Calcio

Milano polare

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Per i chimici, la polarità è la proprietà secondo la quale una molecola, detta polare, presenta una carica parziale positiva su una parte della molecola e una carica parziale negativa sulla parte opposta di essa. Le molecole che non presentano il fenomeno della polarità sono dette apolari o non polari.

È possibile ritrovare molto del clima della Milano degli anni Sessanta in questa definizione; con un’unica, però, grande eccezione: essere apolari era impossibile. Uno dei due poli del mondo pallonaro della città doveva giocoforza ammaliarti e tramutarti, in una sorta di metamorfosi ovidiana, o in un diavolo rossonero o in un biscione visconteo nerazzurro. “Io dell’I-Inter / Lei del Mi-Milan” cantava Celentano nel lontano ’68. Un aut aut talmente categorico da essere in grado di raccogliere idealmente il testimone di un’altra storica, mitizzata e dibattuta rivalità: la sfida Gino Bartali-Fausto Coppi degli anni Quaranta e Cinquanta.

Uno scatto che ha segnato un’epoca: un uomo, una valigia e un cartone pieni, soprattutto, di speranze per l’avvenire. Sullo sfondo si staglia il Pirellone. Credits: Archiportale

La Milano dei Sessanta è, ça va sans dire, differente da quella attuale: è, infatti, un concentrato di creatività, cultura, ottimismo, dinamismo e slancio verso il mondo. Sentimenti che percorrono in quegli anni tutto lo Stivale, ma che nel capoluogo lombardo trovano grande espressione grazie allo spiccato senso imprenditoriale dei suoi abitanti, inebriati da un benessere sino ad allora sconosciuto e mossi in quel decennio come da una sorta di singolar tenzone con Roma, l’altra grande città del nostro Bel paese, che con la dolce vita provava a lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra. Ovunque si cerca, dunque, di infondere la bellezza del mostrarsi operosi, il fascino irresistibile della crescita individuale e collettiva. Milano accoglie indistintamente tutti e, altrettanto indistintamente, è in grado di offrire l’occasione di una vita a chiunque, si pensi a quanto narrato dallo scrittore grossetano Luciano Bianciardi nella sua autobiografia La vita agra, pubblicata nel 1962.

Tutti reclamano dunque un ruolo di primo piano nel cosiddetto miracolo economico italiano. Gio Ponti afferma non a caso agli inizi degli anni Sessanta ad una TV transalpina: “Sta a noi far sì che Milano diventi bella”. Milano conosce allora il genio e la creatività: nel 1961 il profilo della città guadagna in altezza grazie al completamento dell’iconico grattacielo Pirelli, noto anche con l’affettuoso soprannome di Pirellone e attualmente sede del Consiglio regionale della Lombardia, simbolo del razionalismo italiano e fiore all’occhiello del sopracitato Gio Ponti, già allora membro indiscusso del gotha dell’architettura mondiale. Milano è però anche terra di conquista dei designer: nel 1964, infatti, il Compasso d’oro, prestigioso riconoscimento assegnato dall’Associazione per il disegno industriale con l’obiettivo di celebrare e valorizzare la qualità del design italiano, finisce tra le mani dell’italo olandese Bob Noorda per la segnaletica della prima linea della metropolitana meneghina, la rossa, foriera di un rinnovamento grafico ed estetico di cui, indubbiamente, giova l’immagine a livello nazionale ed internazionale del capoluogo lombardo. La città meneghina è, dunque, nel corso dei Sessanta in costante lotta per primeggiare ed in perenne trance agonistica. Milano vede quindi l’esportazione di quel clima di voglia di primato anche a livello sportivo, per la precisione calcistico: Milan e Inter, infatti, si gettano vicendevolmente il guanto della sfida, si cercano e si rincorrono. Milan e Inter vogliono conquistare l’Italia, l’Europa e il Mondo.

