F1

Niki Lauda: un settantenne ‘sui generis’

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Nürburg, Germania. 1 Agosto 1976.
È inevitabile menzionare questo luogo e questa data quando si parla di Niki Lauda.
Una data che ha segnato un profondissimo spartiacque nella sua vita oltre che nella sua carriera.
Niki è entrato a contatto con la morte, ha visto il suo volto, l’ha sfidata a viso aperto, e ne è uscito vincitore.
Quando gli appassionati lo appellarono con l’ormai iconico soprannome di ‘Il Computer‘, che pur gli calzava a pennello vista la sua freddezza in pista e la maniacale ricerca di ogni difetto, anche se minimo, della vettura a disposizione (famosa a tal proposito è la sua citazione dopo il rogo del Nürburgring nella quale affermò che preferiva il fondoschiena a un bel viso perché era convinto che una vettura si guidasse soprattutto “con il sedere”; e questo la dice lunga sul suo tipo di approccio), spesso si tende a sottovalutate il lato prettamente umano di colui che ha saputo tenere testa alle difficoltà affrontate nel corso della vita.
Un combattente inarrestabile. Mollare è qualcosa che Lauda non faceva.
Dovette combattere pure contro la volontà di chi non voleva che diventasse quello che poi sarebbe diventato e che l’ha reso immortale.
Infatti, essendo nato da una ricca famiglia di banchieri viennesi, proprio i suoi genitori, non intendevano supportarlo, in quanto ritenevano che il fatto che il figlio avrebbe intrapreso una carriera da pilota li avrebbe screditati agli occhi dell’alta società. Tant’è che decise di abbandonare gli studi universitari e, dopo aver preso in prestito del denaro da alcune banche del Paese, comprò la sua prima vettura per prendere parte a competizioni automobilistiche.
Già da qui si intravede la costante sfida che ha dovuto affrontare. Un uomo che ha avuto il coraggio di fare un passo avanti alla normalità per inseguire quella che in quel momento era una chimera: la possibilità di approdare in Formula Uno.

Il suo destino, non sarebbe potuto essere altro che nelle sue mani.
Basti pensare al famoso epilogo dello stesso mondiale del 1976.
Siamo a Fuji, Gran Premio del Giappone. L’ultima gara di quell’infinito ed estenuante campionato.
La gara venne corsa sotto una pioggia torrenziale, tanto che molti piloti tra cui i 2 contendenti al titolo (l’altro fu il mitico rivale James Hunt su McLaren) avrebbero voluto rinviarla, ma prevalse l’intenzione degli organizzatori di dare il via.
Lauda, al secondo giro, rientrò ai box per ritirarsi: le condizioni della pista, per il pilota austriaco (memore di quanto accaduto in Germania) erano troppo pericolose per gareggiare.
Nonostante ciò abbia attirato diverse critiche da parte della stampa italiana e da parte della Ferrari stessa, ci si scorda spesso di quanto sia importante il valore della vita in confronto, in questo caso, ad un mondiale che probabilmente gli avrebbe cambiato la carriera, invece perso a causa delle numerose gare saltate dopo l’infortunio prima dell’incredibile ed epico ritorno a Monza, peraltro casa della Ferrari, con tanto di quarto posto a fine gara, avendo sopportato gli immensi dolori fisici dovuti alle ferite fasciate per tutta la durata della corsa.
Dopo il 1976 avrebbe vinto l’anno successivo il secondo mondiale a bordo della Ferrari prima di vincere pure il terzo nel 1983 a bordo questa volta della McLaren.
Ma, a parte che dai freddi amanti delle statistiche, Lauda non viene ricordato certo solo per le sue vittorie, che pure furono numerose, ma per quell’episodio che ha rappresentato e sarà sempre il simbolo della meravigliosa Formula 1 di una volta, fatta di uomini volenterosi e capaci di lottare non solo contro gli avversari, ma anche contro la quasi assente sicurezza, con la consapevolezza che ciò che stavano facendo avrebbe portato spesso e volentieri a conseguenze serissime.
Come disse il Drake, Enzo Ferrari: Piloti che gente!

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Tommaso Palazzo

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