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NBA: il quintetto del mondo. Cinque giocatori stranieri da tenere d’occhio

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Questa estate è stata la più rovente dell’era moderna dell’NBA. L’MVP della Finals che cambia casacca per tornare a casa, il Re che recluta un nuovo scudiero e il nuovo meteorite che si prepara ad impattare sulla lega. Però se l’NBA è in uno dei suoi momenti migliori a livello di introiti e visibilità, nonostante l’incidente diplomatico con la Cina la federazione di Silver si prepara a sbarcare in un altro big market come l’India, lo stesso non si può dire per la nazionale di basket statunitense. Va detto che definire Team USA il gruppo di superstiti a disposizione di coach Popovich potrebbe risultare quanto meno esagerato o addirittura offensivo per le squadre che in passato hanno giocato con la maglia a stelle e strisce ma per una volta anche i padroni del mondo, cestisticamente parlando, si sono dovuti accontentare e hanno dovuto cedere il passo a squadre ben più attrezzate. Mai come in questa edizione dei mondiali, anche per i motivi di cui sopra, il basket globale – ed in particolare europeo – è stato vicino al livello espresso dall’altra parte dell’oceano. 

Ma se il processo che sta portando i giocatori statunitensi a perdere la loro centralità nel cosmo NBA è già avviato da anni – almeno dal titolo di MVP delle Finals assegnato a Dirk Nowitzki nel 2011 – questo mondiale e l’ultima stagione hanno ulteriormente velocizzato le cose, spostando sempre di più l’attenzione su giocatori che la pallacanestro statunitense l’hanno conosciuta solo in età adulta. Gli ultimi NBA awards sono una prova schiacciante di questa teoria che vuole sempre più giocatori “esteri” nelle posizioni di rilievo della lega più famosa del mondo: su cinque premi assegnati ai giocatori tre hanno preso la via dell’Europa e uno dell’Africa. 

Oltre a questi giocatori, affermati come delle certezze in NBA, ci sono molto altri giocatori che saranno delle sorprese e che devono ancora dimostrare quanto valgono. Il quintetto che segue è una selezione di giocatori europei da tenere particolarmente d’occhio nella stagione che è alle porte.

Frank Ntilikina

Il playmaker francese è stata una delle sorprese più piacevoli degli ultimi mondiali. Con una condizione fisica ritrovata e gli infortuni che lo avevano costretto a saltare circa metà della stagione passata ormai alle spalle. Il numero 11 dei New York Knicks si prepara alla stagione più importante della sua carriera. Con R.J Barrett che, sostanzialmente, attaccherà per due Ntilikina potrà concentrarsi sulla difesa on e off ball, punto saliente del suo gioco, ma anche iniziare a prendere tiri più pesanti, sopratutto da 3, dove è parecchio deficitario. Ntilikina è chiamato al proverbiale salto di qualità sia sotto il punto di vista statistico, sia per quanto riguarda il peso che ha all’interno delle fasi della partita. La squadra non lo aiuterà di certo, si prospetta un altra stagione all’insegna del tanking in quel di New York, ma se saprà trovare il giusto feeling con Barrett la strada sarà tutta in discesa. 

 

Tomas Satoransky 

Con la sua Repubblica Ceca stava sfiorando l’impresa, riuscendo ad arrivare ai quarti di finale alla prima partecipazione ai mondiali. Dopo aver dominato in Europa con la maglia blaugrana Satoransky ha fatto il grande salto approdando ai Washington Wizards e riuscendo a ritagliarsi il ruolo di riserva di John Wall o di Bradley Beal, ad essere sinceri un po’ pochino per un giocatore che in Europa riusciva a vincere le partite, quasi, da solo. Così, in questa estate folle il ceco è stato scambiato e si è trasferito sulle sponde del lago Michigan. A Chicago Satoransky dovrà farci capire se le cose che fa con la nazionale e che faceva al Barcellona sono replicabili anche in NBA. Nel sistema di coach Boylen avrà tanti possessi che passeranno per le sue mani e in mezzo ad una squadra tutt’altro che da buttare potrà decidere quando prendersi delle responsabilità, che sono nelle sue corde, o mettere la palla in mani meno esperte. Boylen ha confermato che sarà lui il playmaker titolare ma non è così improbabile la staffetta con Coby White. Un altro scenario possibile è l’utilizzo da parte di Boylen del doppio playmaker, cosa che potrà aiutare Satoransky a concentrarsi di più sul realizzare che sul costruire per i compagni.

