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Monaco 1984: Ayrton, era destino

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Ayrton Senna da Silva.
Un nome che solo a citarlo non può non destare un’emozione. Qualunque essa sia.
Anche se non si è mai visto correre il brasiliano, è sicuro che se ne abbia quantomeno sentito parlare.
Ma perché? Perché Senna racchiude (sì, è giusto usare il presente) l’essenza della Formula 1: estasi, classe, ricerca della perfezione, agonismo. E tante altre peculiarità, che l’hanno reso unico nella storia degli sport in generale. Per tanti è stato un eroe, o addirittura una divinità. Specie in Brasile, la sua terra natia, dove il suo peso nell’immaginario collettivo si può ritenere senza troppi interrogativi paragonabile a quello di Pelé, il dio del calcio verdeoro.

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Il soprannome Magic non è un qualcosa dato così, con leggerezza. La magia è un qualcosa che non ti aspetti, pronta a farti vedere la realtà da un’altra prospettiva. Magic era un qualcosa di rivoluzionario. Ad Ayrton Senna calzava a pennello.
Pur non essendo un carattere istrionico, né tantomeno uno alla ricerca di consensi, era comunque un agitatore di folle, riuscendo ad essere carismatico senza cedere a piazzate o ad atteggiamenti finti come magari se ne vedono nei tempi odierni della Formula Uno, e non solo.
Quello che è certo, è che sarà per sempre un punto di riferimento. Al di là delle epoche.
In quel primo maggio 1994 anche senza averlo vissuto, l’appassionato e non, percepisce come con l’accaduto se ne sia andato un pezzo del suo cuore. Il silenzio assordante nell’autodromo in quel pomeriggio ne fu l’emblema.
Solo quella maledetta Tamburello (maledetta in quanto già protagonista di avvenimenti spiacevoli, se non gravi come quello occorso ad Ayrton) ha fermato la sua forza inarrestabile, innata, mostrata sin dall’inizio, della quale gli avversari cominciarono a saggiarne compiutamente a Monaco 1984.

L’arrivo in Formula Uno con la Toleman

Senna già ai tempi dei kart era considerato il nuovo fenomeno benché mai iridato, ironia della sorte. Forse fu proprio questo fattore ad alimentare il suo senso di rifiuto della sconfitta.
Tant’è che fu letteralmente schiacciante sin dal primo contatto con le monoposto nelle categorie minori (Formula Ford e Formula 3), distruggendo o quantomeno demolendo le aspettative di molte altre carriere che sarebbero potute essere brillanti. Perché Ayrton era così: la sua forza consisteva al contempo nel togliere certezze all’avversario.
Le aspettative erano quindi alte ancora prima di cominciare. Si vedeva che aveva le stimmate per fare un qualcosa di grande.
Probabilmente mai si attese in tal misura il debutto di un giovane pilota. Era il desiderio di quasi tutti i top team dell’epoca, Brabham, Williams e McLaren. Questo a significare, che non era Ayrton a doversi meritare il top team, ma il contrario.
Ma già in partenza, mostrò una saggezza salomonica nello scegliere di partire un po’ dal basso, in un team, quello di Ted Toleman (peraltro recentemente scomparso), che gli avrebbe consentito di competere un po’ più lontano da quei riflettori che inevitabilmente gli sarebbero stati proiettati. Verso quel casco giallo a bande verdi e blu che già incuteva timore nell’avversario.
L’inizio della stagione di debutto, quella del 1984, non è agevole, a causa della mancata competitività della vettura e di un programma di aggiornamento che sarebbe stato messo in atto solo in corso d’opera. Ma ciò non gli impedisce di andare due volte a punti (all’epoca in sei ci andavano) nelle prime cinque gare. Ma in cuor suo, non sono questi i risultati a cui ambisce veramente, malgrado l’umile Toleman. Lui è nato per vincere, ma deve attendere.
Il momento propizio arriva a Montecarlo.

Monaco un segno del destino?

Il weekend si prospettava non bagnato: le condizioni sarebbero state bibliche, specie in gara. Ma è anche vero che con tali condizioni, specie con le vetture di quell’epoca, si sarebbero sicuramente attenuate le differenze prestazionali tra le vetture in griglia.
Quale condizione migliore per emergere dimostrare di che pasta si è fatti? Al momento in cui, durante le prove libere, lo speaker annunciò il miglior tempo di Magic, lo stupore era palpabile nel paddock. “Ma come diamine fa?“, avranno pensato. Peraltro, c’era un dettaglio non proprio trascurabile: Ayrton non aveva mai corso nel tracciato monegasco.

