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Penna all’Atleta: You Want to Know the Real Pierre? – by Pierre Gasly

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Nell’ottava puntata di “Penna all’Atleta” abbiamo deciso di proporvi una lettera scritta da Pierre Gasly, pilota di Formula 1 attualmente alla guida della sua AlphaTauri Honda, per “The Players’ Tribune“.

Il francese ripercorre gli ultimi anni della sua carriera, a partire dall’esordio in Red Bull fino al difficile periodo della sua vita segnato da una recessione in Toro Rosso e dalla tragica scomparsa del suo migliore amico, il pilota di Formula 2 Anthoine Hubert, morto nel 2019 in seguito ad un drammatico incidente nel circuito di Spa, Belgio. Episodi che hanno sconvolto la vita di Pierre, ma che gli hanno donato la forza di rialzarsi e riprovare, fino a vincere il Gran Premio d’Italia 2020 all’Autodromo Nazionale di Monza. Un racconto toccante ed emozionante quello di Pierre Gasly, che evidenzia come il sogno, quello suo e allo stesso tempo quello di Anthoine, di diventare un pilota di Formula 1, gli abbia permesso di ritrovare sé stesso. Ma soprattutto di dimostrare a tutti coloro che non avevano mai creduto nelle sue capacità, e in quelle del suo amico, che realizzare i propri sogni non è mai impossibile.


Quello che hai sentito, quello che hai letto – quello che pensi di sapere.

E poi c’è la verità.

La vera, innegabile verità.

E te lo prometto: in questa storia, ti dirò la verità.

Ci sono tante cose che avrei voluto dire per molto tempo. E arriveremo a queste. Ma perché tu riesca a conoscermi, e capire davvero chi sono, dobbiamo parlare del giorno in cui la mia vita è cambiata per sempre – il giorno in cui la mia vecchia vita è giunta al termine, per lasciare posto ad una nuova.

31 agosto 2019.

Era il sabato del Gran Premio del Belgio. Giorno di qualifiche. Il giorno veloce. Il giorno più divertente. Spa era uno dei miei circuiti preferiti in cui guidare. È una bellissima pista, davvero. Perfetta, ecco come la descriverei. Durante i weekend di gara la tabella di marcia è a ritmi serrati e la mia agenda piena di impegni – ogni minuto è contato quindi Jenny, la mia PR assistant, si assicura di farmi arrivare sempre in orario. Quel giorno, appena dopo le qualifiche, ho incontrato alcuni fan, dopodiché avevo 5 minuti per ritornare al garage Toro Rosso per il nostro debriefing di squadra.

Cerco sempre di trovare il tempo per guardare l’inizio delle gare di Formula 2 la domenica. Mi piace quando si spengono le luci di partenza. E cerco sempre di tenere d’occhio uno dei miei migliori amici, Anthoine Hubert.

Quindi quel giorno, mentre io e Jenny stavamo camminando verso il garage, le ho chiesto se potessimo aspettare un paio di minuti per guardare i primi due giri della gara di Formula 2. Eravamo in piedi davanti alla tv, con la testa verso l’alto e il collo piegato, a guardare le monoposto sfrecciare. Durante il secondo giro, non appena la telecamera si è spostata verso un ammasso di detriti, era chiaro che ci fosse stato un grande impatto all’altezza dell’Eau Rouge. Ho capito subito che era grave. L’ho capito e basta. C’erano pezzi di macchine ovunque, e sapevo che in quella parte del circuito le monoposto avrebbero superato i 250km/h. Se qualcosa va storto a quella velocità, si mette molto male. Era molto difficile capire chi fosse rimasto coinvolto nell’incidente, e io e Jenny dovevamo dirigerci verso il debrief prima di ricevere notizie a riguardo.

Mentre stavamo camminando, ho visto la bandiera rossa sventolare in pista per segnalare la fine della gara. Ricordo di aver pensato che, sai, magari qualcuno era rimasto ferito gravemente e che avrebbe dovuto lasciare le corse per il resto della stagione. Nel mio cuore, però, sentivo qualcosa di tremendamente sbagliato – il mio corpo semplicemente lo percepiva.