Bogdan Bogdanovic

Nonostante la delusione mondiale Bogdanovic è stato uno dei migliori giocatori della manifestazione tanto da essere inserito nel quintetto ideale e da arrivare a contendere a Rubio il titolo di MVP. In una Serbia piena di grandi giocatori ed individualità non si può non menzionare il grande lavoro che ha fatto Bogdanovic, sopratutto nei (tanti) momenti di black out di Jokic, che lo hanno costretto ad agire spesso anche fuori dalla sua zona di comfort. Dopo due stagioni di “ambientamento” a Sacramento (che in queste ore gli ha offerto un contratto quadriennale da 51 milioni di $, ndr) dove ha modellato il suo corpo e il suo gioco sugli standard richiesti dall’NBA quest’anno sembra che il serbo debba giocarsi tutte le fiches per andare all in. Il problema più grande per Bogdanovic sarà capire cosa vorrà da lui il nuovo coach della squadra, Luke Walton. Se gli saranno concessi minuti in campo con De’Aaron Fox dove potrà giocare molto senza palla le sue percentuali e i suoi numeri non faranno che lievitare, come successo al mondiale. Al contrario se Walton lo vorrà usare come playmaker rischia di rovinare la macchina perfetta che Bogdanovic è destinato a diventare. La non-concorrenza nel ruolo sarà un problema marginale visto che stiamo parlando di un agonista pazzesco che non ha certo bisogno di motivazioni extra ma che potrebbe trovare momenti di down durante la stagione visto il trend adottato da Sacramento per la prossima stagione.

Lauri Markkanen

L’ennesimo “figlio” di Dirk Nowitzki. Da quando è passato WunderDirk niente è stato più come prima ma i cambiamenti più significativi non si sono solo avvertiti negli USA – dove sono nati  questi lunghi super-atletici che però sanno giocare anche fronte a canestro – ma sopratutto in Europa, anzi nell’altra Europa. Sì perché Markkanen arriva da un paese – la Finlandia – che con il basket non ha mai avuto un grande feeling e così come il suo gemello lettone Porzingis è chiamato a rilanciare l’immagine di un intero paese agli occhi del mondo. Markkaken sta affrontando il classico problema che qualsiasi suo coetaneo affronta in qualsiasi parte del mondo: capire cosa vuole diventare da grande. Troppo magro per giocare sotto ma troppo alto per fare l’esterno Markkanen sta ancora cercando la sua dimensione all’intero dei Chicago Bulls. Il tiro da fuori, abbinato a un ottima capacità di prendere rimbalzi sopperiscono a una struttura che non è pensata per difendere e a un corpo che soffre tantissimo i lunghi NBA, sopratutto quando si gioca in post. Questa tendenza che porta i nuovi lunghi a giocare molto fuori dalla linea del tiro da 3 aiuterà Markkanen a diventare una delle migliori ali grandi, sempre se saprà migliorare fisicamente.

Clint Capela

Il più affermato di questo quintetto e l’unico con esperienza playoff. Lo svizzero si è dimostrato eccezionale nel fare una cosa che a nessuno prima di lui era riuscita: capire i ritmi dell’attacco di James Harden e nel fare questo ha dimostrato di essere un elemento fondamentale nell’evoluzione della seven second or less di D’Antoni. Quando il barba è in difficoltà o viene raddoppiato sa che potrà sempre buttare su il pallone per un tap-in facile di Capela che non ha eguali nel leggere i blocchi e le intenzioni del suo numero 13. Tutto quello che Capela da ai Rockets nella metà campo offensiva lo raddoppia in quella difensiva, stoppate, aiuti, rimbalzi (8.2 rimbalzi difensivi, ndr) tutto fatto con un energia impressionante anche al quarantesimo minuto di partita. Capela è una dynamo, più fatica più si ricarica. Quest’anno però è arrivata un’altra star in Texas e con Russell Westbrook a sostituire Chris Paul il sistema dei Rockets non può far altro che cambiare cercando di integrare uno dei più grandi accentratori della storia NBA. Questo sicuramente danneggerà Capela dal punto di vista statistico, con due attaccanti così ci saranno molti meno palloni giocati per lui sopra il ferro ma il ginevrino potrà giovarne sotto il punto di vista delle energie, rimanendo a guardare in attacco. Potrà tornare in difesa e letteralmente far smettere gli avversari di tirare da sotto, rifilando stoppate in serie o pulendo i tabelloni di tutte e 30 le arene NBA. Se sarà utilizzato come totem difensivo potrà anche candidarsi per il premio di difensore dell’anno.

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Niccolò Frangipani

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