Il capitano rossonero Cesare Maldini, il capostipite della dinastia, solleva con gioia incontenibile la prima Coppa dei Campioni della storia del club e del calcio italiano. Credits: Uefa.com

Impossibile, dicevamo qualche riga sopra, rimanere apolari: o si parteggiava per il Milan dell’allora presidente Andrea Rizzoli o si sosteneva l’Inter di Angelo Moratti e, ovviamente, dinastia. D’un tratto la miccia s’innesca e prendono il via i successi di entrambe le formazioni: nel 1962, i rossoneri del paròn Nereo Rocco vincono il campionato, l’ottavo della loro storia, con cinque punti di vantaggio sui cugini nerazzurri; l’anno successivo il tricolore migra sulla sponda interista del naviglio, il Milan chiude il campionato al terzo posto ma capitan Cesare Maldini alza al cielo del Wembley Stadium la prima Coppa dei Campioni della storia del movimento calcistico nostrano, vinta ai danni del Benfica di Eusébio con una doppietta di un sontuoso José Altafini, felice intuizione del presidente Rizzoli. Nel 1964, anche l’Inter riesce a mettere per la prima volta le mani sulla coppa dalle grandi orecchie, che viene messa in bacheca a discapito del Real Madrid, costretto a soccombere per 3 reti a 1 al Prater Stadion di Vienna.

Il capitano della Beneamata Armando Picchi, Il Professore Mario Corso e Sandro Mazzola festeggiano il primo storico trionfo dei nerazzurri in Coppa dei Campioni nel 1964. Credits: Uefa.com

Si giunge così allo storico “derby scudetto” del 28 marzo 1965. A San Siro, che nel 1957 era stato ammodernato con l’installazione di un impianto per l’illuminazione notturna, il Milan si presenta in testa al campionato con 41 punti; l’Inter, invece, ha un ritardo rispetto ai rossoneri di sole tre lunghezze. Superfluo dire che si tratta di un autentico match point. La giornata presenta temperature insolitamente elevate, quasi a voler assecondare gli animi surriscaldati dei tifosi di ambo le fedi che gremiscono gli 85.000 posti allora disponibili, di cui circa 60.000 a sedere. L’incasso totale della giornata è di 100.255.000 lire. Il Milan è allenato dal Barone Nils Erik Liedholm e ha in Gipo Viani una guida sicura per quanto concerne la direzione tecnica. I nerazzurri sono invece allenati dal Mago Helenio Herrera, l’Hombre vertical artefice della “Grande Inter”, che quel 28 marzo 1965 schiera Giuliano Sarti tra i pali; Burgnich, Facchetti, Guarneri e Picchi a comporre la linea difensiva; Bedin, Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e “Il Professore” Mario Corso a completare centrocampo e attacco. Il Milan manda in campo Mario Barluzzi a protezione della porta; Noletti, Pelagalli, “El Conejo” Vìctor Benitez e Maldini I come baluardi difensivi; Trapattoni, Lodetti e l’abatino Gianni Rivera a supporto di Mora, Amarildo e di un non al meglio Josè Altafini, stremato da un viaggio di ritorno dal Brasile. Il direttore di gara è il signor Sbardella di Roma.