Quindi, ho chiesto al nostro team manager di farmi sapere chi fosse rimasto coinvolto, non appena avesse ricevuto notizie. Intanto il nostro debrief è iniziato, ho provato a concentrarmi su rapporti di trasmissione, punti di frenata e strategia, ma la mia mente non riusciva ad elaborare nessuna di queste informazioni. Non c’ero proprio. Ecco che il nostro manager interviene.

“Ok, sembra che Hubert e Correa siano rimasti coinvolti nell’incidente. Non sappiamo nient’altro al momento.”

Hubert?

No.

No.

 

 
Anthoine Hubert
James Gasperotti/ZUMA Wire via AP Photo
 

Era il ragazzo dal casco arancione. Era il più veloce in Francia. Quando ho iniziato nei kart nel 2005, Anthoine Hubert era il migliore. Aveva solo 8 anni (pressoché un anno più giovane di me), ma era già riuscito a fare quello che qualsiasi pilota di kart vorrebbe: essere veloce. Ogni volta che vedevo quel casco arancione in pista, sapevo che sarebbe stata una gara difficile. Vinse il titolo nazionale quell’anno, ma fu solamente alcuni anni dopo, quando avevo 13 anni, che iniziai a conoscere davvero Hubert.

Nel 2009 la Federazione Automobilistica Francese avviò un programma scolastico a Le Mans per i ragazzi che erano costretti a saltare mesi di lezione perché praticavano kart ad alto livello. La scuola richiedeva che vivessimo nel campus, quindi per un ragazzo era un impegno piuttosto grande lasciare la propria casa per rincorrere il proprio sogno di pilota. Praticamente tutta la mia vita, tutto quello che volevo essere era un pilota di Formula 1. Guardavo Michael Schumacher dominare al volante della sua Ferrari nei primi anni 2000 e sapevo che quello era ciò che volevo fare. Sono un ragazzo del tipo tutto o niente. Devi sapere questa cosa di me. O faccio una cosa al 100% o non la faccio affatto.

Quindi, a 13 anni, sapevo che avrei dovuto lasciare la mia casa di Rouen se volevo davvero avere la vita che sognavo.

Solamente altri 2 ragazzi in tutta Francia se la sono sentita di fare lo stesso.

E uno di quelli era il ragazzo dal casco arancione.

Anthoine era un ragazzo serio. Molto intelligente e studiava molto, il che l’ha tenuto fuori dai guai. Era severo con sé stesso, anche se era molto giovane, e ho imparato molta disciplina da lui. Dopo aver passato alcuni anni a scuola, passavamo la maggior parte del nostro tempo insieme. Ci spingevamo ad essere migliori.

 

Pierre Gasly and Anthoine Hubert
Courtesy of Pierre Gasly

 

Mi ricordo che in palestra uno dei due guardava l’altro dicendo, “Stanco?”

“Nah. Tu?”

“Nah.”

Eravamo entrambi stanchi. Esausti. Ma traevamo energia l’un dall’altro. Eravamo così.

La scuola era in questo vecchio e buio castello, dove in inverno finivamo l’acqua calda continuamente. Mi ricordo che io e Anthoine litigavamo con gli altri ragazzi su chi si sarebbe fatto la doccia per primo la mattina, perché tutti dovevamo condividere i bagni. Gli altri studenti della scuola erano perlopiù ragazzi normali, e ci chiedevano sempre perché fossimo lì e dove andassimo sempre tutti i weekend.

Io e Anthoine dicevamo sempre e solo una cosa.

“Diventerò un pilota di Formula 1 un giorno.”

Tutti alzavano gli occhi al cielo.

Anche ai kart – anche quando eravamo in posti in cui TUTTI amavano guidare, e amavano quel sogno – nessuno ci credeva. C’era questo pensiero comune che i francesi non ce la fanno. E sembrava che tutti in questo sport dovessero ricordarci ad ogni step che non saremmo arrivati lì.

“Ci sono 20 sedili in F1, perché voi due ragazzi dovreste farcela?”

“Non avete talento.”

“Le probabilità sono praticamente inesistenti.”

