Spesso, nella vita, ci capita di frequentare luoghi che possono segnarci o, addirittura, cambiarci la vita. Luoghi in cui il cuore scrive un verso di poesia che rimarrà per sempre nel libro della propria anima, luoghi in cui un attimo può essere la matita del disegno della propria esistenza.
Siamo agli inizi degli anni ’00, Obama diventa il primo presidente afroamericano della storia, Google decide di rispondere al monopolio Apple lanciando Android e il mondo è in preda ad una delle più grandi e disastrose crisi economiche della storia. La povertà e la crescita dei movimenti xenofobi e razzisti nei confronti dei migranti sono il teatro della Grecia dei primi anni duemila e di quello che, come dicono oltreoceano, è un vero e proprio “american dream”. Nel 1994 infatti, a Sepolia, era nato un uomo che rappresenta l’incarnazione del successo, della crescita, del trionfo contro ogni pronostico e contro un destino, quasi, ineludibile: Giannis Antetokounmpo.
Sepolia è un quartiere popolare alla periferia nordoccidentale di Atene, lontano dal cuore pulsante del turismo, dal mare cristallino delle isole e, come ribadisce il suo significato stesso, exò pòleos, ovvero “fuori dalla città”. La famiglia versa in gravi condizioni, perchè Charles e Veronica, i genitori, non hanno la possibilità di trovare un lavoro qualificato per una coppia di immigrati clandestini. Giannis ed i suoi fratelli seguono solo la mamma, dopo scuola trascorrono i pomeriggi con lei, improvvisandosi anche venditori ambulanti. La sera, però, qualcosa cambia. Il playground diventa la sua casa, il posto in cui dimentica tutto, la sua condizione. Vuole danzare a ritmo di sogni con la sua migliore amica: la palla a spicchi. Sul lato opposto della strada, vicino al playground, si affaccia un locale storico: il Kivotós Cafè. Un semplice bar, cosa avrà mai di speciale, direte voi.
Il Kivotós Cafè è stato il locale che Giannis ha sempre frequentato, il luogo in cui tutto è iniziato, meta fissa dopo ogni partitella, che fosse al pomeriggio o alla sera. Yannis Tzikas, il proprietario, ha sempre accolto i fratelli Antetokounmpo, offrendo loro un gelato ed un bicchiere d’acqua. Tutto gratis. Si trattava di una vera e propria routine, un gesto piccolo, ma in verità pregno di significato, perché, nonostante le difficoltà, lui c’era e quella porta sempre aperta. Tra Giannis e Tzikas si sviluppa un legame di riconoscenza fortissimo, quasi come tra padre e figlio. A 17 anni il greco bussa alla porta e si offre di lavorare come cameriere. La crisi e il flagello economico si abbattono sulla famiglia e Giannis vuole provare a guadagnare qualche soldo.
Yannis, però, risponde con un categorico e preveggente no, pronunciando una frase che gli cambierà la vita, per sempre: “Quando vorrai mangiare qualcosa, qui troverai sempre la porta aperta. Ma non ti permetterò di lavorare nel mio locale. La mattina devi andare a scuola, il pomeriggio devi allenarti. Non abbandonare la strada che hai scelto, perché sono sicuro che diventerai un grandissimo giocatore di basket”. In occasione delle Finals 2021 il bar è stato trasformato in un vero e proprio locale a tema cestistico. Il 21 Luglio 2021 i Bucks battono i Phoenix Suns, chiudendo la serie sul 4-2 e Giannis tocca il cielo con un dito, aprendosi le porte verso la gloria eterna. Già, proprio quel ragazzo che dieci anni prima faceva capolino dalla porta del suo bar, stanco, stremato, con una palla a spicchi tra le mani, ma felice di praticare lo sport che lo avrebbe consacrato.
Ancora oggi, Giannis Antetokounmpo, quando torna in Grecia, passa sempre in quello che è per lui il suo posto magico. Il posto in cui ha cullato i suoi sogni, perché certi luoghi sono come quelle notti di Ligabue: un vizio che non voglio smettere, mai.
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