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Strade provinciali – Quando i mussi i volerà faremo il derby in serie A

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258.098 abitanti. 59 metri sul livello del mare. Verona, cullata dalla corrente dell’Adige, sembra nascere dall’unione della Pianura Padana con i Monti Lessini. Due mondi discordi, distanti, che si abbracciano per dare luogo dentro una cinta muraria antica e pittoresca ad un’unione antitetica. E tutto si può dire, eccetto che Verona non s’intenda di passioni tormentate e impossibili.

Abbandoniamo, però, il solito itinerario turistico composto da Piazza Bra e l’Arena, la Cattedrale di Santa Maria Assunta, la Basilica di San Zeno, Piazza delle Erbe e piazza dei Signori, La Gran Guardia e Palazzo Barbieri, i ponti sull’Adige, l’Arsenale e il vecchio Bardo. Nessuna menzione per Osvaldo Bagnoli, Garella, Tricella, Volpato e Larsen. Strade provinciali, infatti, non renderebbe pieno onore a quell’aggettivo che fino ad ora ci ha accompagnato come un fedele scudiero nel nostro girovagare per l’Italia. Un aggettivo che abbiamo elevato semanticamente, tralasciando facili snobismi, da simbolo di ottusità e monotonia a quintessenza delle mille bellezze del nostro Paese. Certo, difficile rifiutare con la stessa fermezza di qualche riga sopra un piatto fumante di risotto all’Amarone, di polenta o di gnocchi di patate. Di scontato, in questo caso, c’è solo l’esplosione di gioia del nostro palato. Ed è uno scontato che gradiamo.

Quello che state per leggere è stato di certo un vero capolavoro calcistico. A definirlo tale è stato Luigi Delneri, che di quello stesso miracolo fu uno degli attori principali. Ancora oggi, tutti gli chiedono in ogni intervista del Chievo “dei miracoli”, una squadra talmente piccola e sconosciuta agli appassionati di calcio da rendere gli avvenimenti di inizio III millennio davvero indelebili. Una cavalcata paragonabile in molti aspetti a quella, più recente, delle Foxes di Ranieri, che nel 2016 sono riuscite a vincere la Premier contro ogni pronostico, facendo un campionato di vertice e sconfiggendo tutte le grandi d’Inghilterra. Il Chievo non ha mai vinto lo scudetto ed è francamente improbabile, alla luce dei dolorosissimi misfatti sinistramente emersi da quella palude maleodorante che è stata per i gialloblù la serie A 2018-2019, che ciò possa accadere in futuro. Fatta la tara ai due campionati, i risultati della banda di Gigi Delneri sono da considerarsi altrettanto stupefacenti e la loro memoria resterà sempre incrollabile quanto l’amore di Romeo e Giulietta innanzi all’odio reciproco delle rispettive famiglie di appartenenza, i Capuleti e i Montecchi.

Abnegazione, fede, la voglia di credere nell’impossibile. Ogni luogo comune sulla forza di volontà prese vita e permise al piccolo borgo di Verona di competere contro le grandi in una sfida centenaria che dai tempi dei piccoli comuni esalta l’animus pugnandi degli italiani. Davide contro Golia, underdog contro favorite, provinciali contro big. Molto spesso tutto questo si tramuta per osmosi in dualismi ancora più accesi: sudore contro talento, volontà contro denaro. E poche storie come il Chievo targato Delneri – Campedelli hanno saputo solleticare questa narrativa. Non deve sorprendere, dunque, che una quinta teatrale a cielo aperto come Verona abbia potuto sparigliare le carte in tavola e regalare un finale inatteso.

L’Italia è in grado di nascondere tesori anche in un’area minuscola come il quartiere Chievo. Quella in foto è l’imponente Villa Marioni Pullè, un gioiello del neoclassicismo e, in particolare, dello stile Neopalladiano. Oggi vergognosamente in rovina, nelle sue stanze soggiornò per un periodo molto limitato lo sfortunato re d’Italia Umberto I nel corso del 1897. © Wikipedia.org

Chievo è una frazione di Verona a poco meno di cinque chilometri dal centro storico della città, direzione nord. Nell’antichità era un vero e proprio borgo autonomo separato dal resto del tessuto urbano e dotato di una precisa identità culturale, un senso di appartenenza da vero campanilismo tricolore, che spinse i suoi abitanti a voler mantenere il titolo di comune autonomo anche quando, a cavallo tra le due grandi guerre del Novecento, l’espansione di Verona lo fagocitò dal punto di vista geografico. Un mondo a parte, piccolo, ovattato. Protetto dentro una storia antica e dotato di una cultura tutta sua, il cui tratto più caratteristico è la scuola campanaria. Fondato nel 1808, all’interno di questo istituto avevano luogo esecuzioni musicali nello stile veronese: spettacoli di echi e riverberi ottenuti facendo sapientemente rintoccare enormi campane da chiesa, che inondavano con le loro note la valle intera. Una storia sanguigna, una storia italiana. E non esiste nulla di più italiano del calcio per rappresentare al meglio sogni e aspirazioni di una comunità.

