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La nuova vita di Fabio Scozzoli: “Farò l’allenatore e seguirò anche mia moglie Martina”

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Il nuoto ti porta a dare tutto nella vita, addirittura ad andare a volte oltre i propri limiti fisici e mentali. Cercare di creare velocità all’interno di una vasca che rema contro, come un attrito che ti impedisce di andare oltre. Fabio Scozzoli ha imparato a conviverci e rendere l’acqua un’alleata da conoscere e da affrontare con attenzione.

Nonostante gli innumerevoli problemi fisici che hanno minato la sua carriera, il 34enne di Forlì ha saputo far sognare gli appassionati italiani conquistando un titolo mondiale nei 100 metri in vasca corta e tre ori agli Europei in lunga, firmando anche il record continentale nella distanza più lunga nell’impianto da 25 metri.

Una carriera costellata di successi che ora si appresta a concludersi per dare vita a una nuova esperienza, quella da allenatore, che lo condurrà a seguire gli atleti presenti a Imola e che gli consentirà di vivere la piscina dall’altra parte del blocco.

L’ultima uscita di Fabio Scozzoli al Trofeo Sette Colli 2023 © Pagina Instagram Fabio Scozzoli

Fabio Scozzoli, com’è nata la decisione di abbandonare l’agonismo dopo oltre un decennio letteralmente sulla cresta dell’onda?

E’ nata piano piano. Un po’ l’età che avanza, ma soprattutto gli infortuni che ho avuto negli ultimi anni mi hanno portato a passare del tempo lontano delle competizioni, a dover sempre inseguire e a ricercare sempre le buone e vecchie sensazioni. Sono arrivato a un punto in cui, dopo l’infortunio ai gomiti nell’anno olimpico, sono riuscito nel 2022 a ottenere ottimi risultati con una buona stagione sia in corta che in lunga. Però poi ho dovuto far i conti con questa tendinosi al tendine rotuleo del ginocchio sinistro che mi portavo dietro da tre o quattro anni e che per risolvere avrei dovuto sottopormi a un’operazione. Ho cercato di rinviarla il più possibile perché sapevo che avrebbe avvicinato la fine della mia carriera e quindi, quando ho deciso di operarmi, ho messo in conto che avrebbe potuto essere la mia ultima stagione.

Ora che hai deciso di lasciare il nuoto in vasca, rimarrai comunque in questo ambito o ti occuperai di altro?

Ufficialmente comincerò ad allenare la prossima stagione. Ma visto che Cesare Casella è in trasferta in Giappone per accompagnare ai Mondiali Martina Carraro, Anita Bottazzo, Simone Cerasuolo e Federico Poggio, ho già iniziato nei giorni scorsi facendo l’allenatore e il preparatore atletico, cose che peraltro stavo già svolgendo nel corso degli ultimi due anni. Questa è la strada che ho cercato di costruirmi nelle ultime stagioni. Ciò ha influito sulla mia scelta di smettere ora, interrompendo quella rincorsa di risultati che magari sarebbero anche arrivati perché al Sette Colli ho fatto una prestazione che non mi sarei aspettato per come stavano andando gli allenamenti ultimamente. Mi sono creato questa strada e, tramite Esercito e Federazione, siamo riusciti a trovare la formula giusta per lasciarmi a Imola ad allenare questo bel gruppo sui cui sia la FIN che l’Esercito investe.

Seguirai di conseguenza anche tua moglie Martina e, vivendo tutti i giorni questa passione da molti anni, avrai modo di darle qualche consiglio?