Cavolo, guardando indietro penseresti che gli altri quasi volessero che fallissimo.

Il loro dubbio e la nostra fede ci legavano. Sapevamo entrambi che tipo di sacrifici avevamo fatto, che le nostre famiglie avevano fatto, per farci arrivare fino a quel punto.

Se devo essere sincero, credo che in fondo io e Anthoine pensavamo entrambi che non ce l’avremmo fatta. Le probabilità veramente non erano a nostro favore. Avevamo talento, passione – ma non avevamo un esorbitante sostegno finanziario o qualsiasi altra risorsa di cui solitamente si ha bisogno per almeno darsi la possibilità di guadagnarsi un sedile. Ma il nostro sogno ci ha resi amici. E la nostra amicizia ci ha dato l’opportunità di migliorarci.

 

 

Pensavo spesso, ok, magari nessuno dei due ce la farà. Però almeno possiamo spingere tutti i giorni, almeno possiamo provarci. 

Quindi ho potuto crescere ogni giorno con il ragazzo più veloce della Francia.

E col tempo è passato dall’essere il ragazzo serio dal casco arancione, ad essere un mio amico – fino ad essere per me un fratello.

 

Seduto in quel debrief a Spa, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era al mio amico.

Ho iniziato a tremare. Non riuscivo a sentirmi le mani. Non riuscivo a sentire ciò che gli altri dicevano. Il mio respiro diventò irregolare, e le mie mani diventarono così sudate che non riuscivo a tirare fuori il telefono per controllare le news sui social.

Non appena il nostro debrief finì, sono corso verso l’area dell’hospitality per vedere i miei genitori e la mia ragazza, perché sapevo che avrebbero avuto più informazioni. Ricordo di essere sceso dalle scale e di averli visti tutti singhiozzare. Lo vedevo che erano devastati. E ho capito ciò che significava. Ho capito che il mio amico non c’era più.

Non ero pronto per quello. Onestamente, avevo pensato che magari Anthoine fosse in coma o qualcosa del genere. Ma morto? Morto? Non ho mai pensato che potesse essere possibile. Sai, quando Jules Bianchi morì in un incidente nel 2015… era la prima volta dopo molto tempo che qualcuno della nostra generazione di piloti, di qualsiasi livello, morisse. Succedeva spesso 40 o 50 anni fa, ma ora? No. No.

Ero completamente devastato. Ho pianto fino a che non avevo più lacrime da piangere. Non ho mai provato una sensazione peggiore di quella in tutta la mia vita. Mai.

Quella sera, quando ho chiuso gli occhi per addormentarmi, ho pensato al mio amico.

Ricordo di essere sceso dalle scale e di averli visti tutti singhiozzare. Lo vedevo che erano devastati.

– Pierre Gasly
 

Era solito pianificare e calcolare. Non prendeva mai rischi inutili. Come è potuto succedere a lui? Perché? Non meritava di andarsene. Aveva così tante cose ancora da fare. Ce la stava facendo. Ho davvero pensato che sarebbe arrivato in F1 un giorno. La gente dubitava di questo, e io sapevo – io so – quanto aveva lavorato duramente. L’ho visto per tutta la mia vita. So che se sono riuscito a farlo io, anche lui sarebbe riuscito a fare lo stesso. Ce la stava facendo.

Un mese prima della gara a Spa, appena prima che la F1 si prendesse la sua pausa estiva, eravamo a Budapest per il Gran Premio d’Ungheria. Quella domenica, molti di noi andarono fuori a cena e passarono la serata nella città. Io e Anthoine passammo la sera a parlare. Era solo una sera qualunque, capisci? Del tipo che pensiamo di poterne avere a migliaia di quelle con i nostri amici. E ora darei qualsiasi cosa per passare ancora qualche ora così con Anthoine.

Quando me ne sono andato quella sera a Budapest, ci siamo solo detti di divertirci quell’estate e che ci saremmo ritrovati a Spa domenica dopo la gara.

Naturalmente, non sapevo che non avremmo mai più cenato insieme. Ma non sapevo nemmeno che avrei avuto bisogno di lui da li a pochi giorni.