In questa foto, la preistoria del Chievo Verona. © Wikipedia.org

L’Opera Nazionale Dopolavoro Chievo fu fondata nel lontano 1929 per volontà di un manipolo di grandi calciofili locali, che amavano a tal punto il gioco del pallone da non sentire neppure il bisogno di affiliare la squadra alla Federazione. Pantaloncino bianco e maglia gialloblù e solo partite amichevoli, che tanto per giocare e divertirsi basta avere due porte e un arbitro; non serve nient’altro. Almeno fino a quando non si esauriscono i fondi. Senza i soldi, si sa, il calcio non viene bene e quando nel ’36 le casse si svuotarono, la società chiuse i battenti. Dodici anni e una Guerra mondiale più tardi, la squadra venne rifondata diventando l’AC Chievo e questa volta i suoi ecisti ebbero il buon senso di affiliarla ai campionati nazionali. Poche le pretese, ovviamente, al punto che le partite casalinghe venivano giocate non in uno stadio ma in un romantico campo parrocchiale, il Carlantonio Bottagisio, che “i mussi”, “gli asini” in dialetto veronese, non abbandonarono fino al 1986. Nel 1964, intanto, Luigi Campedelli, uomo d’affari e proprietario della Paluani, aveva assunto il controllo della società, restandone coinvolto pur non essendo a tutti gli effetti il presidente. La carica vera e propria l’assunse nel 1990, mentre il Chievo era appena salito nella vecchia C1 e il Belpaese veniva inondato non dai rintocchi delle campane clivensi ma dalle note di Un’estate italiana di Giorgio Moroder, Edoardo Bennato e Gianna Nannini. Sembravano due realtà parallele, la serie C e i Mondiali, mondi diversi e impossibili da mettere persino in una stessa conversazione. Le vie dello sport sono infinite e “i mussi” sarebbero arrivati per davvero fino alle porte della serie A sotto la guida di Campedelli, diventando i primi di sempre a raggiungere la massima serie facendo la scalata di tutte le categorie minori. Nel 1992, il presidente muore per un arresto cardiaco, ma la sua opera viene proseguita dal figlio Luca, la cui epopea calcistica lo renderà uno dei presidenti più longevi della storia del nostro sport. È la pietra angolare. Prima Alberto Malesani, spuntato da chissà quale libro di freddure e di barzellette, porta il Chievo in serie B nell’anno 1993-94, regalandosi un tour in cadetteria e soprattutto il primo storico derby contro l’Hellas Verona. Qualche anno più tardi, in un climax ascendente senza precedenti, il Chievo, passato sotto la guida del friulano Gigi Delneri, puntò la serie A. Una rincorsa conclusasi nell’estate del 2001.

