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Dalla cosmologia alle Universiadi: i 400hs di Gabriele Montefalcone

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I 400 metri ostacoli sono tutta una questione di numeri: i passi percorsi tra una barriera e l’altra, l’intervallo trascorso in aria, la velocità pura sfoderata sul rettilineo. Un insieme di cifre da raccogliere e applicare, come fa ogni giorno Gabriele Montefalcone, atleta dello Sport Race S.S.D.

Quinto alle recenti Universiadi Estive vinte dal taiwanese Peng Ming-Yang, il 26enne romano unisce la propria passione per l’atletica leggera a quella per la fisica, svolgendo un dottorato di ricerca in cosmologia presso l’University of Texas.

Un mondo completamente diverso quello americano, dove le aspettative sono sicuramente più basse, ma dove al tempo stesso ci si può divertire unendo studio e sport in un connubio osservabile senza difficoltà proprio nei 400 ostacoli, specialità che ha riportato Montefalcone nel giro della Nazionale.

Montefalcone con la maglia azzurra alle Universiadi di Chengdu

Gabriele Montefalcone, ci racconti com’è andata l’esperienza alle Universiadi?

E’ stata un’esperienza bellissima. Prima esperienza per me e ho avuto modo di vivere un’esperienza molto cosmopolita, complice un villaggio molto grande con tante strutture e tante attività da svolgere. Si stava veramente molto bene. Per quanto riguarda il sottoscritto le gare sono andate nel migliore dei modi e mi sono divertito particolarmente. Sono stati tre giorni di fuoco tra turni, semifinali e finali, dopodiché ho avuto modo di svagarmi maggiormente sia dentro che fuori dal villaggio, tanto che siamo andati a vedere anche i panda.

L’Italia ha fatto incetta di medaglie. Quale era il clima all’interno della squadra dell’atletica leggera?

Avendo deciso la Federazione di convocare solo undici atleti, si è creato un bellissimo gruppetto stando tutti assieme. Questo rende sicuramente un’esperienza da ricordare.

Nelle eliminatorie hai firmato il miglior tempo, mentre in finale ti sei dovuto accontentare del quinto posto nei 400 metri ostacoli. Cosa ti ha impedito di andare a medaglia?

Gli altri me lo hanno impedito perché sono stati bravi loro. Ero consapevole che aver centrato il miglior tempo nel primo turno non era necessariamente indicativo di quello che sarebbe successo dopo. La grande differenza è che ho una grande consistenza nella mia ritmica sugli ostacoli, quindi non posso nemmeno andar troppo piano. Se mantengo il ritmo, un 50”00 esce per forza. Vedo che molti altri atleti hanno degli andamenti particolari, le cambiano di gara in gara. Riescono ad andar molto piano il giorno prima e quello dopo a cambiare totalmente. 49”99 era un tempo ottimo visto che ho affrontato la gara in maniera molto rilassata ed ero convinto che sarei potuto andar più veloce. La semifinale è stata la prova più bella della mia carriera: perfetta nella prima parte, tant’è che ho centrato il personale, nonostante gli ultimi 40 metri li abbia lasciati andare. In finale speravo in qualcosa di meglio, guardando gli intertempi, avrei corso 48”90 la semi se avessi tirato sino alla fine. Ovvio che mi era venuta l’acquolina in bocca all’idea di ripetermi in finale, però anche ci fossi riuscito, sarei comunque arrivato quinto. Gli altri hanno avuto dei miglioramenti impressionanti e il merito è loro, ma probabilmente non ho ancora assodato quella fase di corsa.

Quali differenze hai incontrato fra la semifinale e la finale?

Nella prima ero letteralmente da solo, visto che ho superato velocemente quello davanti a me e dietro non avevo nessuno che mi inseguisse. In finale il taiwanese è partito come un fulmine e un po’ mi ha destabilizzato. A questo livello, soprattutto per me che ho una ritmica precisa, basta un attimo per perdere quei due/tre decimi e portarteli dietro fino alla fine. Sono transitato infatti al 200m con trenta centesimi in più rispetto a prima e quelli sono gli stessi che mi hanno impedito di realizzare un 49”00. Bisogna considerare anche i tre turni che non sono pochi.

Gabriele prima della finale dei 400 metri ostacoli

In Cina sei riuscito a firmare il nuovo personale in 49”15, abbassando così il tuo limite di ventotto centesimi. Sei convinto che in futuro si possa far ulteriormente meglio?