Pierre Gasly & Anthoine Hubert
Courtesy of Pierre Gasly

 

 

Ho iniziato la stagione 2019 con la Red Bull. Ero arrivato in F1 con Toro Rosso nel 2017, ma Red Bull era la mia prima opportunità di guidare con un top team e dimostrare a tutti di che cosa fossi capace in una delle migliori macchine al mondo. E in un certo senso mi sono sentito così, se fossi riuscito a farlo avrei mandato un messaggio a tutte quelle persone che avevano dubitato di me e Anthoine. Il suo successo significava molto per me, e so che anche il mio significava molto per lui.

Quindi dopo un 2018 molto buono con Toro Rosso, ho ricevuto una chiamata da Helmut Marko per farmi sapere che mi volevano in Red Bull. Avevano vinto moltissimi campionati, e Sebastian Vettel era stato una grande ispirazione per me da bambino – sapevo di voler guidare come lui un giorno. Perciò mi resi conto che stavo realizzando il mio sogno, ed ero emozionato. Vorrei poterti dire esattamente quello che ho pensato che sarebbe stato – quello che volevo che fosse. Ma non è stato così. Non lo è stato.

Dal momento in cui ho commesso il mio primo errore in macchina, mi sono sentito come se le persone mi stessero lentamente voltando le spalle. Avevo avuto un incidente durante i test invernali, e da quel momento la stagione non è mai andata per il verso giusto. Le prime due gare con Red Bull sono state dure e i media mi hanno divorato. Tutto ciò che dicevo alla stampa veniva trasformato in una scusa, e nessuno mi supportò davvero. La macchina non era perfetta, e io stavo facendo del mio meglio per provare a migliorare e imparare ogni settimana, però.. ti dirò: è stato un periodo difficile per me quello passato in Red Bull perché non mi sentivo supportato e trattato nello stesso modo di altri prima di me. E per me.. questo è qualcosa che non posso accettare. Lavoravo sodo ogni giorno, cercando di ottenere risultati per la squadra, ma non mi sono stati dati gli strumenti di cui avevo bisogno per farcela. Provavo ad offrire nuove soluzioni, ma la mia voce non era ascoltata, oppure i cambiamenti arrivavano dopo settimane.

Per qualche ragione, non sarei mai stato il pilota giusto per quel sedile – non sarebbe mai funzionata.

Non sono il tipo di persona che inizia polemiche con i media, perché sono realmente grato a Red Bull dell’opportunità, così come per tutto ciò che hanno fatto per me nella mia carriera. Lo sono davvero. Ma ho il permesso di dire la mia verità.

Quindi, ecco. Questa è la verità.

Dopo Budapest, dopo aver salutato Anthoine, sono andato in vacanza. Ma prima di andarmene, ho chiamato il nostro team principal, Christian Horner, solo per chiedergli cosa avrei potuto fare di più in gara per poter migliorare, e per vedere se potesse guardare un po’ dalla mia parte del garage per vedere che cosa si potesse fare. Christian mi disse che avrebbe fatto tutto ciò che poteva. Tutto qui.

Volevo migliorare. Volevo che funzionasse.

Ma Helmut Marko mi chiamò mentre ero in vacanza in Spagna e disse, “Ti rimanderemo in Toro Rosso per scambiarti con Alex Albon. Questo non significa la fine della storia con noi. Ma con tutto questo caos nei media pensiamo che sia la cosa migliore.”

È così che va. Questa è la F1.

 

Pierre Gasly
Peter Fox/Getty Images

 

 

È stato triste. Non posso mentire. Ero infranto da questo. Io voglio diventare campione del mondo. Chissà quando tornerò a guidare di nuovo una macchina così forte? È davvero, davvero difficile fare un passo indietro in questo sport.

Quando uscì la notizia qualche giorno dopo, ho ricevuto un messaggio da Anthoine.

“Dimostragli che sbagliano. Sii forte, fratello. Riuscirai a dimostrargli che meriti un sedile in un top team e che si sbagliano.”

E la mia tristezza si trasformò in guida – si trasformò in passione.

Sapevo che rimanevano nove gare sul calendario.

Nove volte per dimostrargli che avevano commesso un errore.

