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Classic F1: la Lotus di Colin Chapman, sinonimo di rivoluzione

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Quella di Colin Chapman è senza dubbio una delle figure alle quali la Formula 1 deve tanto.
Il carismatico patron e fondatore della Lotus, un personaggio tanto geniale quanto lungimirante, ha lasciato attraverso il suo team un’impronta impossibile da cancellare.

Anthony Colin Bruce Chapman, il fondatore della Lotus

Soprattutto tra gli anni sessanta e ottanta, la scuderia di Hethel è stata il fulcro di alcune delle più importanti rivoluzioni tecniche della storia della massima categoria, a volte facendo uso anche di particolari conoscenze tecniche. Di ciò, innanzitutto, ne è la dimostrazione la Lotus 25.

LOTUS 25: la monoscocca

Jim Clark con la 25 a Monaco, dove colse la sua prima Pole Position in carriera

Tale vettura, progettata nel 1962, e che in 2 anni riuscì ad accaparrarsi il titolo mondiale piloti con il leggendario Jim Clark, coincide con l’approdo nella massima formula del telaio monoscocca, mai usato prima dalle altre scuderie.
Ebbe un ruolo fondamentale nel concepimento della 25 il progettista dei telai Lotus Mike Costin. Il progetto fu il frutto dell’applicazione di nozioni in campo aeronautico che portarono alla realizzazione della monoscocca: la sua costituzione in lega leggera riuscì a garantire alla vettura una maggiore rigidità e una struttura (chiamata anche a ‘vasca da bagno’) più resistente rispetto alle concorrenti dell’epoca; infatti, il telaio risultava circa tre volte più rigido dell’antecedente Lotus 21, nonostante il peso fosse inferiore di circa la metà. La 25 fu dunque un grosso passo in avanti dal punto di vista aerodinamico, data la bassa resistenza all’avanzamento offerta dal corpo vettura. Ma questo è stato soltanto il preludio rispetto alle successive intuizioni.

LOTUS 49: il motore con funzione portante

Jim Clark a bordo della 49 motorizzata Cosworth-Ford DFV

Infatti, cinque anni più tardi, con la Lotus 49, la scuderia britannica introdusse il motore con funzione portante.
Antefatto: con l’entrata in vigore della cilindrata massima dei motori aspirati a 3000 cc, tra i top team quello più in difficoltà risultò essere proprio la Lotus.
Fu questa situazione a generare nella mente di Chapman l’idea di collaborare con la Cosworth, azienda specializzata in motori da competizione, fondata tra l’altro proprio dal sopracitato Mike Costin e Keith Duckworth, anch’esso un ex dipendente Lotus rimasto in ottimi rapporto con Colin (da notare che Cosworth non è altro che la fusione dei cognomi dei fondatori, ndr). Ma c’è dell’altro: Chapman contattò anche la Ford (che era parallelamente l’acerrima avversaria con la sua GT40 della Ferrari alla 24 ore di Le Mans). Tutto ciò portò ad un accordo siglato tra Cosworth e Ford, avente come oggetto una collaborazione per la produzione del motore di Formula 1 che nel 1967 sarebbe stato fornito in esclusiva alla Lotus.
La 49, che risulterà dunque essere la prima vettura di Formula 1 ad essere spinta da tale motore, presentava quindi un design rivoluzionario, grazie alla particolare configurazione del motore e del telaio: il primo diventerà così membro strutturale capace di sostenere il resto della scocca, da un lato, e le sospensioni e il cambio dall’altro. La portata di questa innovazione fu tale che, da allora, tutte le auto di Formula 1 furono concepite seguendo tale principio.
Quanto ai risultati in pista, a livello prestazionale si assistette ad un notevole cambio di passo, tale da portare la Lotus a fare incetta di pole position. Ma lo scotto da pagare, come d’altronde accade sempre all’inizio di nuovi progetti, era quello dell’affidabilità. I numerosi ritiri consegnarono dunque la vittoria iridata a Denny Hulme, su Brabham-Repco. Ma era chiaro che in un modo o nell’altro la Lotus sarebbe emersa definitivamente. Infatti nel 1968 arrivò al successo con Graham Hill, che divenne caposquadra a causa della morte del fenomenale Jim Clark in una gara di Formula 2.
Nel frattempo, nel corso della stagione 1969, il team provò anche, attraverso la Lotus 63, a introdurre la trazione integrale, un sistema che tuttavia non si rivelò proficuo nonostante Chapman fosse estremamente fiducioso della riuscita del progetto. La Lotus 63 disputò appena 7 gran premi, senza risultati di rilievo.