Sì, anche se il tempo è sempre una conseguenza. C’è una questione ritmica su cui ho già iniziato a lavorare da quest’anno e non ero ancora pronto. Sicuramente l’obiettivo per la prossima stagione è di cambiare negli ultimi 100 metri mantenendo quattordici passi sino alla fine. Attualmente faccio tredici sino al primo, quattordici fino all’ottavo e poi allungare di un passo sino alla conclusione. Allungare di un passo significa però perdere 15 centesimi, anche se si è bravissimi a mantenere la frequenza per una questione matematica. In allenamento ho lavorato molto per chiudere anche gli ultimi due ostacoli in 14, però non ero ancora pronto in gara. Se riuscirò, il prossimo guadagnerò in automatico 30 centesimi. Per il resto c’è comunque margine aumentando la velocità di base e la fluidità. Sarà difficile, ma c’è spazio per migliorarsi. Il passaggio fondamentale è consolidarsi: io voglio rendere questo 49”10 come una gara che, alzandomi al mattino, posso fare con tranquillità. Questo conta più di correre un 48”80 una volta, anche perché la costanza di solito ti consente non di migliorarti, ma di passare i turni nelle rassegne internazionali.

Sei tornato a vestire la maglia della Nazionale dopo i Mondiali Juniores 2016. Quanto ti è mancata questa casacca?

Tantissimo perché ci sono stati momenti in questi setti anni in cui sembrava molto lontana. Quasi irraggiungibile, per vari problemi fisici e per mantenere un allenamento idoneo durante gli anni dell’università. Non è ciò che mi guida durante la preparazione perché ciò che mi spinge è l’allenamento personale sulla gara. Lo scorso anno l’ho sfiorata per due volte perché dovevo partecipare ai Giochi del Mediterraneo, ma mi sono strappato e quindi ho dovuto alzare bandiera bianca. Avrei quindi dovuto partecipare agli Europei, ma nella fase di recupero ho avuto un problema al piede sinistro. Quando quest’anno mi si è presentata questa opportunità, sapevo che avrei dovuto rinunciare ai Mondiali, ma ho deciso comunque di prenderla. L’idea di trascorrere un altro anno senza casacca della Nazionale non mi piaceva. Pensare di rappresentare il mio paese è molto bello”.

 

Montefalcone ai Mondiali Junior di Bydgoszcz, nel 2016 (foto @Giancarlo Colombo)

Siccome si parla di Universiadi, non possiamo non parlare di studenti universitari che uniscono sport e studio. Come riesci a mantenerti ad alto livello su entrambi i fronti?

Ero molto contento di partecipare perché credo mi rappresenti appieno. Ho sempre voluto continuare a svolgere attività sportiva insieme allo studio, cosa mi è sempre stata sconsigliata da entrambi i lati. E’ difficile perché non è semplice continuare ad esser stimolati. Quando si trovano difficoltà in una, si pensa direttamente di smettere e concentrarsi sull’altra. Sinceramente per farcela deve guidarti la passione. Io adoro quello che studio e lo considero un piacere. Non credo comunque che ci fosse un mondo dove io potessi far solo l’atleta o il fisico, per me era importante proseguire entrambe le vie, anche se questo ha significato perdere delle occasioni in entrambe le circostanze. Per come sono fatto, non credo che far unicamente una o l’altra cosa mi avrebbe portato a risultati migliori. Questo ritmo mi consente di dare tutto sul campo o sul lavoro, ma il tutto solo perché sono appassionato.

Sappiamo che stai affrontando un dottorato in fisica all’University of Texas puntando in particolare sullo studio dell’universo. Ci spieghi di cosa si occupano di preciso le tue ricerche?

Ho sostanzialmente finito i miei studi visto che non seguo più corsi. Ciò di cui mi occupo principalmente è fare ricerca e insegnare perché come dottorando, sono stato affiancato a un professore e mi occupo di monitoraggio di esami, correzione di prove e svolgimento di alcune lezioni. Il 20 % del mio tempo è sull’insegnamento e il resto sulla ricerca. Mi occupo principalmente di cosmologia, che è lo studio dell’immensamente grande, quindi l’oggetto più piccolo che si studia è un cluster di galassie, un agglomerato che va da 20 a 1000 galassie. Nello specifico, io nella maggior parte dei casi mi occupo di cosmologia primordiale, quindi la teoria del Big Bang e come interesse parallelo punto sullo studio della materia e dell’energia oscura. Due elementi che sembrerebbero esser necessari per spiegare una serie di osservazioni che notiamo nell’universo, ma di cui non abbiamo una precisa comprensione, motivo per cui le chiamiamo oscure. C’è un impegno forte nella comunità scientifica per approfondire e dar un senso a questi due campi, specialmente per la materia oscura, di cui si spera nei prossimi 10/15 anni di capire l’entità. L’energia oscura è ancora più complicata e può essere che non riuscirò a comprenderla in tutta la mia vita, rimanendo comunque un interessante percorso di studio.

Il fisico Gabriele Montefalcone (@LinkedIn)

Com’è nata questa tua passione per il cosmo?

