Basket

La rivincita dei perdenti

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C’è stata, e c’è tutt’ora, una squadra che ha fatto delle sconfitte il suo tratto distintivo, il suo biglietto da visita, tanto da essere stata etichettata come la peggior franchigia dello sport americano. Una squadra che in quarantotto anni di vita ha partecipato ai Playoffs tredici volte riuscendo a vincere zero titoli, siano essi di conference o NBA. Poco male, molte squadre hanno fatto peggio dei Clippers nella storia dello sport americano. Vero, ma le altre squadre non hanno mai dovuto fare i conti con gli altri. Gli altri? Quali altri? Gli altri sono i cugini in giallo-viola, la più conosciuta ed iconica squadra del mondo, i Los Angeles Lakers. Sì, perché i poveri Clippers oltre ad essere la squadra più sfigata dello sport a stelle e strisce devono anche gestire questo complesso di inferiorità che li perseguita dal 1984, anno in cui arrivarono a LA. 

Pensate a come ci si debba sentire a provarci con una ragazza avendo di fianco Leonardo Di Caprio (grande tifoso Lakers) o a fare una gara contro una Ferrari guidando una Panda, ecco, così si sono sentiti i tifosi Clippers per oltre trenta anni. 

I Lakers vincevano titoli su titoli (otto da quanto è iniziata la convivenza, ndr) e i Clippers non riuscivano nemmeno a vincere 20 partite in una stagione, i Lakers firmavano Kobe Bryant e Shaquille O’Neal e i Clippers sceglievano Michael Olowakandi con la prima scelta assoluta al Draft 1998. 

In quegli anni Jerry Buss, plenipotenziario dei Lakers, offriva contratti faraonici a qualsiasi free agent che volesse stabilirsi sulle colline di Beverly. Per rispondere Donald Sterling, proprietario dei Clippers, non firmò un singolo buon free agent perché, come diceva sempre lui, “Quelli forti costano”. Discorso chiuso e altre stagioni a guardare i Playoffs dal divano di casa. 

Però, si sa, non può piovere per sempre e questa cosa sembrava valere anche per i Clippers che poco prima del Natale 2011 completarono il loro (primo) Big 3. Sì, c’è stato un Big 3 anche nella parte sfigata di LA. Con Blake Griffin, DeAndre Jordan e Chris Paul la rotta si era invertita e  finalmente gli sfigati poterono cedere il loro posto sul divano ai cugini più famosi, tanto per qualche anno non sarebbe più servito. Welcome to Lob City baby!

Ma i Clippers non sarebbero i Clippers senza la capacità di rovinare tutto con un micidiale mix di eccessi da sport USA. Anche Lob City sembrava non funzionare più e lo spogliatoio era sempre più diviso. Per riportare un po’ di ordine serviva un uomo di esperienza e leadership, figura che Steve Ballmer (proprietario della franchigia dal 2014, ndr) trovò osservando il logo NBA, il nuovo GM dei Clippers sarebbe stato Jerry West. C’è un piccolo dettaglio: oltre ad essere nel logo dell’NBA Jerry West è stata la prima stella nella storia dei Lakers, esatto gli altri. Quelli che vincevano mentre i Clippers stavano a guardare, quelli che giocavano con le stars mentre i Clippers si accontentavano delle seconde scelte, quelli che, in linea di massima, hanno rovinato la vita ai bianco-rosso-azzurri per circa un trentennio.

The Logo si mise subito al lavoro, effettuando scelte dolorose, in primis quella di smantellare Lob City partendo dal suo pezzo più pregiato, Chris Paul, mandato a Houston; sei mesi dopo fu la volta di Blake Griffin, spedito a Detroit e per ultimo toccò a DeAndre Jordan che sarebbe tornato a casa, a Dallas. 

Con Lob City ormai alle spalle i Clippers puntarono ad una stagione tranquilla in vista della Free Agency 2019 quando sarebbe iniziata la caccia alle stelle. Ancora una volta le aspettative furono disattese, ma questa volta in meglio. I Clippers si qualificarono ai Playoffs con il seed numero 8 e riuscirono a mettere in seria difficoltà i bi-campioni uscenti di Golden State prima di perdere il primo turno 4-2. 

Qui la storia si interrompe e riprende il 6 luglio 2019 quando arriva l’annuncio che potrebbe rivoluzionare quarantotto lunghissimi anni di bocconi amari:Signore e Signori, ce l’abbiamo. Pausa. Refresh di Twitter. E’ nato per questo. Pausa. Altro refresh. Kawhi Leonard e Paul George sono due Clippers. The Logo ce l’ha fatta, in poche ore è riuscito a compiere l’impresa che molti prima di lui avevano fallito, entrare nei cuori di quegli sfigati che per molti anni lo avevano visto come un nemico ma che ora sarebbero pronti a erigergli una statua fuori dallo Staples Center. 

 

 

 

 

Per i tifosi di altre squadre questo dovrebbe essere il punto di partenza ma per i tifosi bianco-rosso-azzurri sembra già una vittoria, si perché per loro è come se una ragazza li avesse scelti al posto di Di Caprio o come se avessero sverniciato una Ferrari a bordo di una vecchia panda. 

I ragazzi stanno tornando a casa e, nel pazzo mondo dei Los Angeles Clippers, questa sembra l’unica cosa che conta.

 

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Niccolò Frangipani

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