Gigi Delneri (a sinistra) e Alberto Malesani (a destra). © Corriere.it

La scalata è completa: dal Dopolavoro alla serie A. Una fiaba, un’ascesa romanzesca ai vertici del calcio nazionale che attira i riflettori della stampa. Verona era sempre stata solo Hellas. L’Hellas che riempie il Bentegodi e ha vinto uno scudetto. Insomma, la squadra della città. All’inizio degli anni 2000, però, l’Italia intera inizia a prendere coscienza che le cose non stanno esattamente così. I tifosi allo stadio faticano a riempire tutti i settori, ma il nome di questo quartiere di Verona inizia a circolare assiduamente nei telegiornali sportivi nazionali. Sembra una storia da ricordare, una cenerentola come non se ne vedevano da tempo immemore nel nostro campionato, una curiosità a metà tra l’antropologia e la statistica, alla quale pare impossibile dare una connotazione reale. Gigi Delneri, però, è arrivato in serie A con tutte le intenzioni di restarci e di fare la voce grossa innanzi a chi, fino al giorno prima, neppure conosceva l’esistenza dei “mussi” di Verona. Lupatelli, Moro, D’Angelo, D’Anna, Lanna, Eriberto, Corini, Perrotta, Manfredini, Corradi e Marazzina. Questa formazione, da scandirsi come una litania, diventa sinistramente famigliare anche per i tifosi delle squadre avversarie, che si trovano a dover fare i conti con una neopromossa terribile, che si presenta alla serie A alloggiando fin da subito ai piani alti della classifica e diventando la fidanzatina, o meglio, l’amante d’Italia. Impossibile, a meno di non essere veronesi doc, non simpatizzare per loro. Impossibile non andare a controllare di nascosto il risultato dei gialloblù per registrare il gol del solito Marazzina o l’ennesimo assist vincente di Corini. Parte del successo mediatico si deve anche alla schiettezza tutta friulana di Delneri, in breve tempo vero e proprio oggetto di culto per gli imitatori di tutta Italia, che subito si avventano come falchi su ogni singola intervista post partita del mister di Aquileia, calcando soprattutto la mano su quella erre rotonda quanto quel pallone che tanto viaggiava sul prato del Bentegodi la domenica. Un tecnico esordiente nella massima categoria che stravolge il mondo del calcio italiano con 4-4-2 scolastico, diligente e coscienzioso. Zero i voli pindarici concessi ma, allo stesso tempo, rilevanti le licenze poetiche. Eriberto da una parte e Manfredini dall’altra sono le ali libere di scorrazzare come littorine e di mettere i palloni al centro, dove la rapidità di Marazzina e l’ariete umano Corradi trasformano ogni traversone in gol. Liberi di creare, dunque, purché sempre pronti a scattare all’indietro e a trincerarsi in difesa. Nel cuore del centrocampo, poi, si nasconde la linfa vitale della squadra. Ai piedi sopraffini di Eugenio Corini, vanno sommati, infatti, i polmoni da apneista e il fiuto del gol di Simone Perrotta, uno che quelle caratteristiche le avrebbe portate in valigia anche ai mondiali di Germania 2006. Quando il risultato ristagna, dalla panchina si alzano Cossato e quella che poi, stagione dopo stagione, diventerà la bandiera delle bandiere clivensi: l’aostano Sergio Pellisier. Mentre in porta si libra il buon Lupatelli, che non si sa se sia più simpatico per via delle sue invidiabili basette degne di Easy Rider o per quell’atipico numero dieci che porta fieramente sulle spalle.

In piedi da sinistra a destra: Stefano Lorenzi, Daniele Franceschini, Jason Mayele (scomparso prematuramente a Bussolengo il 2 marzo 2002 a causa di un incidente stradale), Bernardo Corradi, Cristiano Lupatelli, Lorenzo d’Anna. Accosciati da sinistra a destra: Salvatore Lanna, Simone Perrotta, Fabio Moro, Eugenio Corini, Massimo Marazzina. © Calcio in Pillole

Una squadra incredibile, in grado di comandare la classifica come capolista solitaria per ben otto giornate e di viaggiare per quasi tutto il campionato nelle prime posizioni. Hanno battuto l’Inter di Vieri e Ronaldo al Meazza per 2 reti a 1 e fatto sudare freddo la Juventus (3 a 2 al Delle Alpi) in uno scontro diretto al quale “i mussi volanti” arrivarono addirittura davanti in classifica. Delneri aveva modellato quella squadra come piaceva a lui. Tutto doveva svilupparsi nel segno della compattezza, con quei due stantuffi di esterni alti che parevano avere l’argento vivo addosso. Erano solidi, dal preciso canovaccio tattico che mandava puntualmente fuori giri chi provava a imporre il proprio calcio anche contro di loro. E poi un gruppo formidabile, ancora oggi unito nonostante lo scorrere incessante delle stagioni. Uno zoccolo duro di italiani che faceva da base e trainava tutto e tutti.