All’inizio in maniera molto superficiale. Quando ero piccolo era sempre molto curioso. Quando ti domandi come funziona il tutto, arrivi all’immensamente grande: “da dove veniamo?”, “com’è fatto il nostro sistema solare?”. Le domande che mi iniziavo a porre erano quindi legate alla natura delle cose, cercando di capire quali siano le leggi fondamentali per spiegare come si comportano gli oggetti e come interagiscono tra di loro. Al liceo ho avuto la fortuna di incontrare un bravissimo professore di fisica, che ha incanalato questa mia passione e in quella materia ho trovato il modo più scientifico possibile per dare risposta alle mie domande. Nella matematica ho sempre trovato una certa felicità e la fisica consentiva di usufruire della stessa, mettendola in pratica nel mondo reale. Tutto ciò mi ha spinto a trasferirmi negli Stati Uniti per approfondire gli studi. Lì mi sono reso conto che la cosmologia ti offre la possibilità di studiare l’immensamente grande, come l’immensamente piccolo, in quanto la teoria del Big Bang ci dice che l’universo si è espanso e, in un passato molto remoto, era minuscolo. Ciò consentiva l’applicazione di leggi fondamentali della meccanica quantistica e della relatività generale di Einstein, due aspetti che potevo studiare assieme.

I tuoi studi universitari ti hanno aiutato a migliorare a livello agonistico?

Esser un atleta significa esser uno scienziato e viceversa. Entrambe applicano un metodo scientifico per migliorarsi e c’è sempre questa ricerca continua, senza mai una fine. Si può sempre modificare qualcosa, dalle tecniche con cui ci si allena a come si corre. Lo stesso vale per la scienza, dove c’è un continuo progresso nei mezzi per scoprire qualcosa di nuovo. Il metodo di ricerca lo uso nel mio allenamento scrivendomi sempre test e dati che ottengo dagli allenamenti e che posso analizzare in maniera semplice, visto che l’atletica non è una scienza esatta, modificando al meglio la preparazione.

Gabriele Montefalcone con la divisa della Texas Univeristy (Foto @FIDAL)

Per motivi accademici ti sei trasferito negli Stati Uniti. Quali differenze hai notato nel vivere l’atletica leggera rispetto all’Italia?

Moltissime, perché in America si vive con più spensieratezza. Ciò ha dei lati positivi e negativi. In Italia si ha una tendenza di diventar professionisti nel modo di allenarsi molto precocemente. Dopo i Campionati Italiani cadetti, dove magari si ottiene una prestazione di grande caratura, si comincia a imporre tecniche di allenamento molto avanzate e si stila un programma preciso al fine di ottenere il picco in alcuni momenti della stagione. Questo ha i suoi vantaggi, però ha anche il risvolto della medaglia, con molti atleti che smettono poco dopo. Se non entri in un corpo militare, dopo i 18 anni diventa difficile proseguire a far atletica leggera perché la maggior parte delle università non ti danno alcun supporto. Ti ritrovi a proseguire gli studi con un sistema accademico che non ha alcun interesse a coltivare la tua passione sportiva e devi allenarti da solo in gruppi molto piccoli. Ci sono quindi degli atleti molto forti, ma che si allenano da soli. Da subito quindi bisogna ottenere certi tempi, altrimenti si rischia di non entrare nei gruppi militari. Negli Stati Uniti invece il sistema è pensato per favorire lo sport. Ogni università ha una squadra sportiva, ha delle strutture vicine agli ambienti di lezione, inoltre hai una fascia oraria dove non si può aver lezione perché dedicata agli atleti. Hai infine un sistema gare così ampio che ti permette per quattro anni di continuare ad allenarti senza pressioni eccessive. Ci si riesce ad allenare con un gruppo grande e con molte gare. Ciò ha un risvolto negativo perché, soprattutto dentro il college, non ci si allena in maniera così professionale. Si è sempre pronti a gareggiare, i carichi non sono esagerati, la qualità degli esercizi è sempre molto alta e il rischio infortuni è più elevato. Tutto ciò per via della scarsa attenzione riposta sulla prevenzione da parte degli allenatori, visto che si ha un ampio bacino a cui attingere.

Consiglieresti quindi ai tuoi colleghi di trasferirsi negli Stati Uniti?

Dipende dal profilo dell’atleta. Io la consiglierei a coloro che sono su un livello con minima possibilità di entrare in un gruppo sportivo militare, ma comunque ad un livello elevato. Se a 19 anni corri in 52” sui 400 metri ostacoli, le possibilità di accedere sono basse, però al tempo stesso puoi andare in un’università americana, dove puoi vivere una bella esperienza di quattro anni, allenandoti e magari migliorandoti così tanto da tornare in Italia e avere una proposta da un gruppo sportivo. Nel frattempo però ti sei divertito in un contesto più spensierato, dove se anche vai male, ti diverti comunque, grazie a quella logica di squadra che ti fa sentire parte di un gruppo.

