Calcio

Pelé: un atto di fede

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Grazie Re per aver portato il Brasile ai quattro angoli del mondo. Hai affascinato, commosso e toccato i nostri cuori, dove rimarrai per sempre. Ricardo Kakà

Para sempre REI! Alexandre Pato

Era il migliore, vero numero uno. Marco Van Basten

La sue è stata una storia di ciò che è possibile. Joe Biden

È stato un viaggio lungo e sorprendente. Ci hai insegnato così tante lezioni. Fino al tuo ultimo momento è stato tutta positività e amore verso le persone con cui ti sei connesso e il mondo intero. Sarai sempre ricordato come il re del calcio e, soprattutto, sarai ricordato per il grande essere umano che sei stato durante il tuo tempo su questa Terra. […] Hai vissuto con dignità e classe e te ne sei andato con dignità e classe. Clarence Seedorf

Obrigado.Paolo Maldini

Un grande, un uomo buono. Sylvester Stallone

Pelé in maglia Santos. © GianlucadiMarzio

Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, era un personaggio fiabesco. Un re, anzi, O Rei. Una figura che, per noi calciofili del XXI secolo cresciuti a pane e Messi&Ronaldo (da pronunciarsi rigorosamente tutto ad un fiato) in 4K, si perde nella notte dei tempi dell’arte pedatoria. Un brodo primordiale fatto di sintesi rapsodiche in bianco e nero, di figure dai contorni sfuggenti e di aristíe note solamente a chi, baciato dalla dea bendata, ha avuto l’occasione di essere nel posto giusto, stadio Rua Javari di San Paolo, al momento giusto, Clube Atletico Juventus – Santos FC del 2 agosto 1959 con un Pelé particolarmente ispirato dalla divina Eupalla. O Rei riceve palla al limite dell’area, dribbla un primo avversario con un tocco morbidissimo e poi 1, 2, 3 sombreri consecutivi, l’ultimo addirittura al portiere, prima di depositare in rete di testa. Un gol da spellarsi le mani e mai ripreso da telecamera alcuna, visibile oggi solo grazie ad un’animazione computerizzata alla Rocky Balboa. Pelé, per noi, era come un profeta del dio del calcio, un suo sciamano o un ambasciatore universale del pallone. Se non ci fosse stato il calcio al momento della sua nascita, in quel lontano 23 ottobre 1940, Pelé l’avrebbe sicuramente inventato nel corso della sua vita. Pelé come Prometeo: a lui il merito di aver appiccato nell’animo dell’umanità il sacro fuoco del calcio. Pelé come una vestale, custode instancabile di questa fiamma foriera di allegria, che ha alimentato fino alla fine dei suoi giorni. Uomo dall’innata vocazione all’uso dei piedi, sapeva fruire di entrambi con la stessa maestria e potenza, come se avesse bevuto giovialmente con Asterix e Obelix al calderone del druido Panoramix. Altafini arriverà persino a rivelare a Gianni Rivera che un giorno, prima di iniziare la seduta di allenamento col Santos, Pelé si mise d’accordo con l’allenatore per fingersi un nuovo portiere che voleva essere messo sotto contratto dai Peixe. Nessuno si accorse che era lui e O Rei parò tutti i tiri che gli fecero i compagni dal limite dell’area di rigore. Questo è sufficiente per capire chi è stato Pelé.

Già, ma che cosa sarebbe il Santos FC senza Pelé? Indubbiamente, non l’icona planetaria che è oggi. Vantarsi di “aver segnato più reti nel calcio mondiale” non sarebbe stato possibile senza le prodezze del suo enfant prodige e gloria nazionale. 1091 i gol che portano la sua griffe realizzati in 1106 presenze con la maglia bianconera tra il 1956 e il 1974. Un’imbattibilità contro il Corinthians, i rivali di sempre, capace di durare per ben 22 incontri consecutivi, dal 29 dicembre 1956 al 13 marzo 1968. 48 i centri in 50 partite di O Rei contro i Timão di San Paolo. Un grande mentore alle spalle: Waldemar de Brito, archetipo del calciatore giramondo, che lo convinse a venire al Santos quando aveva 15 anni, profetizzando:

“Questo ragazzo sarà il più grande giocatore di calcio del mondo.”