Contro ogni pronostico centrarono uno storico quinto posto finale, ad un solo punto dal quarto e quindi dalla Champions League, che consentì di qualificarsi in Coppa UEFA l’annata successiva. Da allora il Chievo ha vissuto altre annate magiche, viaggi in Europa e qualche retrocessione, entrando nell’immaginario collettivo come una realtà solida del nostro calcio, un esempio virtuoso dello sport a conduzione famigliare, che incarnava i valori antichi di appartenenza di altri tempi. Un savoir-faire che, però, è scivolato, col passare del tempo, nell’illecito, con l’annata 2018-2019 partita con una penalizzazione di tre punti in classifica e chiusa con l’ultimo posto in classifica e la retrocessione in Serie B con cinque giornate d’anticipo, dopo undici stagioni consecutive nella massima serie. Da lì ecco il baratro: sesta in serie cadetta, viene eliminata nelle semifinali dei play-off e l’onta dell’eliminazione si ripresenta anche nel 2020-2021 con i clivensi, ottavi al termine della stagione regolare di Serie B, che si fermano stavolta al turno preliminare. Nell’agosto 2021 il Chievo viene escluso dai campionati professionistici per inadempienze tributarie. La stagione 2021-2022 rimane dunque orfana dei gialloblù clivensi, i cui colori sono difesi esclusivamente dai giovani atleti dei campionati giovanili provinciali. Il responsabile della fine di questo sogno ad occhi aperti è proprio chi paradossalmente aveva reso possibile tutto ciò che vi abbiamo raccontato in questa tappa di Strade provinciali: il patron Luca Campedelli. Un presidente infantile, che prima ha costruito lo splendido castello all’interno del quale far alloggiare il cavaliere col suo destriero e, poi, l’ha abbandonato e relegato all’incuria. Dalla polvere sui mobili di pregio, si è passati poi alla smobilitazione totale e ad un modus vivendi fatto di uomini mediocri e privo di qualsiasi ambizione. Il castello è così passato dalle mura granitiche a fragili merlature in sabbia, pronte a rovinare vistosamente al primo contatto con la risacca del bagnasciuga. Il cavaliere, come in una composizione ariostesca, ha smarrito il suo destriero e la sua lancia. È rimasto inerme come Ettore al cospetto di Achille.

Sergio Pellisier, il capitano dei capitani clivensi, sta provando faticosamente a tenere viva la memoria sportiva del Chievo Verona, la squadra a cui ha dedicato l’intera carriera agonistica. © YouTube

È triste doverlo dire, ma anche questa favola ha visto calare su di essa il sipario. Il timoniere ha visto oscurarsi la sua stella polare e si è inabissato insieme alla sua nave. Someday you will find me / Caught beneath the landslide / In a champagne supernova in the sky / Someday you will find me / Caught beneath the landslide / In a champagne supernova / A champagne supernova in the sky cantavano gli Oasis nel 1995, proprio agli albori della presidenza Campedelli e dell’avventura nella galassia del calcio che conta della piccola astronave gialloblù dei “mussi” volanti. Quanto tempo è passato e quanto il silenzio radio è ora assordante. Major Tom pare non avere alcuna voglia di tornare alla base. Il radar è piatto.

C’era una una volta il Chievo Verona. Già. Poi smarrì la rotta e andò a collidere, convinto che fosse casa sua, contro la cintura di asteroidi di qualche pianeta gassoso lontano, ellittica come l’Arena e lo stadio Bentegodi che tanto amava.

Continua?        

                                                                       

 

 

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Samuele Virtuani
Nato a Milano il 4 maggio 2001, è un grande appassionato di Storia, soprattutto contemporanea, nonché accanito calciofilo fin dai tempi delle scuole medie. Da novembre 2020 è speaker presso Radio Statale, per la quale ha ideato e condotto per due stagioni "BigBang Effect", un programma per menti in cerca di idee esplosive. Da ottobre 2022 ha virato verso lo storytelling sportivo con "Glory Frame", show radiofonico in onda tutti i martedì dalle 15:00 alle 16:00 sulle frequenze di Radio Statale e in podcast.

5 Comments

  1. Bravo Samu altro bel amarcod con Mr Hararahra sugli scudi 😅

  2. YDS, TYT, AYT: Türkiye’de üniversiteye girecek öğrencilerin girmek zorunda olduğu sınavdır. Bu sınav genellikle Haziran ayında yapılır ve öğrencilerin Türkçe, matematik, fen bilimleri, sosyal bilimler ve dil yeterliliği gibi alanlarda bilgi ve becerilerini ölçer. Başarılı olan öğrenciler, istedikleri üniversitelerin istedikleri bölümlerine girebilirler.

  3. Bell’articolo, da veronese “musso” non posso che apprezzare nonostante il sogno sia finito.

  4. Una storia fantastica ma non infinita, quelle sono solo nei film e nella canzone di Limahl…….Bravi!!

  5. Era forte il Chievo Verona, ma come tante altre favole non è finita bene, come quelle vere, Articolo intenso e completo ben scritto.

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