Foto @Giancarlo Colombo

I 400 ostacoli uniscono la velocità dei 400 allo sforzo di superare le barriere. Siccome di per sé i 400 sono già definiti “il giro della morte” come si gestisce uno sforzo così esigente?

Secondo me la maggior parte degli ostacolisti ti dirà che fatica maggiormente sui 400 piani che fra gli ostacoli, perché le barriere possono esser un amico dell’atleta più che un problema, aiutandoti a distribuire la gara in maniera intelligente. In un 400 dove devi andar più veloce possibile, è difficile gestire la prova, avendo pochi punti di riferimento, che possono esser al massimo ogni 100 metri. Bisogna esser molto concentrati per aver una certa andatura e mantenere il ritmo. Le barriere sono invece dei cardini che aiutano a mantenere una ritmica e non arrivi alla fine morto, perché hai distribuito lo sforzo in maniera intelligente. Personalmente la vedo così, se ci fossero solo i 400 piani non sarei ad altissimo livello. Le barriere mi aiutano molto avendo una grande sensibilità sull’ostacolo, che mi consente di mantenere una ritmica molto economica e di distribuire la gara in maniera costante. Grazie agli ostacoli riesco ad avere buone energie nell’ultimo 100 e ottenere risultati di buon livello. Detto ciò, il 400 ostacoli è una gara di velocità ed è importante esser comunque un buon quattrocentista. Sono due le componenti: esser più veloci e aver un differenziale più piccolo possibile. Se non corri veloce sui 400, non andrai mai veloce sugli ostacoli. Il minimo di differenziale è di due secondi, visto che, calcolato che si sta in aria per almeno un decimo, meno non si può fare.

In Italia il faro dei 400 metri ostacoli è rappresentato da Alessandro Sibilio. Ti ispiri a lui? In futuro ti piacerebbe affrontare un grande appuntamento come i Giochi Olimpici in sua compagnia?

Al momento più che un punto di riferimento, è la stella che abbiamo in italia. Non lo vedo come un avversario, ma come un patrimonio per l’atletica leggera italiana. Per ora è ad un livello irraggiungibile per me. Mi auguro che continui a migliorarsi perché, conoscendo le sue qualità e la sua velocità di base, può a mio parere puntare a superare il record italiano di Fabrizio Mori. Attualmente a livello internazionale abbiamo Karsten Warholm, Alison Dos Santos e Rai Benjamin che sono sui 46” e per questo imbattibili. Dopo questi tre, Ale non penso abbia meno degli altri e per questo motivo sono ancor di più suo tifoso. Vorrei che lui riesca a portare i 400 ostacoli italiani a livello mondiale. D’altro canto il nostro compito è correre più velocemente possibile, così da creargli un minimo di competizione anche in Italia, affinché lo si possa aiutare a migliorare ancora di più. Spero di poter trascorrere con lui il prossimo anno, pieno di grandi appuntamenti. A maggior ragione perché ha avuto numerosi problemi fisici negli ultimi anni, che lo hanno frenato. Mi auguro che riesca a trovare il bandolo della matassa e che nel 2024 possa aver un ulteriore exploit. Cosa che spero anche per me. Quando si parte sui blocchi, spero sempre di batterlo, ma da osservatore è ovvio che lui abbia qualità che spuntano ogni vent’anni.

Alessandro Sibilio durante i 400hs dei Mondiali Junior di Bydgoszcz (foto @Giancarlo Colombo)

In conclusione, qual è il sogno che Gabriele Montefalcone vorrebbe realizzare?

Cerco sempre di evitare di concentrarmi su un obiettivo materiale. Le Olimpiadi sono la gara più bella e a cui mi auguro un giorno di poter prendere parte. Il sogno più bello è legato alla mia distanza ed è quello di mantenere una ritmica che sogno da tanto. So che se riesco a realizzare quella prestazione, probabilmente uscirebbe un tempo particolarmente buono, sufficiente per partecipare alla competizione a cinque cerchi. Il vero sogno è proprio cercare di arrivare al mio limite umano, oltre che partecipare il prossimo anno agli Europei di Roma, visto che sono in casa. L’idea di correre all’Olimpico rappresentando la mia nazione sarebbe incredibile.

 

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Marco Cangelli
Giornalista presso la testata online "Bergamonews" e direttore della web radio "Radio Statale", sono un appassionato di sport a 360 gradi. Fondatore del format radiofonico "Tribuna Sport" e conduttore del programma "Goalspeaker", spazio dal ciclismo all'atletica leggera, passando per lo sci e gli sport invernali

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