Il Milan si dimostra fin dal fischio d’inizio dell’arbitro nervoso e imballato ed è costretto a rincorrere i cugini già dopo cinque minuti dall’inizio delle ostilità: Jair sigla la prima rete in girata al volo sugli sviluppi di un calcio d’angolo. I rossoneri hanno una reazione disordinata e dettata da un esasperato agonismo, che provoca spesso falli violenti, come quelli commessi da un ectoplasmatico Altafini e dal difensore peruviano Benitez sull’attaccante iberico Suarez. L’Inter appare più consapevole dei propri mezzi e prova ad amministrare il vantaggio. Al diciassettesimo minuto il furore agonistico del Milan produce un insperato pareggio. Capitan Maldini lancia sulla fascia Ambrogio Pelagalli, colpevolmente dimenticato dalla retroguardia della Benamata, che serve Amarildo, il quale non si fa pregare e deposita in fondo al sacco la palla che vale il provvisorio 1-1. Al trentaseiesimo minuto l’episodio che cambia irreversibilmente le sorti della novantaduesima stracittadina milanese: in occasione dell’ennesimo contrasto tra Benitez e Suarez, con gioco prontamente interrotto dal signor Sbardella, tra i due scatta la rissa. Suarez cade platealmente a terra dolorante e il direttore di gara si dirige in direzione del suo assistente di linea, che riferisce di un calcio ben assestato del “Conejo” Benitez nei confronti del centravanti originario di La Coruña.  Sbardella non ci pensa due volte e allontana anzitempo il peruviano dal rettangolo di gioco. Rossoneri in inferiorità numerica e in grave affanno nella porzione centrale del campo ma che riescono, in ogni caso, a chiudere il primo tempo in parità. Il Barone Liedholm tenta, alla ripresa della gara, di arretrare di una trentina di metri Rivera, con la convinzione di riuscire ad arginare nel migliore dei modi le folate nerazzurre. In meno di dieci minuti, però, l’Inter sfiora il gol a più riprese: ci provano Jair, Corso, Mazzola, Domenghini e Suarez. La palla non rotola in rete un po’ per imprecisione e un po’ per bravura del portiere Mario Barluzzi, diventato ormai titolare a partire dalla sesta giornata a Messina e mai più scavalcato nelle gerarchie dal Kamikaze Giorgio Ghezzi. Vista la malaparata, Liedholm cerca di salvare il salvabile, un punto avrebbe pur sempre permesso di mantenere a debita distanza i cugini nerazzurri, e arretra in mediana anche un impalpabile Altafini, lasciando il solo Amarildo ad impensierire la retroguardia interista. La mossa rende inaspettatamente il Milan meno vulnerabile alle azioni offensive nerazzurre e più propositivo in attacco, al punto di rischiare di passare in vantaggio al sessantesimo minuto, quando una splendida punizione di Rivera viene indirizzata verso la porta da Amarildo, costringendo Sarti agli straordinari. Amarildo si vede revocare successivamente una rete per fuorigioco. Il gol annullato fa sparire il diavolo dal campo.

28 Marzo 1965. Sandro Mazzola conclude a rete una splendida azione personale. La marcatura del centrocampista nerazzurro spegne ogni velleità di pareggio rossonero. Credits: glieroidelcalcio.com

Al minuto sessantotto, Angelo Domenghini deposita in rete il vantaggio interista con un tagliatissimo diagonale volante, sul filo del fuorigioco, su sponda di Mario Corso, sfuggito ad uno stremato Altafini. L’Inter, galvanizzata dal vantaggio, dilaga, trovando il terzo gol con Corso, autore di una progressione inarrestabile dopo essere stato ottimamente servito da Bedin al settantatreesimo minuto di gioco. La compagine milanista raschia il fondo del barile delle energie psicofisiche e trova una reazione di orgoglio: una splendida azione di Mora trova pronto Amarildo, che con un guizzo vincente trova il 2-3 al settantacinquesimo. Herrera sprona i suoi a non fermarsi, in un San Siro in preda alla bolgia dei tifosi milanisti improvvisamente ridestati dalla segnatura di Amarildo. L’Inter riprende in mano con grande maturità le redini dell’incontro e lo chiude definitivamente a dieci minuti dal triplice fischio con una memorabile rete di Sandro Mazzola. Il centrocampista torinese servito da un instancabile Mario Corso punta la porta, dribbla Cesare Maldini, punta Barluzzi in uscita disperata e lo infila per il 4-2. Il diavolo è ormai nelle spire mortifere dal biscione. All’ottantaquattresimo Pelagalli devia involontariamente con un braccio a fondo campo una conclusione senza pretese di Domenghini. I nerazzurri vorrebbero la concessione del calcio di rigore ma l’arbitro Sbardella concede solo l’angolo. Proprio sugli sviluppi del tiro dalla bandierina, Mazzola indovina la deviazione che vale il definitivo 5-2.