Sì, la seguirò e siamo entrambi abbastanza carichi per questa nuova avventura. Il nostro rapporto in casa non penso cambierà minimamente perché, già da atleti, c’era uno scambio di informazioni senza dover dare effettivi consigli a lei. Il rapporto fra allenatore e atleta nel corso degli ultimi anni è evoluto parecchio visto che l’atleta non esegue più e basta. L’allenatore moderno deve sapere ora fare uno scambio con gli atleti, soprattutto quelli più esperti, perché le vere novità e informazioni importanti arrivano da loro, non dalla mente dell’allenatore che deve solo organizzarle e metterle in pratica. Gli spunti più creativi arrivano sempre dai nuotatori più forti. I più talentuosi che sanno star in acqua, comprendere quello che stanno facendo, sanno darti quel feedback fondamentale per poi sviluppare i lavori da fare durante la stagione, soprattutto quelli più efficaci. Ciò sarà importante visto che avremo modo di farlo giornalmente. Ovviamente in casa non si parla soltanto di nuoto, ma anche di quello, questo è inevitabile.

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Fabio Scozzoli insieme a Martina Carraro in allenamento a Imola

Facendo un passo indietro a quando hai iniziato, ti saresti mai aspettato di chiudere la tua carriera con un titolo mondiale in vasca corta, diverse medaglie iridate e un primato europeo ancora attivo?

E’ difficile quando sei bambino aspettarti chissà cosa. Puoi sognare e inseguire. Ho cercato di fare scelte che nel corso degli anni mi dessero nuovi stimoli. Ho fatto scelte sbagliate dal punto di vista tecnico come quella di andar in Austria ad allenarmi, però sbagliate con il senno di poi, perché quando le ho fatte, le ho compiute con l’obiettivo di rimanere sempre al top. Ho sempre voluto attorno a me dei professionisti validi e che, come faccio io, dessero sempre il massimo. So di aver dato sempre il meglio di me stesso e di avere chi lo facesse come me. Qualche scelta sbagliata l’ho fatta, ma probabilmente ciò mi ha consentito di rimanere al top fino a 34 anni.

Nel 2009, alle Universiadi, hai battuto per la prima volta il primato nazionale sui 100 metri firmato da un mostro del nuoto italiano come Domenico Fioravanti. Colui che con quel tempo ha conquistato l’oro olimpico a Sidney 2000. Come ti sei sentito in quel momento?

Non ho grossi ricordi di quel momento. Sono una persona che vive abbastanza il presente e non si guarda tanto indietro. Ho bei ricordi comunque di quella trasferta perché ottenni dei risultati che non ero stato in grado di fare durante tutta la stagione e mi hanno permesso di inserirmi in questo ambiente internazionale e cominciare ad esser fra i primi in Europa e al mondo. Era un po’ l’obiettivo che uno sempre si pone, anche se non ci pensi direttamente. All’epoca avevo come allenatore Tamas Gyertyanffy che pretendeva molto e ti faceva anche sognare. Non ti poneva limiti e io non me ne sono mai posti e per questo sono riuscito a centrare questo risultato.

Quanto ti ha ispirato nel corso della sua carriera una figura come lui e le sue prestazioni? Un atleta che ha comunque segnato la storia del nostro movimento natatorio che, prima del 2000, faticava maggiormente.

Devo ammettere che Fiore lo conosco personalmente ed è stato un grande per tutti noi. Ha avuto una carriera estremamente breve perché si è poi dovuto ritirare per i suoi famosi problemi al cuore. Quando andava forte però ero troppo piccolo e ho visto troppe poche gare per potermi ispirare a lui. Il mio idolo dell’epoca era Kōsuke Kitajima perché ha fatto doppietta ad Atene 2004 e a Pechino 2008 per cui, per chi si approcciava al mondo della rana, era il re e la massima fonte d’ispirazione a livello tecnico complice la pulizia e l’efficienza natatoria che possedeva. Io penso che la mia generazione sia nata ispirandosi a lui.

L’oro di Domenico Fioravanti alle Olimpiadi di Sidney 2000

Nella tua carriera hai avuto modo di affrontare probabilmente una delle generazioni più vincenti della storia della rana mondiale con la presenza di atleti come Cameron Van der Burgh, Alexander Dale Oen, Adam Peaty e Niccolò Martinenghi. Questa presenza così vasta di campioni ti ha impedito in parte di vincere di più di quanto tu abbia fatto?

