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L’ interViSta – a tu per tu con Luca Vanni

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Ospite della rubrica ” L’ interViSta “ Luca Vanni, tennista italiano classe 1985 che nel 2015 ha raggiunto la posizione n. 100 del ranking ATP. Nella sua carriera può vantare una finale al torneo ATP  250 di San Paolo nel 2015 e nello stesso anno una convocazione in Coppa Davis, in occasione del match tra Italia e Kazakistan. Vanni, inoltre, si è qualificato per ben 2 volte agli Australian Open, una volta al Roland Garros, una a Wimbledon e ha conquistato 5 titoli a livello Challenger. Con lui abbiamo parlato della sua stagione appena conclusa, dei grandi risultati raggiunti dai tennisti azzurri in questo 2019 e della nuova Coppa Davis.

Partiamo dal rientro dopo l’intervento al ginocchio che hai subito ad Aprile, come stai ora e quanto è stato difficile rientrare ad un buon livello di forma?

Adesso dopo cinque mesi e mezzo un po’ travagliati mi sembra di vedere finalmente la luce, grazie soprattutto alla semifinale raggiunta al torneo di Ortisei e ai risultati ottenuti negli ultimi tornei dove sono tornato a battere giocatori di un certo livello. Purtroppo il recupero dopo l’operazione non è stato semplice, i medici ti danno dei tempi di recupero ma in realtà è tutto soggettivo, dipende da persona a persona. Soprattutto per me non è stato facile, perché l’età avanza e questo era già il quarto intervento al ginocchio che ho dovuto affrontare. Inoltre tre mesi dopo l’operazione sono tornato subito a giocare pensando di stare bene invece non era così, per questa ragione mi sono dovuto rifermare e allenarmi di nuovo. Ora però sembra si sia tutto sistemato e non ho più quei dolori che non mi permettevano di competere ad alti livelli.

Passiamo ora alla tua stagione tennistica 2019, condizionata assolutamente dall’intervento al ginocchio ma iniziata molto bene con la qualificazione agli Australian Open, perdendo solo al quinto set contro lo spagnolo Pablo Carreño Busta n.23 al mondo, e chiusa con la semifinale al torneo di Ortisei. Che voto ti senti di dare alla tua stagione?

È difficile dare un voto alla mia stagione, anche perché non tutto è dipeso da me. I primi due mesi dell’anno sono stati molto positivi e ho ottenuto grandi risultati, come quello che hai citato dell’ Australian Open a Melbourne. Purtroppo però dopo un anno e mezzo di dolori e fastidi al ginocchio, ad Aprile ho deciso di fare l’intervento per cercare di risolverli definitivamente e questo ha fortemente condizionato la mia stagione. Forse avrei potuto decidere prima di sottopormi all’operazione, ma sai a 33 anni non è semplice fare questo genere di scelte. Fortunatamente la stagione poi si è chiusa abbastanza bene con la semifinale ad Ortisei, dove sono tornato a battere avversari di alto livello. Per il voto, dunque, sento di darmi una sufficienza per i risultati oppure un sette contando le difficoltà che ho dovuto affrontare in questi mesi.

Proprio nell’ultimo torneo giocato ad Ortisei hai potuto ammirare da vicino uno degli astri nascenti del tennis italiano, ovvero Jannik Sinner. Che idea ti sei fatto di lui e pensi possa davvero diventare uno dei prossimi campioni del tennis come tutti si attendono?

Con lui mi ci ero allenato due mesi fa ad un altro Challenger a Orleans, sicuramente è un ragazzo molto umile e la sua vera forza è quella mentale più che tecnica o fisica. Pur avendo solo 18 anni ha già ben presente quello che deve fare e se a questa età sei 75 del mondo non puoi non aspirare a diventare un campione. Però attenzione, arrivare a dire che possa entrare tra i primi dieci del mondo o numero uno come dicono i giornali non saprei dirtelo. Sicuramente glielo auguro e se il suo allenatore, Riccardo Piatti, dice di avere in mano uno dei giocatori più forti che abbia mai allenato bisogna fidarsi. L’ importante è che lui lavori con tranquillità e costanza, perché solo con il lavoro e la passione si arrivano ad ottenere certi risultati.

Oltre a Jannik Sinner il tennis italiano ha visto l’ascesa di Matteo Berrettini. Quali sono stati secondo te gli ingredienti vincenti che hanno permesso a Matteo di entrare tra i primi otto giocatori al mondo e di conseguenza giocare le ATP Finals di Londra?