In una delle domeniche più nefaste per i colori rossoneri, il dio del calcio si dimostra ancora più subdolo nei confronti del Milan: a un paio di minuti dalla fine, il faro della manovra milanista, Gianni Rivera, abbandona il campo per uno stiramento. Milan, dunque, in nove uomini, in attesa del novantesimo minuto, sottoposto ai lazzi e frizzi del pubblico nerazzurro che accompagnano i passaggi dei loro beniamini nell’umiliante melina finale. Una melina attesa a lungo, come sottolinea con una punta di polemica e di feroce rivalsa il capitano dell’Inter Armando Picchi a fine partita. All’andata il Milan aveva, infatti, travolto i nerazzurri per tre reti a zero, con Lodetti autore di una doppietta e rete finale di Amarildo e la “Beneamata” era digiuna di vittorie nel derby della Madunina da ormai tre anni. Il tricolore si accaserà a fine stagione sulla sponda nerazzurra del naviglio e verrà poi raggiunto da una memorabile Coppa dei Campioni alzata al cielo di San Siro, stadio selezionato quell’anno per ospitare l’atto conclusivo e, in settembre, anche da un’Intercontinentale.

Un sorridente quanto tumefatto Nestor Combin di ritorno dall’inferno della “Bombonera” di Buenos Aires. Credits: sportmediaset.it

In una Milano che accoglieva in rapida successione i Fab-Four al Vigorelli (1965) e gli Stones al Palalido (1967), la squadra del diavolo saprà riacquistare ritmo e mordente. Alle vittorie nerazzurre, i rossoneri rispondono conquistando nel 1969 l’accoppiata Coppa dei Campioni, vinta grazie alla tripletta di Pierino Prati e al gol di Sormani contro l’Ajax, e Intercontinentale, alzata al cielo dopo la leggendaria “battaglia di Buenos Aires” contro l’Estudiantes, protagonista di una serie di colpi proibiti nel corso della partita disputata alla “Bombonera”.

Prima pagina del Corriere della Sera all’indomani dell’apocalisse di Piazza Fontana. Credits: milanosud.it

Il crepuscolo dei Sessanta dal punto di vista sociopolitico non è, però, altrettanto dolce per Milano: il 12 dicembre 1969, infatti, un attentato terroristico figlio della strategia della tensione costa la vita a 17 persone presenti in quel momento nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, Piazza Fontana. È l’inizio degli anni di piombo e di tritolo. Milano è passata anche da momenti come questi.

Samuele Virtuani
Nato a Milano il 4 maggio 2001, è un grande appassionato di Storia, soprattutto contemporanea, nonché accanito calciofilo fin dai tempi delle scuole medie. Da novembre 2020 è speaker presso Radio Statale, per la quale ha ideato e condotto per due stagioni "BigBang Effect", un programma per menti in cerca di idee esplosive. Da ottobre 2022 ha virato verso lo storytelling sportivo con "Glory Frame", show radiofonico in onda tutti i martedì dalle 15:00 alle 16:00 sulle frequenze di Radio Statale e in podcast.

3 Comments

  1. Un pezzo di storia meneghina,il derby dei centomila, del parterre dei distinti e popolari venduti dai bagarini…Ben scritto e piacevole da leggere.

  2. Sempre bello coniugare gli elementi sportivi con quelli storici. Sono un fan e appassionato di queste tematiche. Grazie per questo bel pezzo👍

  3. Ciappato tutto dal padre , per dirla alla D.Abattantuono…scritto molto bene e molto gradevole da leggere

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