Tutto ciò fa parte dello sport. Ho fatto il massimo che potevo, sono stato sfortunato in certe occasioni, ma credo che ciò sia legato alle mie condizioni fisiche. L’infortunio nel 2013 a 25 anni, quando potevo avere ancora tre o quattro anni a quel livello, mi ha impedito soprattutto di avere la seconda occasione olimpica a Rio de Janeiro, perché ci ho messo tanti anni a ritornare e questo è il mio rimpianto più grande. Ho sempre pensato che avere avversari forti di valore, dia al tempo stesso valore alle tue imprese. Non eliminerei nessun avversario di quelli che ho affrontato perché ho avuto l’onore di attraversare ere come quella di Kitajima, quella purtroppo breve di Dale Oen, quella di Van der Burgh, di Adam Peaty, che saranno ricordati tra i più grandi della rana. Io ho avuto la fortuna di gareggiarci assieme, sono stato spesso battuto, qualche volta li ho battuti e posso dire di essermi divertito.

I tuoi più grandi rimpianti sono probabilmente la partecipazione ai Mondiali di Roma 2009 e la medaglia olimpica sfuggita a Londra 2012. Cosa è mancato per giungere a questi traguardi e come vivi l’assenza di questi successi?

La partecipazione a Roma 2009 direi di no, perché ero giovane e quella mancata qualificazione è stato probabilmente parte di un percorso di crescita. Forse non ero nemmeno pronto. Fossi andato ai Mondiali forse non avrei nemmeno raggiunto la finale e sarei stato uno dei tanti, cosa che non mi è mai piaciuta perché ho sempre voluto partecipare alle manifestazioni ed essere fra i protagonisti. Per quanto riguarda Londra sicuramente sì perché è stata la mia unica occasione olimpica, l’ho “sprecata”, però una gara può andare male. Il mio rimpianto più grande non è tanto la mancata medaglia, ma non avere la seconda occasione a Rio che poteva esser l’Olimpiade della maturità. Per come sono avanzate le tecniche di allenamento, la preparazione a secco, la prevenzione, sicuramente la vita dei nuotatori si è allungata, però Rio rimane il mio più grande rimpianto.

Dopo il grave infortunio al ginocchio hai letteralmente vissuto una rinascita, battendo addirittura Peaty agli Europei in vasca corta 2017 e fissando il nuovo primato europeo. Ci racconti come è emersa questa tua “seconda vita”?

Non ho mai mollato. Ho sempre avuto una buona serenità in quello che facevo nonostante gli anni 2015-2016 sono stati tosti. E’ sempre stato impegnativo, ma in quegli anni ho inseguito una sensazione che non riuscivo a trovare. A cavallo fra il 2014 e il 2015 sono passato sotto la guida tecnica di Dirk Lange che era l’allenatore di Cameron Van der Burgh quindi del campione olimpico in carica. E’ stata un’esperienza bellissima che però da un punto di vista agonistico ha dato pessimi frutti. L’anno dopo ancora inseguendo questo sogno ho fatto una scelta sbagliata, quella di tornare dal mio vecchio allenatore Tamas Gyertyanffy perché un atleta cerca certezze. Il problema è che non hai più 20 anni, il tuo corpo è cambiato, i suoi metodi d’allenamento sono sempre gli stessi e, sei andato via la prima volta, forse ti sei dimenticato, ma i motivi c’erano. Quella è stata la stagione peggiore, quella di Rio, dove non riuscii a qualificarmi e nuotai addirittura 1’01” agli Europei di Londra. Lì ho resettato tutto, ho deciso di tornare a Imola dove ho ritrovato la serenità e nel frattempo Cesare Casella aveva acquisito le sue certezze ripartendo con un bel percorso e i risultati si videro subito visto che nel dicembre 2016 vinsi il bronzo nei 100 metri rana ai Mondiali in vasca corta a Windsor. Quello è stato il mio vero rilancio. Quella stagione è stata ottima perché in vasca lunga tornai a nuotare 59”5 a fine anno e sotto 27” sui 50 per la prima volta. La stagione dopo ancora meglio, Copenaghen è stato un bellissimo europeo. Ho ottenuto degli splendidi risultati migliorando i miei tempi a 29 anni dove nessuno se lo sarebbe mai aspettato e sono tornato a divertirmi davvero. Sono tornato al top dove volevo stare e pensare di poter stare. E’ stato quasi un sollievo più che un’emozione inaspettata, come quello della prima volta perché il lavoro che avevo fatto aveva dato i suoi frutti, sapevo di aver fatto la scelta giusta ed essere sulla strada giusta.