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Vengono le qualifiche, e ha pure tempo di fare amicizia con niente meno che Niki Lauda, diventato poi campione a fine anno. L’austriaco stesso, in seguito rivelerà un curioso aneddoto che riguardò proprio il giovane brasiliano:

Era in corso la qualifica, ero tra i più veloci, se non il più veloce. Ad un certo punto, in mezzo alla pista, qualcuno stava andando lento, senza guardare negli specchietti. Questo pilota mi distrusse il giro. L’ho incrociato ai box, e gli ho chiesto perché non fosse così collaborativo come lo eravamo io e tutti gli altri colleghi, specie considerando che lui era nuovo nella categoria. La consuetudine tra noi piloti era quella di lasciar passare il collega per fargli completare il giro senza intralci. Lui mi guardato, e mi ha fatto il dito medio. Bene… nessun problema! Al sabato, ultimo giorno di qualifiche, io ho fatto segnare il miglior tempo complessivo, ma senza rientrare ai box successivamente. Sono rimasto in pista, procedendo lentamente. Lo stavo aspettando! Appena ho visto negli specchietti Ayrton arrivare, l’ho bloccato, rovinandogli il giro. Ayrton ai box venne infuriato da me, e io gli ho mostrato allo stesso modo il dito medio. Da quell’episodio, abbiamo avuto un ottimo rapporto“.

Una vecchia volpe il caro Niki, che probabilmente impartì una giusta lezione ad un giovane pilota, che però già dimostrava di non avere timori reverenziali. Neanche nei confronti di uno come Lauda. Fatto sta che è costretto a partire dalla settima fila. Ma questo, è il presupposto della magia.
Inizia il Gran Premio, e comincia a risalire posizioni su posizioni. Sì, avete letto bene, perché allora a Monaco si poteva. Entro pochi giri, era già alle spalle dei primi. Una furia.
Ma ecco subito un brivido: in lotta con Keke Rosberg, tocca il cordolo interno, facendo decollare la sua Toleman. Ma niente di che, continua e lo supera.
Davanti a lui si ritrova, neanche a dirlo, Lauda. Chissà quale sarà stata la sua reazione nel vedere il giovane con la Toleman dietro la sua McLaren, la macchina più forte del campionato. E chissà quale sarà stata la sua reazione… dopo la staccata rifilatagli dal brasiliano alla Sainte Devote. Forse questo avrà avuto meno piacere a raccontarlo. Considerando pure che Niki terminò con un ritiro per rottura della sospensione dopo la toccata di un cordolo. Al “contrario” di quanto si dice di solito, oltre la beffa, il danno.

Senna è secondo. È lui l’uomo di giornata. Ayrton si sarà accontentato? Ma neanche per idea.
A separarlo dalla vittoria c’era un ultimo ostacolo, Alain Prost.
O meglio, Alain Prost e la direzione gara.
Sì, perché andò in atto uno degli episodi più controversi della storia della Formula Uno.

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Con una media di tre secondi al giro guadagnati sul francese della McLaren (un enormità!), il brasiliano si apprestava a raggiungerlo, ma al trentunesimo giro, al passaggio sulla zona dell’arrivo, Prost alzò le braccia, facendo gesti eloquenti per chiedere l’interruzione della corsa. Fu soddisfatto un giro dopo il direttore di gara, Jacky Ickx (grande ex pilota in F1, e correntemente pilota Porsche in Endurance), interruppe la gara, con bandiera rossa. Le condizioni erano precarie, per carità, ma Senna stava dimostrando che si poteva andare più veloce. Pure Alboreto, che aveva commesso un errore nelle fasi iniziali, lo stava sorpassando per sdoppiarsi. Era dunque Prost ad andare lento.
Ma a far discutere fu anche un altro episodio: contemporaneamente alla bandiera rossa, fu sventolata la bandiera a scacchi. Ma Prost, in dirittura d’arrivo nel rettilineo principale, si fermò, facendosi sopravanzare da Senna! Dunque, la corsa finì lì.
Le polemiche non mancarono. Secondo il regolamento, fu giusto assegnare la vittoria a Prost, in quanto essendo stata esposta la bandiera rossa durante il 31esimo giro, furono presi come riferimento i tempi del giro prima. Ma la domanda era: c’erano le condizioni per fermare la corsa?
Lapidario fu il mai banale James Hunt, nella telecronaca per l’emittente inglese BBC: “Now that’s what i call French time, to put it politely“. L’indirizzo della polemica era chiaro, legato alla connazionalità tra Prost e l’allora presidente della Federazione Balestre. Annus 1989 docet, forse Hunt ci vide parecchio lungo.

Questo possiamo considerarlo se vogliamo l’epicentro di quello che sarà il duello negli anni a venire, soprattutto quando Senna approderà in McLaren nel 1988 al fianco proprio di Prost.
Dunque, Prost, Monaco e pioggia.
I tre ingredienti che hanno contribuito a costruire la sua leggenda.
Monaco è stata la pista che a posteriori lo avrebbe esaltato di più. La pioggia invece sarebbe stata la condizione con la quale fu capace di incantare anche i profani di questo sport. E infine… Prost, il suo acerrimo rivale di sempre.
Forse è stato un segno del destino. Uno dei tanti che uno sport a tratti enigmatico come la Formula Uno ci ha lasciato.

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Tommaso Palazzo

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