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Classic F1: Las Vegas 1981, il Biscione incompiuto

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Las Vegas è sempre stata una location che ha fatto discutere quando ha avuto a che fare con la Formula 1. Se è vero che la versione attuale che sta per debuttare faccia storcere comprensibilmente il naso a molti, a priori nulla è paragonabile all’obbrobrioso layout del Caesars Palace, che si snodava all’interno del parcheggio dell’omonimo hotel-casinò. Un tracciato connotato da una tortuosità vicino al nauseante, la cui vita nel calendario rimase circoscritta solamente al biennio 1981/1982, in entrambi i casi come ultima gara del campionato. Cash is king dunque, ma fino ad un certo punto, dato che le Formula 1 non potevano correre in un simil-kartodromo.

Il tracciato “a pettine”, chiamato così proprio per la sua forma alquanto bizzarra, ad ogni modo risultò essere amico, almeno in termini di risultati, a due italianità in cerca di affermazione. Un Michele Alboreto in rampa di lancio, su Tyrrell, si portò a casa la prima vittoria in carriera nell’edizione 1982. Ma senz’altro particolare fu quella precedente, contraddistinta sì dal controverso epilogo mondiale che portò Nelson Piquet su Brabham a vincere il primo titolo iridato a discapito di Carlos Reutemann su Williams. Ma anche, per quanto riguarda le insegne tricolori, dal podio di Bruno Giacomelli su Alfa Romeo.

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Un risultato magari non così memorabile, che tuttavia rileva per il fatto che avrebbe potuto rappresentare un potenziale crocevia di quello che poteva essere e che invece, per il Biscione da corsa, non è stato.

Quando si parla di Alfa Romeo nelle corse, è difficile non ricordare il passato assai glorioso che ebbe sin dagli albori delle competizioni motoristiche. Tanto per rendere l’idea, lo stesso Enzo Ferrari si serviva in origine delle monoposto milanesi per competere nelle varie manifestazioni motoristiche.
Se si parla della sola Formula 1, l’Alfa fu il primo costruttore a vincere il neonato campionato del mondo nel 1950 con Nino Farina, successo poi bissato l’anno seguente con il fuoriclasse Juan Manuel Fangio.
Nonostante la prematura uscita di scena della casa milanese (a causa della mancata volontà dell’IRI, l’ente pubblico che ne aveva la proprietà, di investire su di essa) e la lunga assenza come costruttore, non fu scalfito il suo rango di leggenda: l’Alfa Romeo e la Formula 1 sono sin dal principio legate da un cordone ombelicale inscindibile.
Era chiaro, prima o poi, sarebbe giunta l’ora di tornare a far sul serio.

Il magico ritorno della Alfa Totale

L’ora arrivò nel 1978, quando nella pista di Balocco un prototipo di monoposto, venne per la prima volta testato dal monzese d’hoc Vittorio Brambilla. Si chiamava Alfa T, dove T stava per “Totale“, in quanto era una macchina tutta Alfa, dal motore, al telaio, al cambio. Eccezion fatta chiaramente per gli pneumatici Pirelli, ma sempre di eccellenze milanesi parliamo. Chiamarla Alfa Totale rappresentava dunque un segnale forte anche rispetto al passato recente, considerando che il nome Alfa Romeo, non era proprio scomparso dai radar del Circus, in quanto tra gli anni 60 e 70 fu fornitrice dei propri propulsori per varie scuderie, non ultima la Brabham di Bernie Ecclestone. Ma un marchio del genere non poteva essere relegato alla mera partnership motoristica.


Lo stupore tra gli alfisti e non fu indescrivibile, specialmente per quelli più datati, che cominciavano a riassaporare le emozioni di quel dominio leggendario ma fugace degli anni 50. Fu grande il merito del carismatico ing. Carlo Chiti, chiamato a condurre attraverso l’Autodelta (il reparto corse vero e proprio dell’Alfa Romeo, fondato e diretto dall’ingegnere toscano) il Quadrifoglio in questa seconda ma non meno eccitante esperienza nell’apice delle corse automobilistiche. Peraltro, non fu esente da difficoltà di natura prettamente politiche il rientro in F1, con ancora protagonista l’IRI. Essa, in concorso a politiche dirigenziali abbastanza miopi e discutibili, aveva praticamente deciso di bloccare il programma corse di Autodelta e dunque dell’Alfa Romeo stessa, a parte chiaramente la fornitura e sviluppo del motore V12 Boxer per il già citato vincolo contrattuale con la Brabham. Ma una volta risolta la classica tarantella all’italiana, il sogno Alfa può avere luce.

