruijswijk, Esteban Chaves e Vincenzo Nibali sul Colle dell’Agnello,©Sport Mediaset, Twitter

Guillestre – Sant’Anna di Vinadio 2016

Di Simone Girotti

Tappa tipica del Giro d’Italia, che oltre alle imprese sportive offre emozioni dal valore umano indescrivibile.  Alla partenza, Vincenzo Nibali si trova in seconda posizione nella classifica per la maglia rosa, staccato di 44 secondi dal colombiano Esteban Chaves. Questa corta tappa, di solo 134 km ma con ben quattro Gran Premi della Montagna, rappresenta l’ultima possibilità per lo Squalo di aggiudicarsi la corsa rosa; il giorno dopo, infatti, a Torino verrà incoronato il vincitore della 99^ edizione del Giro. Come spesso succede nelle frazioni di questo tipo, abbiamo due corse in una: quella per la vittoria di tappa e quella per la classifica generale. La prima va all’estone Rein Taaramae, protagonista della fuga di giornata; ma quella più importante, ovvero la seconda, viene aggiudicata da uno splendido Vincenzo Nibali, che sul Colle della Lombarda, a circa 12 km dal traguardo decide di staccarsi dalla coppia Chaves – Valverde. Alla vetta del GPM di 1° categoria, il corridore dell’Astana transita con 56 secondi di vantaggio sulla concorrenza, prima di buttarsi in picchiata in discesa. L’ultima salita, quella pedalabile, di soli 3 km, che porta a Sant’Anna di Vinadio, costituisce una vera passerella trionfante per lo Squalo dello Stretto, verso il suo secondo trionfo rosa.  E proprio all’arrivo, viene raggiunto dai genitori di Chaves che, visibilmente emozionati, abbracciano il messinese. Ad essere sincero, sono poche le volte in cui mi sono commosso per un evento sportivo. Ricordo la vittoria di Baldini nella maratona olimpica di Atene 2004, oppure il bis mondiale di Bettini a Stoccarda, nel 2007.
Ma senza dubbio, il momento più recente fu quel sabato pomeriggio di quattro anni fa, quando, già euforico per l’impresa fatta dallo Squalo, ho osservato quell’istante di tenerezza, così spontanea e naturale. Come quando, due genitori, con il massimo orgoglio, riconoscono un importante traguardo raggiunto dal proprio figlio. Tuttavia, l’uomo che stavano stringendo tra le braccia, era proprio colui che aveva infranto i sogni di gloria del loro ragazzo. Anche se non si tratta di uno scatto in salita memorabile, di una discesa spericolata o una volata al cardiopalma, ricorderò questo momento come uno dei migliori gesti sportivi di sempre.

A Vinadio i genitori di Esteban Chaves si congratulano con Vincenzo Nibali, il quale ha strappato la Rosa proprio al colombiano

Pizzo Calabro – Praia a Mare 2018

Di Onorio Ferraro

Adesso non si scherza più. La tappa a Cosenza, la partenza di Castrovillari: queste le edizioni passate vissute sul ciglio della strada come ogni amante della corsa rosa. L’edizione 101 del Giro d’Italia però, per me, ha il sapore del professionismo… non perché abbia corso lungo le strade dell’Italia, ma perché per la prima volta – a 19 anni – sono entrato nella sala stampa della carovana rosa con tanto di accredito da giornalista. E’ il mio primo anno di università, la sessione estiva si avvicina e le lezioni diventano più stringenti. Ai colleghi lo dico chiaramente, sanno della mia passione per il Giro d’Italia e acconsentono: la firma (fake) alla lezione di dottrine politiche c’è. Adesso è l’ora di partire per Praia a Mare, gioiello cosentino che affaccia sulla costa tirrenica della Calabria. Arrivo con l’ansia da prestazione, come se dovessi gareggiare io al posto di Froome (poi Re d’Italia) e mi metto in fila al van accrediti per ritirare il badge e il collarino rosa. Dopo un’ora e quaranta di fila ecco finalmente quello che più avevo sognato: essere accreditato al Giro d’Italia. Scusatemi però se prima ho parlato di professionismo, ricevuto l’accredito sono subito tornato con i piedi a terra e ho cercato il posto più adatto per un diciannovenne in sala stampa. La corsa è stata classica, tra un caffe e qualche chiacchierata con due ragazzi colombiani ecco che il gruppo si spezza con una fuga ai primissimi chilometri per poi arrivare sul lungomare in volata con la vittoria di Sam Bennet. In sala stampa poi, tra la domanda della Gazzetta dello Sport e l’intervento a due passi da me di Eurosport si chiude la mia prima tappa da protagonista al Giro d’Italia.

Venaria Reale – Bardonecchia 2018

Di Marco D’Onorio

Per me che ho cominciato a seguire prima il Tour de France e poi il Giro d’Italia (mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa) Christopher Froome è il primo corridore che ho visto vincere, anzi, spesso stravincere. Quindi ho imparato subito a conoscere la vittoria nel ciclismo come un qualcosa di pianificato, basato sui Watts, sulla previsione e sulle frullate di Chris. Quel treno in maglia nera e azzurra che dirigeva la corsa, pilotava il suo capitano e via via si scomponeva quasi meccanicamente negli ultimi km per lasciare spazio a “Froomey”. Esattamente il contrario è successo nel Giro 2018. Il britannico in passato ha quasi sottovalutato il valore della Corsa Rosa nella quale partecipò solo due volte nell’anonimato (2009 e poi 2010, quando si fece trainare da una moto sulla salita del Mortirolo con conseguente squalifica). Il 25 Maggio 2018 la moto sembrava essere lui. Quella giornata mi piace vederla come un viaggio di purificazione di Froome, per riscattare tutte quelle vittorie “poco emozionanti” che hanno riempito il suo palmares. Permettetemi di chiamarla “La Divina Commedia di Chris Froome”, dove le tre cime scalate in solitaria (più di 80km) simboleggiano le tre cantiche scritte da Dante Alighieri. Il Colle delle Finestre indica l’Inferno, il Colle del Sestriere il Purgatorio ed infine il Monte Jafferau il Paradiso, dove l”anima sportiva” di Froome si purifica ed è degna di entrare nel cuore di tutti gli appassionati.  A partire dal mio, che con il tempo ho imparato a conoscere le vere emozioni del ciclismo, tra passato e presente, quasi dimenticando le frullate del britannico sui Pirenei. “E’ stata la battaglia più grande della mia carriera”. Così Froome, con la maglia rosa sulle spalle e il “Trofeo senza fine” tra le mani, definisce quell’epica impresa tra Venaria Reale e Bardonecchia.

Chris Froome affronta il Colle delle Finestre

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