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Fabio Scozzoli vince gli Europei in vasca corta a Copenaghen nel 2017

Guardando le tue prestazioni, sei spesso emerso maggiormente a livello internazionale nella vasca da 25 metri rispetto a quella da 50. A parità di distanza, cosa ti spingeva ad andar più forte nelle competizioni che prevedevano la prima tipologia di impianti?

Ciò vale soprattutto nella seconda parte di carriera perché, per cercare di tornare ad alti livelli, ho migliorato molto la mia preparazione fisica, facendo anche errori che mi hanno portato ad avere discreti infortuni, però l’intensità che raggiungevo era estremamente alta. Non mi sono mai risparmiato. Ciò si rifletteva sulle parti tecniche come la partenza, dove sono sempre stato forte, ma è diventato il mio cavallo di battaglia, le virate, le subacque e ciò di conseguenza mi portava ad esser più forte in vasca corta. Nella prima parte di carriera sinceramente mi esprimevo ugualmente in entrambe le vasche in ugual modo. Va considerato però che per l’80% ci alleniamo in vasca corta perché Imola non ha la vasca da 50 se non scoperta e poi andiamo a Ravenna tre volte la settimana, che però sono sempre tre allenamenti su nove. E’ inevitabile che ti venga di esprimerti meglio nella vasca che conosci di più perché sei più abituato a certi meccanismi e a certi tipi di lavori. Quando ti alleni con maggior intensità per esempio sei più abituato e di conseguenza ciò mi ha portato ad aver risultati migliori nella vasca da 25.

All’inizio della tua carriera non ti sei concentrato solo sulla rana, ma hai ottenuto ottimi risultati anche nei misti. Cosa ti ha spinto a concentrarti su una specialità soltanto?

I misti li ho sempre fatti come conseguenza perché, soprattutto nella prima parte della mia carriera, quando mi allenavo con Tamas Gyertyanffy nuotavamo moltissimo questa specialità, quindi facevo anche i 200 farfalla e i 200 misti, vincendo parecchie medaglie ai Campionati Italiani Assoluti. I misti mi venivano comunque bene ed ero competitivo perché avevo un’ottima frazione a rana dove ho sempre avuto qualcosa in più. Il punto è che in vasca lunga i misti partono dai 200 ed ho sempre faticato a chiudere le gare su queste distanze. Questo accadeva probabilmente per una questione genetica perché sono un velocista, anche se un po’ atipico visto che ho sempre nuotato tanto allungando sulle distanze. Però ciò che mi viene naturale è la velocità e per questo andando avanti con gli anni abbiamo accantonato i misti. Devi infatti specializzarti di più, abbassare i volumi di allenamenti e ciò che tagli sono le cose superflue, cercando quindi di mantenere i lavori di qualità solo nel tuo stile principale.

Qual è stato il più bel successo della tua carriera?

Ultimamente mi è capitato molto spesso di pensare a questa domanda e ogni volta rispondo sempre il mio primo Europeo a Budapest nel 2010, perché arrivai a quella competizione con l’obiettivo di andar a podio sui 100 essendo gara olimpica ed essendo quindi quella su cui focalizzavo principalmente la mia preparazione. Lì è venuta fuori la mia vocazione alla velocità quasi naturale e, vincendo quella medaglia, ero soddisfatto perché avevo centrato il mio obiettivo. A fine settimana ci furono i 50 ed entrai con entusiasmo senza grandissime aspettative e mi trovai particolarmente competitivo. Toccare la piastra per primo fu una bella sorpresa, anche perché le emozioni più belle sono quelle che non ti aspetti. Quando raggiungi un certo livello e lavori per riconfermarti o comunque per ottenere obiettivi per cui stai lavorando è emozionante, ma soprattutto è quasi un sollievo, mentre l’emozione della sorpresa è sempre la più forte. Quando mi girai e vidi che avevo vinto, l’Inno di Mameli che suonava per me per la prima volta è stato veramente emozionante.