Nove volte per dimostrare loro che si sbagliano.

 

A Spa nel 2019 con Toro Rosso, mi sono sentito come se per la prima volta nella mia vita avessi iniziato davvero un nuovo capitolo. Avevo sempre pensato di poter mantenere una traiettoria verso l’alto e per poi diventare campione del mondo. Ma essere tornato indietro in Toro Rosso tra i team di mezzo – mi sono sentito evolvere dal vecchio Pierre. Dovevo trovare una nuova e più matura versione di me stesso se volevo dimostrare qualcosa in questo sport.

Ma poi arrivò quel sabato, e il mio mondo è stato completamente sconvolto. Ho perso il mio amico, il mio fratello. Ho perso una delle uniche persone – tipo che forse se ne contavano altre due o tre – che realmente capiscono cosa significa vivere questa vita. Io e Anthoine avevamo passato così tante cose insieme. Abbiamo condiviso questo percorso, questo viaggio. E quando ci lasciò, anche una parte di me se ne andò con lui.

Il giorno dopo, l’atmosfera in circuito era orribile. La vicenda di Anthoine aveva toccato tante persone, e c’era come una nuvola nera sopra la testa di tutti. Tutti non si sentivano molto bene. Abbiamo avuto un momento di silenzio prima della gara e alcuni familiari di Anthoine erano lì. Sai, questo rimise le cose in prospettiva per me. Tipo, Questa gara di oggi? Non è tutto. È solo una parte delle nostre vite, ma non è tutto. 

Sapevo anche che Anthoine ci stava guardando, e sapevo che mi avrebbe detto di concentrarmi e dare tutto.

 

 

Io e Anthoine avevamo passato così tante cose insieme. Abbiamo condiviso questo percorso, questo viaggio. E quando ci lasciò, anche una parte di me se ne andò con lui.

– Pierre Gasly

 

Così quando salii in macchina, lasciai che i miei pensieri raggiungessero Anthoine ancora una volta. Chiusi gli occhi, feci un respiro, e abbassai la visiera. Una volta fatto ciò, come uno scatto – entro nell’atmosfera.

Per l’anno seguente, ho fatto tutto con la visiera abbassata.

Ho spinto come se fossi tornato in quell’oscuro, umido castello.

Ho rincorso un sogno.

E un anno dopo, nel 2020, sono tornato in Belgio per il Gran Premio.

Come ho detto, Spa era uno dei miei posti preferiti nel mondo. Arrivavo sempre al circuito felice, emozionato di entrare in pista. Ma quella settimana.. potevo solo pensare ad Anthoine. Nient’altro. È stato incredibilmente triste.

Prima di quel weekend, sono salito sull’Eau Rouge, nell’area dell’incidente. È uno dei posti più belli nel motorsport. Puoi guardare giù dalla collina, e vedere il paddock e la prima curva, gli spalti e le aree dei fan. Se ti giri, puoi vedere il Kemmel Straight che porta fino a dentro le Ardenne. È davvero speciale. Così, sono salito lì con dei fiori. Mi sono accovacciato e ho recitato una preghiera per il mio amico, e poi me ne sono andato.

 

Pierre Gasly
Dan Istitene/Formula 1 via Getty Images

 

 

Vorrei poter dire che questo mi abbia portato pace. Ma non c’è alcuna pace quando succede qualcosa del genere.

Però l’ho sentito lì quel giorno. E ho anche sentito come se – per la prima volta da quando è successo – potessi tirare su la mia visiera e guardare fuori da essa di nuovo. Vedere davvero di nuovo. Ho trovato una parte di me quel giorno. E l’ho portata con me a Monza, la gara seguente.

Mi ero appena trasferito a Milano da alcuni mesi, e il Gran Premio d’Italia è stata la prima volta nella mia carriera in cui ho dormito a casa il giorno prima della gara. Quella domenica mattina, prima di arrivare al circuito, ero seduto a prendere un caffè in cucina. Stavo pensando ad Anthoine, a ciò che ero diventato. E mi sono detto, C****, la mia vita è davvero bella.

