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Caserta Campione, ovvero come rimanere “scugnizzi per sempre”

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“Scugnizzi per sempre” è la docu-serie disponibile su RaiPlay che racconta dall’interno la parabola della leggendaria Juvecaserta, culminata con lo scudetto 1991.

La pallacanestro è uno sport tanto spettacolare quanto, spesso, cattivo. O perlomeno, che lascia pochissimo spazio alle cenerentole di turno, dando vita spesso al predominio di una schiacciasassi. Così è la storia del nostro basket, caratterizzato dalla strapotenza del Nord. Basta dare una rapida occhiata all’albo d’oro del campionato italiano: Milano, Bologna, con inserimenti delle varie Varese, Cantù, Venezia, Treviso, Siena e qualche altra. Le uniche titolate a non poter essere accorpate al Settentrione sono Roma e la recente Sassari. Mai, però, la nostra palla a spicchi aveva sorriso ad una realtà dell’Italia del Sud. Questo è il motivo per cui lo scudetto di Caserta del 1991 rappresenta un unicum nella storia della pallacanestro italiana.

L’alba della leggenda Juvecaserta

Nonostante la fondazione della Juvecaserta risalga al 1951, la storia vera e propria parte dagli anni ’70, quando al timone della società arriva l’illustre imprenditore Giovanni Maggiò. Sarà lui, nel decennio successivo, insieme al direttore Giancarlo Sarti, a costruire le fondamenta di quella squadra diventata leggenda. Gli sponsor danno il loro contributo e in Campania arrivano l’allenatore Boscia Tanjević e nientemeno che Oscar Schmidt, una macchina da punti e uno dei più grandi sudamericani di sempre.

Oscar Schmidt, alla Juvecaserta dal 1982 al 1990 © Athleta Mag

Da lì, gli anni Ottanta sono una costante ascesa verso i piani alti del basket nostrano. Di fondamentale importanza è il vivaio, che la Juvecaserta ha sempre coltivato nel tempo. Dalle giovanili, arrivano due ragazzini niente male, entrambi casertani doc e legati visceralmente a quella palla a spicchi che portano ovunque: Nando Gentile ed Enzo Esposito. Con loro, poi, giusto per dare l’idea, Sandro Dell’Agnello e Sergio Donadoni. Nomi che fanno tornare il cuore in gola solo a rileggerli.

Sono anni in cui Caserta si erge a paladina del Meridione d’Italia, unica realtà sotto il parallelo di Roma in grado di arrivare a giocarsela con la Virus Bologna e l’Olimpia, autentici rulli compressori. Tutto intorno, il nulla o quasi.

Proprio contro Milano, Caserta giocherà tre serie scudetto, perdendo le prime due nel 1986 e nel 1987 e arrivando poi al tanto agognato titolo nel 1991. Lo stesso anno tanto santificato, giustamente, dalla Sampdoria del calcio. Gentile ed Esposito come Vialli e Mancini, con tutti i distinguo del caso.

I festeggiamenti dello scudetto 1991 © La Repubblica

La nuova Reggia di Caserta

Caserta e il suo presidente-condottiero sono riusciti a costruire qualcosa che non c’era mai stato e chissà se potrà mai più esserci. Il PalaMaggiò, inaugurato nel 1982, è stato il fortino della Juve cestistica per tutti quegli anni: ogni settimana, tutto pieno. E se è vero che la Capitale non è stata costruita in un giorno, la nuova Reggia della pallacanestro fu edificata comunque nel giro di un centinaio di giorni.

Caserta era però in un limbo che stava diventando angosciante: tante vittorie, tanti passi avanti ma il risultato veniva sempre e solo sfiorato. Sudditanza degli arbitri al cospetto delle grandi potenze del basket, diceva qualcuno; la maledizione o il malocchio, sentenziavano altri. La Juvecaserta stava diventando quella squadra che tra le mille difficoltà del Sud Italia riusciva a giocarsela, pur senza mai vincere. Un gruppo di scugnizzi che volevano far saltare il banco, come quei bambini che giocano a fare le cose dei grandi. Era adorabile agli occhi dei magnifici potenti del Nord. Ma Caserta non voleva essere simpatica, anzi, voleva diventare antipatica, se questo significava portare a casa le coppe e i titoli.

La morte del presidente Maggiò scosse la città e tutta la comunità cestistica casertana. La svolta fu, però, dopo qualche malumore, quando Oscar Schmidt diede l’addio alla squadra. Un omone venuto dal Brasile non per colpire la palla con i piedi come tanti suoi connazionali ma per far muovere quella retina con un pallone ben più pesante.

Finalmente campioni

È la stagione 1990/1991. Guidata da Franco Marcelletti, che ormai da qualche anno ha sostituito coach Tanjevic, Caserta accoglie due extra-terrestri venuti da oltreoceano: Tellis Franck dagli Heats e il compianto Charles Shackleford dai Jets. Impatto devastante, sia dal punto di vista culturale (la capigliatura di Shack fu copiata anche da Esposito!) che, soprattutto, sportivo. La finale scudetto 1991 si concluse con gara 5, a Milano. Per l’ennesima volta, tra la Phonola di Marcelletti e il sogno diventato ormai ossessione, c’era la Philips di Mike D’Antoni.

Il 21 maggio, Caserta era una città vuota. Chi non era salito sul treno dei desideri diretto al Forum, era a casa davanti alla televisione ad aspettare con trepidazione la palla a due. Si percepiva che era diventata una questione di vita o di morte, per esagerare. Alla fine, alla sirena, è 97 a 88. La storia della pallacanestro italiana seguì una rotta che non aveva mai preso prima: una squadra rappresentante una cittadina di 70.000 abitanti del Sud Italia si era imposta contro la grande corazzata dell’industrializzato Settentrione. Davide aveva battuto Golia. E quei ragazzi, a prescindere dalla loro provenienza geografica, erano diventati tutti magicamente casertani. Degli “scugnizzi per sempre“.

Immagine in evidenza: © Eurosport

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Giuseppe Bernardi

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