Ciclismo

Giro 2021: la salita non finisce al traguardo!

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Il Giro d’Italia 2021 è finito poco più di una settimana fa a Milano, con Egan Bernal in maglia rosa a sollevare il Trofeo Senza Fine e un Ganna in maglia arcobaleno a celebrare l’ennesima crono conquistata. Ma la Corsa Rosa non si è di certo decisa lungo il tracciato lombardo, anzi. La vera classifica si è fatta lungo i tantissimi km di strada che puntavano verso il cielo di questo Giro 104, dagli Appennini alle Alpi. Nei nostri occhi sono ancora impresse le imprese di Bernal sul Giau e di Damiano Caruso sull’Alpe di Motta, tappe memorabili proprio per le loro pendenze in doppia cifra e un traguardo conquistato da eroi, a braccia al cielo. Quello che però molti occhi non hanno visto sono i metri successivi all’arco dell’arrivo: le telecamere sono attentissime ad immortalare l’arrivo di tappa, mentre invece subito dopo non è facile capire tutto quello che succede. I momenti sono estremamente concitati e soprattutto l’attenzione di tutti è rivolta ad aspettare gli inseguitori per capire il loro distacco. Ma la salita non finisce al traguardo, e molto spesso è proprio in questi ultimi metri che si può capire molto di un corridore.

L’arrivo di Sega di Ala. ©Vita Sportiva

Lo abbiamo constato direttamente il 26 maggio, dopo l’arrivo di tappa di Sega di Ala, diciassettesima frazione del Giro 2021. Si trattava di una salita veramente brutale: pendenza media del 10%, con punte oltre il 17% e una lunghezza di 12 km, che alternava interminabili rettilinei a tratti con numerosi tornanti veramente ripidi. All’arrivo, i corridori erano al limite fisico e mentale. Ma è solamente dopo il traguardo che questo limite emerge visivamente, limpidamente. Niente più maschere, niente più tatticismi: dopo l’arrivo questi super atleti diventano uomini terreni, vulnerabili, che provano dolore e fatica come tutti noi. Da i loro volti, dalla loro gestualità, dalle loro espressioni emerge tutto lo sforzo della scalata, e subito dopo la linea d’arrivo, negli occhi di qualcuno, compare anche un pizzico di disperazione nell’accorgersi che i massaggiatori li aspettano a 50m. Altri 50m di salita ulteriori in sella a quel mezzo tanto odiato e tanto amato. Altri 50m per andare a prendersi una borraccia, una mantellina e mandare tutto al diavolo. E anche nei casi in cui il ciclista viene spinto dagli addetti verso la postazione d’arrivo, la salita non è comunque finita: per molti il recupero subito dopo lo sforzo è una fase critica, per certi aspetti dolorosa, dettata dal calo dell’adrenalina e dal corpo che deve rallentare. La salita in questo caso è mentale.

Ciò che ci ha colpito però è che ognuno reagisce a suo modo, come se questi super atleti abbiano un modo tutto loro, unico e personale, di manifestare al mondo la loro umanità.  Prendiamo ad esempio Joao Almeida, secondo classificato di giornata dietro Daniel Martin: il suo volto è rimasto esattamente lo stesso dal momento in cui ha tagliato il traguardo fino a quando è salito in ammiraglia. Uno sguardo fisso, quasi assente, la bocca leggermente aperta e un apparente isolamento totale dal mondo esterno, come se la salita lo avesse svuotato e dopo il traguardo fosse rimasto solamente un corpo vuoto. Molto diversa invece la reazione di Egan Bernal: un leone alpha che per la prima volta ha subito gli attacchi dei giovani pretendenti al trono, uscito con dei graffi evidenti dalla lotta. Il colombiano non ha avuto nemmeno le forze di staccare le scarpe dai pedali ed è stato aiutato dagli uomini di servizio. Il suo volto era una maschera di fatica ed è rimasto per quasi cinque minuti appoggiato alla bici, nella speranza di riprendere fiato, il tutto con la maglia di leader bella in vista. Quasi non si reggeva in piedi ed ha salito le scale del palco premiazioni zoppicando, a testimonianza di come sia necessario soffrire anche dopo quel tanto atteso traguardo di tappa.

Molti sono stati gli sconfitti di giornata, tra questi Hugh Carthy. Ciò che ha colpito di più però è stata la sua reazione dopo l’arrivo: una crisi di freddo davvero commovente. Il suo corpo ha iniziato a tremare visibilmente e nel suo volto è comparsa una smorfia di paura quando si è accorto che i suoi massaggiatori erano ancora un po’ lontani, come se quei 50 metri fossero lo Zoncolan. Mentre invece, al suo fianco, Bettiol sembrava non avesse nemmeno pedalato: lucido, concentrato, disteso in viso, tanto da fornire le prime informazioni ai massaggiatori della EF sullo stato di salute suo e del proprio capitano.

Ma c’è stato anche qualcuno che si è goduto la salita dopo il traguardo, e forse per la prima volta l’ha trovata quasi bella. Davide Formolo non ha sicuramente illuminato la tappa con una grande prestazione, ma è riuscito a sorridere per tutta l’ascesa grazie alle urla, ad i cori ed agli incitamenti del suo pubblico, quello della Valpolicella e della Lessinia, i suoi luoghi nativi. Ed è stato davvero sorprendente, dopo una sfilza di volti sgomenti, vedere un ragazzo tagliare il traguardo con un sorriso stampato e salutare tutti i suoi tifosi come in una passerella celebrativa, soprattutto grazie all’euforia di alcuni membri del suo fan club posizionato proprio dopo l’arrivo. Una scena impensabile fino ad un minuto prima.

Si potrebbe davvero scrivere un libro riguardo i metri di salita post traguardo, come se avessero da raccontare quasi di più di quelli di gara: si potrebbe narrare di Vlasov, che ha continuato a pedalare in tondo, come a ritardare più possibile quei dolori muscolari che ti attagliano le gambe dopo la discesa dalla bici. Oppure di Vincenzo Nibali, con un braccio a penzoloni fasciato, neppure in grado di sorreggere un panino datogli dagli uomini della sua squadra e con il volto di chi sembra poter svenire da un momento all’altro. O ancora di Evenepoel, sorretto dai suoi scudieri Honore e Serry, triste e sconsolato per le aspettative che non è riuscito a confermare, con l’espressione di chi ha scoperto per la prima volta quanto possa essere dolorosa la corsa più dura al mondo.

evenepoel_vita-sportiva

Una cosa però non ce la saremmo mai aspettata: quante cose si possono capire, osservare, raccontare ed ammirare dopo il traguardo. Quanto quei metri e quei momenti sono parte anch’essi dello sfarzo e delle luci della corsa, senza però avere la stessa dose di epicità narrativa di uno scatto in salita o di una volata. E quanto anch’essi siano in grado di emozionare e di presentare al mondo Joao, Egan, Alberto, Vincenzo e Remco, coloro che fino alla linea bianca erano Almeida, Bernal, Bettiol, Nibali ed Evenepoel. La salita non finisce al traguardo, e per farvi capire il vero significato di questa frase, ecco il video che abbiamo realizzato. Buona visione.

 

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Immagine in evidenza: ©Giro D’Italia, Twitter;

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Edoardo Brunello
Calciatore, cestista e pilota di F1 professionista. Ahimè no. Studio però Web Marketing & Digital Communication dopo una triennale in grafica, e spero di poter unire le mie due grandi passioni, sport e comunicazione, facendole diventare il lavoro della mia vita.

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