Sicuramente arrivi tra i primi otto al mondo se hai grandi qualità tecniche e di gioco, poi il suo team e la federazione sono stati fondamentali perché lo hanno seguito e supportato in ogni momento. Infine credo che il vero segreto di Matteo sia stata la spensieratezza di allenarsi senza particolari obbiettivi. Matteo lo conosco e vedendolo giocare a Maggio, a Roma, ho detto che secondo me poteva arrivare a fine stagione tra i primi 15 al mondo. Alla fine addirittura mi ha smentito, ma questo mi sorprende fino a un certo punto. Come già detto prima è un ragazzo che lavora sodo, con molta fame e merita tutto quello che sta facendo.

Con gli ottimi risultati di Jannik e Matteo, il tennis sta aumentando la visibilità e il seguito in Italia rispetto al passato. Secondo te quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questo fenomeno?

Naturalmente siamo in un grande momento storico per il tennis italiano, a Settembre siamo arrivati ad avere 2 giocatori tra i primi 15 e 10 tra i primi cento. Con risultati del genere è normale che la gente si avvicini e si appassioni maggiormente al tennis, questo è assolutamente positivo. L’importante però è che gli addetti ai lavori, per esempio i maestri di tennis, non pensino che sia facile ottenere risultati e di avere in mano solo e sempre campioni. Il tennis è un sport che richiede tempo e lavoro, non bisogna stressare e mettere pressioni ai ragazzi. Guarda io, a vent’anni non ero nessuno e ho ottenuto i miei più grandi risultati in età più che matura.

Un pensiero ora sulla Coppa Davis, al quale tu hai partecipato venendo convocato nel 2015 in un incontro dell’ Italia contro il Kazakistan. Che idea ti sei fatto di questo nuovo format che sta subendo tante critiche introdotto quest’ anno a Madrid?

Come ogni novità ci sono dei pro e dei contro. Il problema principale secondo me è che ormai è tutto legato a guadagni e ai soldi. Coloro che decidono nel mondo del tennis hanno fatto perdere la voglia di giocare per la propria nazione rispetto al passato. Prima per un giocatore di tennis giocare la Davis era come giocare un mondiale per un calciatore, lo si faceva solo per la nazione. Sicuramente poi per come è costruita la stagione con tantissimi tornei, la Davis è finita in secondo piano e molti big non riescono ad arrivare lucidi e pronti per giocarla. Allo stesso tempo però non sono completamente d’accordo con chi dice che il periodo in cui si svolge sia sbagliato. Forse sì, ma se il tuo interesse principale è quello di giocare per la nazione e non il guadagno personale, lo fai in qualsiasi periodo. Prendiamo l’esempio di Federer o Zverev, dicono di essere stanchi per giocare la Davis però poi vanno in Sud America a fare una esibizione dove guadagneranno 7 milioni. Poi per quanto riguarda i match che finiscono nella notte, questo è normale che accada se le partite durano più di tre ore e se si hanno pochi campi a disposizione. Inoltre stiamo parlando di giocatori che non giocano gratis la Davis ma vengono pagati molto, quindi secondo me è uno sforzo che possono fare.

Concludo con il chiederti quali sono i tuoi obbiettivi per il 2020 e quanto secondo te sarà difficile per i tennisti italiani( Fognini, Berrettini e Sinner) riconfermare i bei risultati del 2019?

Per quanto mi riguarda giocherò alcuni Challenger ad inizio stagione e poi vari tornei minori con l’obbiettivo di prendere punti e rientrare tra i primi 150 del mondo, per giocare così le qualificazioni degli slam. Per i tennisti italiani forse per Fognini, avendo anni di carriera alle spalle, sarà meno dura sopportare le pressioni e le aspettative rispetto agli altri. Ma in generale credo che il segreto sia giocare con spensieratezza e non pensare di avere la pressione di fare per forza risultato. Già c’è tantissima pressione da parte dei media, è inutile caricarsi di ulteriori pressioni e aspettative.

Tutta la redazione ringrazia Luca Vanni per la gentilezza e la disponibilità, augurandogli il meglio per la prossima stagione.

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Simone Caravano
Simone Caravano 22 anni, laureato in Scienze delle Comunicazioni presso l'università degli studi di Pavia. Attualmente studente della laurea magistrale in giornalismo dell'università di Genova. Credo che lo sport sia un mondo tutto da scoprire e da raccontare, perché offre storie uniche ed emozionanti. Allora quale modo migliore esiste per fare ciò, se non attraverso la scrittura.

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