In quel momento, mi sono sentito grato, capisci? Come se ce l’avessi fatta – noi ce l’avessimo fatta. Ero un pilota di Formula 1. Diamine, un pilota di Formula 1. E cinque ore dopo sarei andato a competere al Gran Premio d’Italia.

Ho iniziato la gara in decima posizione. Era una giornata strana, molte monoposto stavano avendo problemi. Io mi sentivo bene nella nostra AlphaTauri Honda, e siamo andati avanti così mentre altri piloti faticavano – abbiamo continuato a spingere. E poi, al 29esimo giro, sono diventato leader della corsa quando Lewis è rientrato ai pit stop per una stop-and-go penalty. E per la prima volta in tre anni, non ero dietro a nessuno. Ero leader della gara. Avevo passato tutta la mia carriera in F1 a combattere contro altri piloti – cercando di raggiungere quello di fronte a me e continuamente inseguendo i team davanti. Ma in quel momento ero solo io. Io e la macchina e la pista. Ho guidato ogni giro come se fosse l’ultimo. Dico davvero.

Quel giorno a Monza, qualcuno mi stava guardando dall’alto.

In quel momento, mi sono sentito grato, capisci? Come se ce l’avessi fatta – noi ce l’avessimo fatta.

– Pierre Gasly

 

Ho continuato a pensare. Oggi è il mio giorno. Oggi è il MIO giorno. Non lascerò in alcun modo che questo momento passi. In nessun modo.

 Ed è stato davvero il mio giorno.

Il nostro giorno.

C’è bisogno di tante cose per vincere una gara in F1. E quando ho passato la linea del traguardo ho pensato alla mia squadra, alla mia famiglia – ero così grato per tutto il loro duro lavoro, i loro sacrifici. Sapevo di essere quello che ha fisicamente passato la linea del traguardo, ma erano tutti lí di fianco a me. Quel giro di raffreddamento.. vorrei poter riprovare quell’emozione ancora un altro milione di volte. La sensazione più bella. La migliore in assoluto.

Non c’erano spettatori, naturalmente – nessuno dei famosi tifosi italiani era presente quel giorno a riempire il tracciato – a causa della pandemia, ma il podio è stato comunque incredibile.

Essere sul gradino più alto – dico, è questo il motivo di tutto, no?

Quando ho sentito l’inno francese, ho cercato di immergermi completamente. Mi sono detto che la prima vittoria succede solo una volta.

 

Pierre Gasly
Matteo Bazzi/Pool/AFP

 

 

 

 

 

E quando è finito, non riuscivo ad andarmene. Mi sono sentito legato al podio. In un certo senso, senza fan ho sentito che era la cosa giusta. Spesso il viaggio per arrivare lì era stato piuttosto solitario. Stare lì in piedi, da solo, mi ha fatto pensare a tutti i meccanici, ingegneri, tutti gli uomini e le donne in AlphaTauri che lavorano dietro le quinte per rendere possibile un momento come quello.

E poi ho pensato al ragazzo dal casco arancione.

L’ho sentito lì. Mi stava guardando dall’alto.

I suoi sogni erano i miei sogni. I miei sogni erano i suoi sogni. E quel momento era il nostro momento.

Anthoine mi ha insegnato tante cose. Non c’è un giorno di gara che passa senza che il pensiero di lui non mi accompagni. Vorrei più di qualunque altra cosa vederlo in griglia con me quest’anno. Ma la sua morte mi ha costretto a vedere la vita in un modo diverso. Sul podio in Italia, non ho dato nulla per scontato. Ho festeggiato quel momento come se fosse l’ultimo – perché è così che tutti noi dovremmo vivere le nostre vite.

Il lavoro è il lavoro ed è bellissimo – senza dubbio. Ma, cavolo, tirati su la visiera ogni tanto e guardati intorno. Goditi quello che hai. Apprezza le persone e l’amore nella tua vita.

Sono così fortunato ad essere qui, a fare quello che sto facendo.

E sono così fortunato di aver conosciuto Anthoine Hubert.

Porterò i suoi sogni, le sue ambizioni, con me ovunque andrò.

Ti voglio bene, amico.

 Pierre

 

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