Lo storico traguardo delle mille marcature raggiunto il 19 novembre 1969 su calcio di rigore contro il Vasco da Gama, con l’invasione di campo, dopo la trasformazione, dell’intero parterre pronto a carpire la reazione a caldo di O Rei, nel frattempo dichiarato tesoro nazionale dal governo brasiliano e perciò intrasferibile all’estero. Pelé, allora, non si scompose e di ritorno verso il centrocampo si fece portavoce dei vagiti e dei lamenti delle migliaia di bambini intrappolati nelle storture delle favelas di tutto il paese:

“Non dimentichiamoci mai dei piccoli brasiliani!”

Si narra che la partita sia stata interrotta in quell’esatto momento.

Pelé esulta dopo aver sovrastato Tarciso Burgnich in un volo infinito all’Azteca. Era la finale di Messico ’70. © Esquire

Una tournée avvolta nel mistero

“Con il Santos, abbiamo fermato la guerra. La gente va così pazza per il calcio… Lo ama al punto da interrompere la guerra per vedere giocare il Santos in Africa”. Pelé

All’inizio del 1969, al massimo del loro splendore, il Santos e Pelé si resero protagonisti di una tournée in Congo, Mozambico, Ghana, Algeria e Nigeria. Per due volte la loro presenza fu decisiva nel ricomporre dei conflitti interni ai paesi visitati. Nella Repubblica Democratica del Congo, innanzitutto, dove la squadra ebbe bisogno della protezione dell’esercito per poter raggiungere Brazzaville, nel vicino Congo. E poi in Nigeria, mentre infuriava la guerra del Biafra, un sanguinoso conflitto civile tra l’esercito regolare di Abuja e il popolo secessionista del Biafra, un insieme di province sudorientali del paese. Il 4 febbraio del 1969, il Santos batté per 2-1 una selezione centro-occidentale del paese a Benin City, al confine con la regione separatista. 30.000 persone si radunarono colme di devozione per assistere alle gesta del re del pallone e le armi vennero deposte. Due giorni di non belligeranza per una guerra che si sarebbe conclusa l’anno successivo, nel 1970, con il ritorno del Biafra sotto il controllo governativo. Una vicenda avvolta nel mistero e sulla cui veridicità si dibatte tutt’oggi, ma che ci indica ancora una volta l’aura mistica attorno a Pelé.

Una fase della guerra del Biafra in Nigeria. © RivistaAfrica

Lo pensavamo avo dalla barba canuta immune allo scorrere incessante del tempo ma anche O Rei ha dovuto staccare la penna dalle pagine del suo libro incantato. Non abbiamo mai dubitato del suo talento, pur non avendolo toccato con mano, in quanto timorosi di macchiarci di un atto sacrilego. La sua indiscutibilità era come un dogma di questo spettacolo che, per quante volte lo si guardi, continuerà a stupirci sempre.

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Samuele Virtuani
Nato a Milano il 4 maggio 2001, è un grande appassionato di Storia, soprattutto contemporanea, nonché accanito calciofilo fin dai tempi delle scuole medie. Da novembre 2020 è speaker presso Radio Statale, per la quale ha ideato e condotto per due stagioni "BigBang Effect", un programma per menti in cerca di idee esplosive. Da ottobre 2022 ha virato verso lo storytelling sportivo con "Glory Frame", show radiofonico in onda tutti i martedì dalle 15:00 alle 16:00 sulle frequenze di Radio Statale e in podcast.

1 Comment

  1. La classe non è acqua e soprattutto lo stile non si può insegnare se non a chi ce l’ha già! Questo è stato e sarà sempre Pelé e leggendo questo nell’articolo se ne ha la conferma.

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