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Carlos Alcaraz, un predestinato che ha sempre bruciato le tappe

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È trascorsa poco più di una settimana da quella che in molti, a ragion veduta, definiscono già la partita del 2023. La finale di Wimbledon che molti speravano tra Carlos Alcaraz e Novak Djokovic c’è stata e non ha tradito le attese. In 4h 43min i due contendenti hanno mostrato sprazzi di grande tennis, il che non è scontato in finali così cariche di tensione. Ma soprattutto nel match non hanno mai difettato la lucidità nelle scelte e la consapevolezza di entrambi nei propri mezzi. Se queste doti erano però facilmente prevedibili dal lato di Djokovic, addirittura alla sua 35esima finale Slam su 71 partecipazioni (record ogni epoca in questo sport), non altrettanto si sarebbe potuto immaginare rispetto al giovane Alcaraz.

Alcaraz vince ricercando il gioco

Facendo un passo indietro, giusto un anno fa, ad appena 19 anni e 2 mesi Carlos Alcaraz era in sesta posizione nel ranking mondiale e perdeva la sua prima finale in carriera nel circuito ATP contro Lorenzo Musetti in quel di Amburgo. Lo spagnolo arrivava a quella partita dopo aver già vinto cinque tornei nel circuito maggiore in altrettante finali disputate. Ad oggi quel dato è ancor più significativo perché le finali giocate sono divenute 15 e i successi 12. Ciò che più impressiona è forse un altro aspetto. L’attuale numero 1 del mondo non ha ancora mai perso una finale di un Master 1000 (4/4) né di uno Slam (2/2). La sconfitta più rilevante rimane dunque quella patita lo scorso anno nell’ATP 500 tedesco e, sebbene il campione statistico sia ancora decisamente limitato, 15 finali appaiono un numero sufficiente per fare delle considerazioni oltre i meri numeri.

La più ovvia è che Carlos Alcaraz non ha paura di vincere. Messa così apparirebbe però una deduzione del tutto semplicistica. Nel tennis si parla tanto di capacità di gestire la pressione, dando per scontato che questo fattore esista e che nessuno, neppure i più grandi, possa esserne estraneo. Altro tema centrale nel racconto di questo sport è quello dei “punti importanti“. Molte volte si ripete che nel tennis non tutti i punti siano uguali e che per ambire al vertice vi sia il bisogno di giocare al meglio i punti importanti.

A tal proposito la sezione statistica del sito ATP ha messo a punto un indicatore definito “Under pressure rating“, che tiene in considerazione la somma della percentuale di palle break convertite, quella di palle break salvate con la percentuale di tie-break vinti e di set decisivi conquistati rispetto a quelli giocati. Sebbene molti di questi valori statistici siano influenzati dalla quantità di match presi in esame, facendo riferimento ad un arco temporale definito, ad esempio l’ultimo anno, e a giocatori con un numero simile di partite disputate, l’indice può restituire indicazioni significative.

Il classe 2003 di Murcia si pone in terza posizione assoluta nell’indice relativamente all’ultimo anno. Alle spalle soltanto di Nick Kyrgios (il quale ha giocato però soltanto 21 match negli ultimi 12 mesi) e proprio di Novak Djokovic, che si giova di una percentuale incredibile di tie-break vinti nelle ultime 52 settimane. Addirittura dell’ 81,1%. Il terzo posto in tale indicatore conferma dunque la capacità di Alcaraz di alzare l’asticella quando conta. Del resto solo chi possiede un livello di gioco particolarmente alto potrà raggiungerlo quando la tensione è massima. Intuitivamente infatti la pressione del punteggio, dovendo servire ad esempio per chiudere un match combattuto oppure giocando un tie-break decisivo, generalmente induce il giocatore ad affrettare le scelte sul campo. Aumentando gli errori tattici, prima che d’esecuzione. E da questi, di nuovo, nessuno è esente.

La possibilità di limitarne l’entità e farne un punto di forza relativamente ai rivali, passa però da una grande fiducia nelle proprie risorse. Traducibile in campo chiaramente come fiducia nel proprio gioco. Questo si può identificare come primo punto di svolta. Alcaraz vince molto spesso, anche nelle finali più importanti, “facendo gioco“. Esprimendo dunque un tennis creativo e non speculativo, difficile, rischioso e votato all’attacco. Forse più istintivo e meno schematico. Ulteriori aggettivi potrebbero risultare superflui, se non fuorvianti. Basterebbe ricorrere alle statistiche della stessa finale di Wimbledon. In una partita sostanzialmente equilibrata, in cui la differenza di punti totali è stata minima, Carlos Alcaraz ha saputo comunque mettere a segno nell’arco dei 5 set ben 66 “vincenti” contro Novak Djokovic. Quest’ultimo unanimemente ritenuto tra i più grandi della storia per le sue capacità difensive.