LOTUS 72: il rivoluzionario spostamento dei radiatori

Jochen Rindt a Monza con la 72, prima del crash alla Parabolica (World Copyright: LAT Photographic
Ref: 70 ITA)

Un’altra eredità della Lotus lasciata alla storia della Formula 1 è stata l’introduzione dei radiatori laterali. Infatti, fin dal 1950, i radiatori erano sistemati soltanto sul muso: con la Lotus 72, creata nel 1970, essi cominciarono ad essere posti sui lati della vettura in apposite fiancate, aggiungendo inoltre una presa d’aria per il motore realizzata sopra la testa del pilota. Queste novità sono state estremamente utili, in quanto nel corso degli anni il motore cominciò ad essere posizionato alle spalle dei pilota, e il posizionamento del radiatore sul muso dell’auto, a causa del relativo aumento della lunghezza dei vasi di espansione, portava a problemi di circolazione dei fluidi. Chapman risolse tale problema con lo spostamento dei radiatori ai lati dell’auto, subito davanti al motore, garantendo una adeguata ventilazione, evitando così ricadute in negativo dal punto di vista dell’affidabilità.
E questo determinò un ulteriore vantaggio: dal punto di vista dell’aerodinamica, senza il classico radiatore anteriore, era divenuto possibile assottigliare il muso, riducendone in modo esponenziale la sezione frontale e di conseguenza offrendo meno resistenza all’aria. Tale introduzione ebbe importanti risvolti anche per il raggiungimento di velocità di punta più elevate nei rettilinei.
La vettura, tra il 1970 è il 1975, farà incetta di vittorie e di titoli mondiali, il primo dei quali sarà ottenuto nell’anno di debutto della Lotus 72 dall’austriaco Jochen Rindt, che passerà alla storia come l’unico campione del mondo postumo, in quanto perse la vita in un incidente all’entrata della Parabolica nel corso delle qualifiche del Gran Premio d’Italia della medesima stagione.
La Lotus 72 otterrà ulteriori affermazioni iridate nel 1972 e nel 1974 con il brasiliano Emerson Fittipaldi.

LOTUS 79: la wing car che cambia il volto della categoria

Mario Andretti seguito da Ronnie Peterson a bordo della 79 griffata John Player Special

Ad ogni modo, l’apoteosi della genialità del team di Chapman fu raggiunta con la Lotus 79. Tale vettura spiccò per una specifica particolarità: lo sfruttamento dell’effetto suolo.

La 79 non arrivò all’improvviso, ma soltanto dopo un lungo studio cominciato nel 1975. Infatti Chapman incaricò alcuni tecnici di spicco in forza alla scuderia, con i quali collaborò al fine di progettare una monoposto innovativa: Peter Wright, Martin Ogilvie, Tony Rudd e Geoff Aldridge.
Si sentiva la necessità di dare una svolta tecnica alla squadra, dopo anni di magra nei quali si era assistito invece ad un dominio firmato Ferrari e McLaren.