A proposito di Martinenghi, Niccolò rappresenta attualmente la realtà più bella della rana italiana. Lui ha già conquistato delle medaglie olimpiche, ma ora dove può arrivare?

Niccolò, per quanto sia ancora molto giovane, lo ritengo abbastanza maturo fisicamente e credo che abbia raggiunto l’apice. La vera bravura è ora quella di mantenersi. Un po’ il fatto che Peaty si sia allontanato dalle competizioni e difficilmente rientrerà, lo pone fra i favoriti, è inevitabile. Sono curioso di vederlo a questo Mondiale perché lo scorso anno veniva dalla stagione post-olimpica ed era ancora sull’onda dell’entusiasmo. Peaty non c’era e per questo era chiamato a vincere e ha vinto per cui è stato bravissimo senza particolari progressi cronometrici facendo i tempi della stagione prima. E’ chiaro che a 24 anni non puoi esser arrivato al tuo massimo, i margini di miglioramento ci sono, però non è facile trovarli. Con il suo allenatore si conoscono da una vita e credo che a una certa età, anche per tenere alta l’asticella, sia necessario spostarsi. Non è ciò che gli auguro, ma potrebbe arrivar a un punto dopo le Olimpiadi di Parigi 2024 in cui punterà a cambiare e riterrei che siano scelte giuste. Nella vita di un atleta non è tanto difficile performare durante una gara, ma giornalmente perché le competizioni sono la conseguenza di quello che fai durante l’anno. Per tenere alta l’asticella tutto l’anno, devi aver un buon gruppo d’allenamento, qualche novità ogni tanto come può esser un nuovo atleta che viene ad allenarsi con il gruppo e anche esperienze fuori dalla tua routine. Ritengo questo sia ciò di cui abbia bisogno Niccolò. Durante quest’ultima stagione è stato un po’ in difficoltà perché ha spinto tanto durante questi anni e noi siamo persone che avviciniamo il limite e a volte lo superiamo, ma prima o poi il corpo ti presenta il conto.

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Simone Cerasuolo impegnato agli Europei di Roma 2022

In conclusione, secondo Fabio Scozzoli ci sono altri ranisti in Italia che in futuro potrebbero emergere nel panorama internazionale?

La rana è uno degli stili con uno dei panorami più promettenti dell’intero movimento. Tolto Niccolò, gli altri si allenano tutti con me. Come Federico Poggio che è riuscito a battere Martinenghi e ha fatto un gran tempo sui 100. Lui è competitivo solo in vasca lunga perché è estremamente leggero, perde tanto su tutti i momenti non di nuotata quindi partenza, subacquea e virata, pesando venti chili in meno degli altri. Però anche lui ha bisogno di far un altro step in avanti per esser a livello dei migliori, soprattutto dal punto di vista mentale visto che il talento c’è. L’altro è Simone Cerasuolo che è un velocista di natura per cui i 100 in vasca lunga fa un po’ fatica a chiuderli, ma c’è del buon materiale su cui lavorare. Oltre a loro c’è Alessandro Pinzuti che ha fatto 59” basso un paio d’anni fa e deve ritrovare solo la strada giusta. Dietro Niccolò c’è quindi un buon movimento promettente.

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Marco Cangelli
Giornalista presso la testata online "Bergamonews" e direttore della web radio "Radio Statale", sono un appassionato di sport a 360 gradi. Fondatore del format radiofonico "Tribuna Sport" e conduttore del programma "Goalspeaker", spazio dal ciclismo all'atletica leggera, passando per lo sci e gli sport invernali

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