La tendenza dello spagnolo al gioco propositivo si inquadra, inoltre, in un tennista dalle capacità atletiche quasi sbalorditive. La sua rapidità nel “coprire il campo”, unita all’esplosività e ad una reattività non comuni, è ciò che probabilmente colpisce di Alcaraz. Prima ancora delle fulminee accelerazioni di dritto o dei suoi meravigliosi dropshot.

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Le doti fisico-atletiche di primissimo ordine, allegate alla grande varietà di soluzioni tecniche di cui già dispone e all’apparente facilità con cui genera colpi vincenti in modi differenti e contro avversari molto diversi, delineano la completezza tennistica speciale di Carlos Alcaraz. Tutto ciò, letto alla luce dei suoi 20 anni, spaventa ulteriormente i suoi rivali. Mentre fa brillare gli occhi ai moltissimi appassionati che in lui ripongono concrete speranze di poter rivivere i fasti degli ultimi vent’anni.

La completezza tecnica alla base della forza mentale e della precocità

Alcaraz ha sempre dimostrato fin dagli inizi della sua carriera di sapersi adattare velocemente all’innalzarsi del livello dei rivali e di essere all’altezza in poco tempo dei grandi tornei. Dall’inizio del 2020 in cui, ancora diciassettenne, frequentava il circuito Futures (terzo in ordine d’importanza nel tennis internazionale), alla svolta impressa nell’estate 2021 trascorsero soli 18 mesi. Per giunta comprensivi del periodo di stop forzato del circuito nel momento più duro della pandemia da Covid-19. Anche in quel frangente così delicato e di transito, non è comunque mai venuta meno la ricerca di un tennis propositivo che sfruttasse le sue molteplici qualità di gioco. E con ciò il riferimento va alle già citate doti tecniche e atletiche straordinarie riassumibili appunto nel più ampio concetto di “giocatore completo“.

È proprio questa caratteristica che probabilmente, più di altre, permette ad Alcaraz di affrontare con determinazione e relativa lucidità i momenti chiave in molti suoi incontri. La certezza di essere in grado di difendersi mirabilmente, come di decidere le sorti dello scambio, di attaccare “seguendo a rete”, piuttosto che di farlo “restando a fondo”. La consapevolezza delle molteplici soluzioni presenti nel suo repertorio tecnico e di essere sorretto, molto spesso, da una condizione fisica debordante, infonderebbe in lui la fiducia necessaria per giocarsi i momenti cruciali, limitandola al contempo nei suoi rivali di turno.

Oltre che influenzare positivamente la fiducia nel proprio gioco, la completezza che caratterizza il tennis di Alcaraz contribuisce a motivare anche la precocità e la rapidità del suo arrivo ai vertici. La sensazione di adattabilità, almeno potenziale, ad ogni contesto, ad ogni superficie, a tipologie diverse di avversari, è qualcosa che trasmettono soltanto i più forti e comunque è del tutto insolita in giocatori così giovani. Del resto i numeri parlano da soli. Carlos Alcaraz, nel giugno scorso, a 20 anni ed un mese è stato il più giovane tennista di sempre a vincere tornei del circuito maggiore sulle tre differenti superfici.

Va osservato, ad onor del vero, come le NextGen Finals non siano da tutti ritenute un torneo ufficiale. In quest’ottica ad Alcaraz mancherebbe ancora il successo in un torneo sul veloce indoor. Ma la sensazione che possa a breve colmare anche questa parziale lacuna, sembra netta. Ad ogni modo, ciò che mette in luce questo record emerge nitidamente dalla visione dei suoi match. Nonostante i peccati di gioventù talvolta emergano da un punto di vista delle scelte tattiche. Sul piano fisico e ancor più su quello tecnico Carlos Alcaraz dimostra una tale preparazione da poter eseguire tutte le tipologie di colpo. Sostanzialmente fin dal suo arrivo nel circuito maggiore nessuno, allo scuro della sua carta d’identità, avrebbe scommesso sugli allora 18/19 anni di quel ragazzo murciano che sapeva esprimere un tennis già così vario.