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Il debutto ufficiale, avvenuto con il modello 177 al Gran Premio di Zolder 1979. Si concluse con un ritiro di Bruno Giacomelli, unico alfista in pista, per una collisione con la Shadow del connazionale Elio De Angelis.
Ma particolarmente significativa fu la due giorni di test di preparazione che fecero da contorno al weekend belga. Giacomelli fu capace di stampare il terzo tempo assoluto, strabiliando la concorrenza.
Le intenzioni alfiste erano dunque serissime, considerando il fatto che il team di Arese aveva in canna un nuovo bolide da far sfrecciare: la 179, la nuova wing car del Biscione. La vettura presentava una svolta tecnica rispetto alla 177, spinta dal solito motore 12 cilindri boxer che veniva nel frattempo fornito alla Brabham BT45. Ma c’era un problema: la sua conformazione risultava ingombrante, impedendo di sfruttare al meglio l’effetto suolo, che a partire dal 1978 (per mano della Lotus) divenne un requisito fondamentale per la competitività delle monoposto. Venne pertanto realizzato ex novo un propulsore con i cilindri disposti a V di 60°, in modo da liberare spazio in favore di ampi canali Venturi, accettando l’innalzamento del baricentro. Uno svantaggio che però era nettamente ricompensato dal vantaggio aerodinamico.

Un inizio che lasciava presagire un ritorno in grande stile. Ma così non fu, per una serie di motivi.
Nonostante l’ascesa prestazionale del team di Arese, la prima nota stonata è legata al pilota di punta appena firmato, Patrick Depailler. Il francese, ingaggiato per il 1980 nonostante i postumi di un incidente in deltaplano, perderà la vita alla OstKurve nelle prove libere ad Hockenheim. Dopo essere stato sostituito prima da Vittorio Brambilla (nel frattempo collaudatore) e poi dal debuttante Andrea De Cesaris, alla corte del Biscione arrivò il campione del mondo 1978, Mario Andretti, in cerca di riscatto dopo il flop delle Lotus 80 e 81, creature storpie del genio di Colin Chapman & co. Questo confermava che esisteva un progetto tecnico che, unito al fascino indiscusso del marchio, era capace di attirare le mire anche dei grandi campioni.


Ma la realtà doveva fare i conti con il vero tallone d’Achille, l’affidabilità. Tanto per citare un caso, al Watkins Glen nell’81, Giacomelli era lanciato verso la vittoria in una corsa nella quale era saldamente in testa dopo aver dominato anche le prove, ma un guasto alla bobina lo costrinse al ritiro. Il bilancio è ancora più pesante se si pensa che tra il 1980 e il 1981 le gare terminate furono solo cinque.
Una delle poche eccezioni riguardò il Gran Premio di Las Vegas del 1981.

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Giacomelli va a podio, ma è solo un illusione

Come già accennato, la prova del tracciato del Nevada era l’ultima del campionato, dove si giocava la lotta iridata Piquet-Reutemann. Il pilota Williams che strappò la pole position. Ma fu il suo unico lampo, perché la gara per l’argentino si mise male sin dalla partenza, ritrovandosi quinto dopo un giro. Neanche la partenza di Piquet fu un granché, ma quella non era la giornata di Carlos, che perse il titolo. Al contrario, non si poteva certo dire lo stesso di Giacomelli e della sua Alfa 179 che furono in giornata di grazia.


Scattato dall’ottava casella, al terzo giro fu quinto. Ma al giro 27 ci fu il colpo di scena: il lombardo andò in testacoda, rischiando peraltro di danneggiare a muro la sua 179. Ma riuscì a rientrare in pista decimo, sebbene quasi doppiato dal leader incontrastato Alan Jones su Williams. Ed è qui che andò in scena lo show di Giacomelli. Con una rimonta da capogiro riuscirà a chiudere terzo, rischiando di battere in volata anche la Renault di Alain Prost. A conti fatti, quello risultò essere il suo unico podio nel mondiale e chiaramente il primo per un’Alfa dal Gran Premio di Spagna 1951.

Quella gara, fu la conferma della bontà del progetto, ma anche l’illusione di ciò che poteva essere e che invece non è stato. Per la stagione 1982, i problemi di affidabilità continuavano a falcidiare il cammino del Biscione, che a fine anno cedette il materiale alla Euroracing. Alfa Romeo formalmente rimase nel mondiale fino al 1985, ma di fatto, l’attività rimanente nei GP ebbe un dna, un identità diversa. Certamente, non identità da Alfa Totale.

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Tommaso Palazzo

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