L’idea alla base della nuova vettura era quella di applicare aerodinamicamente un principio antico: l’effetto Venturi.
Tale fenomeno, studiato e codificato dall’omonimo fisico italiano noto sin dalla fine del Settecento, fu adottato dalla scuderia inglese concependo la monoposto come un’ala rovesciata (da qui la classica denominazione di wing car), sagomando il sottoscocca della vettura, e in particolare i pontoni laterali che contenevano i radiatori. La sagomatura avvenne in maniera tale da ricavare un profilo alare rovesciato che in presenza delle minigonne laterali (ossia appendici aerodinamiche mobili che agiscono a serranda) finiva col creare un condotto convergente-divergente, ossia il ‘condotto di Venturi’. L’aria convogliata avrebbe subito quindi un’ accelerazione dall’interno, provocando un sensibile decremento della pressione statica, che si traduceva in un aumento della deportanza.
In pratica, l’effetto che si voleva andare a creare era quello di avere una vettura in grado di percorrere le curve rimanendo perfettamente incollata al suolo, accusando soltanto un trascurabile incremento dei valori della resistenza aerodinamica.
La Lotus 79 rappresentò dunque La rivoluzione della Formula 1, attraverso quattro punti chiave: effetto suolo, condotto di Venturi, minigonne e concetto di Wing car.
Le concorrenti non poterono fare altro che adeguarsi all’impressionante evoluzione tecnologica portata da Chapman & co.
Un’evoluzione tecnologica che naturalmente doveva essere accompagnata da piloti all’altezza della vettura anglosassone. Nonostante un non brillante debutto nell’International Trophy di Silverstone, una gara tuttavia non valida per il mondiale, sin dal Gran Premio del Belgio (weekend in cui la 79 prese le redini di una seppur tecnicamente interessante, ma non troppo redditizia Lotus 78), vinto dall’italo-americano Mario Andretti, per gli avversari non ci sarà più scampo. Quest’ultimo infatti andrà serenamente a vincere il suo unico mondiale in carriera, in una stagione, quella del 1978, che purtroppo fu segnata dalla morte di Ronnie Peterson, l’altra talentuosa guida della Lotus, conseguente alla carambola avvenuta durante la partenza del Gran Premio d’Italia, proprio quello che durante la sua seppur breve carriera gli diede le maggiori soddisfazioni.
La 79 diventerà celebre per le sue forme proporzionate e per la livrea nera/oro dello sponsor John Player Special che la contraddistingueva, tanto da vedersi attribuita il soprannome di ‘Black Beauty‘.

La Black Beauty

LOTUS 88: il doppio telaio che ha fatto discutere

A ben vedere, la massima estremizzazione dell’utilizzo dell’effetto suolo avvenne con la Lotus 88, che però fu al centro di una vicenda alquanto controversa che portò alla sua proibizione da parte della federazione.
Ma la peculiarità rivoluzionaria di questa vettura era un’altra: l’utilizzo del doppio telaio.
Questa soluzione, tuttavia, non può essere spiegata senza una fondamentale precisazione: le vetture che sfruttavano l’effetto suolo erano diventate talmente efficienti e veloci che i piloti soffrivano tremendamente le forze di gravità laterali che si generavano in curva e in frenata, e la deportanza garantita dell’effetto suolo era così elevata da portare ad una estrema riduzione delle superfici alari e molto spesso l’eliminazione in quelle anteriori, rendendo con ciò pericolosissime le vetture in caso di rottura improvvisa di una minigonna con conseguente diminuzione della deportanza. La federazione dunque, al fine di salvaguardare la sicurezza dei piloti (che venne meno soprattutto nel caso della morte di Patrick Depailler in Germania), abolì le minigonne scorrevoli poste sui fianchi delle vetture, ma che erano fondamentali per la generazione delle effetto suolo. A questo punto il regolamento ora imponeva una distanza minima di 6 cm dal suolo di qualunque parte della massa sospesa della vettura.

Elio De Angelis si appresta a salire sulla 88, durante le prove libere di Silverstone nel 1981, prima che la vettura venisse definitivamente bandita

Partendo da questo presupposto, la soluzione del doppio telaio da parte della Lotus fu piuttosto controcorrente. Il doppio telaio infatti era necessario per modificare l’altezza della vettura dal suolo in fase di movimento. I due telai erano posti uno interno all’altro e ammortizzati in modo indipendente. Quello interno ospitava l’abitacolo, mentre quello esterno avrebbe dovuto sostenere la pressione causata dall’effetto suolo. Quindi la carrozzeria risultava mobile, essendo appoggiata agli ammortizzatori, uno per ruota, e fissati ai braccetti inferiori delle sospensioni. La pressione dell’aria agiva sulle ali e sulla carrozzeria facendo abbassare essa e non il telaio, fino a sfiorare il suolo e andando a ricreare l’effetto Venturi.
Le problematiche della vettura non furono certo determinate dalle prestazioni in pista, ma dalle questioni legali dalle quali essa fu circondata. La federazione trovò un cavillo normativo che portò alla definitiva abolizione dell’88, non solo per la decisione di Balestre, capo della federazione, ma anche per la pressione che naturalmente esercitarono gli altri team, tra i quali spiccò la Brabham, in quanto l’allora manager Bernie Ecclestone voleva vendicare l’abolizione della mitica vettura ‘a ventilatore’ dopo la vittoria del Gran Premio di Svezia del 1978, una decisione avvenuta soprattutto per volere dello stesso Chapman.

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Tommaso Palazzo

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