È evidente che la dote di esperienza avendo giocato oltre 150 partite negli ultimi due anni, con percentuali di vittorie oltre il 70%, oggi sia decisamente cresciuta rispetto ad allora. Chiaro anche che il suo gioco sia evoluto, divenendo più “solido”. Rispetto al passato, oggi raccoglie molti più punti con il servizio e ha meno passaggi a vuoto nei colpi da fondo. Riuscendo così a mantenere un livello di gioco elevato per frangenti più lunghi di match. Ma, al netto di questi progressi e di quanti potrebbe ancora averne il tennis del classe 2003 iberico, l’impianto del suo gioco fu da subito ben visibile. Le sue straordinarie capacità coordinative e difensive, come la facilità nell’alternare colpi violenti a tocchi precisi e morbidi, si scorgevano nitidamente. Già in quell’estate 2021 in cui, vincendo il torneo di Umago (match point nel video seguente), si issava al 55esimo posto del ranking mondiale.

Alcaraz al cospetto della prova più dura

La recente vittoria nel torneo di Wimbledon, in finale contro il superfavorito Novak Djokovic, anche per le circostanze e il modo in cui è maturata, non può non considerarsi la definitiva consacrazione di un campione che siederà al tavolo dei più grandi di questo sport. Del resto nello Slam londinese le condizioni sfavorevoli per Carlos Alcaraz c’erano tutte. L’erba infatti non è, o forse non era, la superficie dove lo spagnolo esprime il suo miglior tennis. Certamente è quella sulla quale ha minor esperienza. I due straordinari successi nel giro di un mese, prima al Queen’s e poi a Wimbledon, sono stati soltanto, rispettivamente, il terzo e quarto torneo giocato sui prati dallo spagnolo. Egli ha così dimostrato, una volta di più, le sue grandissime capacità di adattamento ai differenti contesti. Dunque la sua precocità.

Il più grande ostacolo sul cammino di Alcaraz si è palesato, manco a dirlo, in finale. Djokovic non perdeva a Wimbledon addirittura dal 2017 e l’aveva inoltre sconfitto sulla terra rossa di Parigi poco più di un mese prima. L’attuale numero 1 del mondo ha saputo interpretare l’incontro come un veterano, dimostrando al cospetto del più forte, proprio quella maturità e completezza di cui si diceva e che avrebbe poco a che fare con un ventenne, pur di grandissimo talento. Alcaraz infatti lungo il match ha dato prova di grande forza mentale. Caratteristica necessaria a non abbattersi nei momenti di difficoltà dovuti al punteggio, o quando la classe del campione serbo veniva più chiaramente in evidenza. Ma soprattutto la fiducia nel suo tennis brillante e vario non è venuta meno nel momento chiave.

L’ultimo game del match in cui serviva per il titolo. Il secondo punto del game, concluso con un precisissimo “pallonetto” dal margine di errore quasi nullo, successivo ad un dropshot finito in rete nel primo “quindici”, esemplifica al meglio proprio quella sicurezza nei propri mezzi che si è cercato di descrivere sopra. E lo stesso ultimo game in qualche modo ha dimostrato anche il perché di tanta fiducia e determinazione nel giocare i punti decisivi. L’utilizzo magistrale del dropshot, la sensibilità del pallonetto, l’acrobazia per una volée magistrale, il servizio vincente nel momento più delicato e il colpo risolutivo con il dritto. Tutti fantastici esempi di quella completezza tecnica e atletica già citata. Peculiarità straordinaria. Capace di rendere Alcaraz il più giovane nell’Era Open (dal 1968) a raggiungere il primo posto nel ranking ATP, a soli 19 anni e 130 giorni.

Nel lavoro si è descritto il talento, la sfrontatezza, l’atletismo debordante di un giovane rampante. Al contempo la determinazione, la fiducia e la classe di chi ha già scalato tutte le tappe, bruciandole in molti casi, fino al vertice. Dalla tenuta mentale, dalla capacità di crearsi sempre nuovi stimoli in allenamento, dalle rivalità che nasceranno, dalle sconfitte brucianti che sperimenterà nel tempo, oltreché dalla capacità di mantenersi integro negli anni, dipenderà per Alcaraz l’essere o meno il degno erede dei tre più vincenti tennisti di sempre. Fermo restando che uno tra loro, Novak Djokovic, sembrerebbe ancora lontano dal voler cedere il passo.

Immagine in evidenza: ©AP Photo/Alastair Grant ASSOCIATED PRESS

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Riccardo Taborro

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