Nuoto

Swimming through, Rūta Meilutytė è tornata

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La finale dei 100 rana femminili ai mondiali di nuoto di Budapest ha giustamente portato alla ribalta la stella di Benedetta Pilato, che a 17 anni è già plurimedagliata a livello internazionale e detentrice del record del mondo sui 50 metri. Un’ascesa rapidissima che ricorda molto da vicino quella di un’altra ragazzina che aveva squarciato il mondo della rana femminile ormai un decennio fa, vincendo l’oro nei 100 a Londra 2012. All’epoca aveva appena quindici anni e sembrava destinata a dominare la scena per anni, ma così non è stato. Il bronzo di Budapest è stato il ritorno su un podio mondiale di Rūta Meilutytė dopo sette anni dall’ultimo argento a Kazan, a tre anni dall’annuncio del ritiro che sembrava aver messo definitivamente un punto su una carriera surreale.

©Darius Kibirkštis

Quell’annuncio del maggio 2019 era stato solo il culmine di mesi di tormento per la lituana ex primatista del mondo. Dopo i mondiali in vasca corta del 2018 aveva pressoché smesso di allenarsi, e tra aprile 2018 e marzo 2019 aveva saltato tre controlli antidoping, che in ogni caso non le avrebbero consentito di partecipare a Tokyo 2020 per squalifica.

Il capolinea di un viaggio iniziato in maniera folgorante in quel biennio 2012-13, in cui passa da perfetta sconosciuta a dominatrice della rana mondiale. Dopo il titolo olimpico a Londra arrivano un oro e un argento iridato con rispettivi record del mondo (29.48 sui 50 e 1.04.35 sui 100) ai mondiali di Barcellona. Da lì in avanti sono state più ombre che luci nella vita sportiva e non per Meilutyte, schiacciata dalla pesante etichetta di bambina prodigio e dall’obbligo di soddisfare le aspettative di un’intera nazione, di cui è stata la seconda donna medaglia d’oro olimpica dopo la tiratrice Daina Gudzineviciute nella fossa a Sydney 2000.

Lo stupore di Meilutyte dopo l’oro olimpico a Londra, a soli 15 anni (Olympic Channel)

Dopo un argento ai mondiali di Kazan, l’infortunio al gomito del settembre 2015 durante un allenamento in bicicletta ne condiziona pesantemente le prestazioni a Rio 2016, dove è solo settima nella finale dei 100. È l’inizio di un lungo periodo buio e della battaglia quotidiana con la depressione, rivelata al mondo nel 2018. Le problematiche legate alla salute mentale sono state portate all’attenzione pubblica da diversi grandi del nuoto, da Michael Phelps ad Allison Schmitt e Melissa Franklin, tra i tanti sportivi di successo ad averne parlato apertamente nel corso degli anni. Anche Meilutytė ha raccontato di come la depressione abbia preso il meglio di lei nel corso degli anni: “è stata una perdita di percezione delle cose, che mi ha fatto accantonare il lato positivo della vita per concentrarmi solo su quello negativo. Non mi allenavo e non volevo vedere nessuno”.

Il peso delle aspettative, la costante rincorsa alla Rūta dei record, una serie di fardelli insostenibili per una ragazza di 22 anni, che ha trovato il coraggio di fermarsi e ridefinire le proprie priorità. “Fino ad ora ho dedicato me stessa al nuoto. Ho vissuto lo sport fin dalla preadolescenza. A causa degli intensi regimi di allenamento, ho messo da parte gli studi a cui voglio tornare ora. Voglio vivere cose semplici, crescere, capire meglio me stessa e il mondo intorno a me”, sono state parole con cui ha comunicato di volersi fermare.

 

 

Nel corso degli anni abbiamo avuto sempre più casi di atleti d’élite che hanno scelto di ritirarsi per mancanza di stimoli e nausea per tutto ciò che circonda lo sport, per poi ritornare a gareggiare con un pensiero diverso. Il caso di Tom Dumoulin nel ciclismo o della stessa Meilutyte, che lo scorso dicembre è tornata a gareggiare a Klaipeda, ai campionati nazionali in vasca corta. Il 29.33 fatto registrare nei 50 rana le sarebbe valso l’oro ai mondiali di Abu Dhabi nello stesso periodo.

I riscontri cronometrici non sono stati però la notizia più rilevante arrivata dalla Lituania negli ultimi mesi. Il nuoto, che tanto aveva odiato, diventa un mezzo per esprimere un qualcosa che va ben oltre la competizione: lo scorso 7 aprile, ha infatti preso parte a “Swimming through”, una performance di denuncia davanti all’ambasciata russa a Vilnius, nuotando in un lago tinto di rosso. Un’azione simbolica a sostegno del popolo ucraino, per simboleggiare “la necessità di uno sforzo continuo”. Oltre alla potenza espressiva del gesto in sé, quello che colpisce è il coraggio di restituire rilevanza mediatica alla propria immagine, dopo due anni di silenzio post ritiro, esponendosi anche per cause importanti.

Il resto è storia recentissima: la qualificazione per il mondiale di Budapest, le buone sensazioni nella piscina della Duna Arena, il quarto tempo di ingresso in finale, il passaggio aggressivo ai 50 metri in finale, il bronzo che poteva essere oro, sfilato negli ultimi metri da Benedetta Pilato. Un bronzo che avrebbe un peso relativo nel palmares di un’atleta del suo calibro, ma che ha un valore incalcolabile per tutto ciò che c’è stato in mezzo tra la ragazzina che aveva stregato il mondo e la donna tornata su un podio iridato a sette anni di distanza dall’ultima volta.

La psiche gioca il ruolo principale nel nuoto. Ho imparato tantissimo fermandomi, ora riesco ad approcciare tutto in modo completamente diverso. […] Vedo tanti giovani nuotatori assorbiti dal peso della quotidianità, che pensano di non potersi prendere una pausa. Anche io ero spaventata quando ho smesso, ma ora sono felice perché ho una prospettiva totalmente nuova.

Queste parole, pronunciate con una medaglia al collo, rappresentano la più grande testimonianza che Rūta Meilutytė potesse dare non solo al mondo dello sport, ma a chiunque si senta in qualche momento soffocato dalla propria quotidianità. Riuscire a chiedere aiuto e fermarsi è fondamentale, ripartire è possibile. Swimming through, appunto.

Rūta Meilutytė

©Darius Kibirkštis/ltuswimming.com

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Giovanni Valenzasca

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