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Sandro Damilano racconta: “La marcia inizia dove finisce la corsa e la 50 km è la specialità più vera”

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Sandro Damilano tra passato, presente e futuro di una specialità, la marcia, tanto affascinante quanto storica. Con i ricordi di qualche anno fa e le perplessità legate alle decisioni delle organizzazioni internazionali sull’avvenire di questo mondo…

Gli inizi da allenatore di Sandro Damilano

Un uomo che ha iniziato seguendo i suoi fratelli, Giorgio e Maurizio. “La questione è stata casuale ma fortunata. Facevo il professore di educazione fisica alle medie di Scarnafigi, dove loro studiavano. C’erano i Giochi della Gioventù, in cui due ragazzi per provincia andavano alle finali a Roma. Giorgio l’aveva fatto l’anno prima sui 10 km e allora gli ho detto: “Vediamo se riuscite ad andare a Roma, così vi accompagno dato che non ci sono mai stato”. Era il 2 aprile 1972, la prima volta che si sono messi a marciare. Li ho seguiti, non sapevo nulla di marcia, io giocavo a calcio e avevo studiato all’ISEF di Torino. Fecero due mesi di allenamenti, classificandosi primo e secondo. A Roma arrivarono 18esimo e 24esimo. Da lì è cominciata la mia storia nella marcia”.

Iniziarono ad arrivare i risultati e questo significava che la strada intrapresa era quella giusta. “Come dico sempre, la mia fortuna è stata di non conoscere inizialmente la marcia e quindi ho studiato le metodologie dei fondisti e dei mezzofondisti. In quel periodo, i fondisti che andavano per la maggiore erano i finlandesi. C’era un piccolo opuscolo del loro allenatore e io ne ho preso spunto. La marcia italiana era basata su tanti chilometri fatti lentamente: io ho introdotto una concezione diversa, basata su un incremento del ritmo. Abbiamo girato praticamente tutto il mondo, soprattutto ci siamo fermati in Messico: atleti come Bautista e Gonzalez, in quel periodo, erano i più forti al mondo. La prima volta che sono andato in Centro-America mi avevano dato dei videotape, allora si chiamavano così. In sostanza una valigia che pesava 30 kg per registrare tutti gli esercizi e la tecnica dei messicani. Ed è così che ho iniziato a studiare“.

Studi e metodologia

Gli studi sono stati una componente essenziale del percorso di Sandro Damilano. “Nell’ultimo periodo, ho letto due libri sull’allenamento nella maratona. Uno sull’allenamento del primatista del mondo Eliud Kipchoge, che si prepara in una maniera tutta sua. Il secondo su Evans Chebet, che ha vinto quest’anno a Boston, e si allena in modo completamente diverso da Kipchoge. Poi, però, ottengono più o meno gli stessi risultati. Questo fa capire che una metodologia può essere ottima per un atleta, ma non per un altro. Da un punto di vista tecnico, sostengo che nella marcia avere una buona tecnica che abbia un costo energetico molto basso, ti faccia guadagnare quei secondi o minuti che fanno la differenza tra un primo e un quinto posto”. E a proposito di maratona, l’ultima sfida per l’uomo sarà quella di scendere sotto il muro delle 2 ore, solo apparentemente insormontabile. “I record son fatti per essere battuti, quindi si arriverà sicuramente sotto le 2 ore; nella marcia la questione è molto diversa perché si possono fare dei grandi tempi ma è fondamentale la tecnica, altrimenti vieni squalificato“.

I rapporti con la nazionale cinese di marcia

Anche qui è stato un colpo di fortuna. A Pechino 2008, la nazionale italiana e il CONI avevano fatto base all’Università dello Sport di Pechino. Ce li avevamo affianco e lì il presidente della federazione cinese ha avuto modo di vedere come lavoravo. I miei Schwazer e Rigaudo presero rispettivamente l’oro e il bronzo mentre i loro atleti colsero due quarti posti. Così mi chiesero se potevano mandare in Italia alcuni loro atleti prima dei Mondiali di Berlino. Mi hanno affidato tre marciatori e uno di questi poi nella rassegna iridata ha vinto”.

Qualche nome per il futuro

Per l’Italia sicuramente Francesco Fortunato, Valentina Trapletti ed Eleonora Giorgi, oltre agli olimpionici Stano e Palmisano. Da seguire anche Alexandrina Mihai, che sta pian piano emergendo. A livello internazionale, vedo una stasi generale. Non ci sono giovani emergenti in grado di imporsi, sono sempre gli stessi a vincere. Si intravede qualcosa in Giappone e in Spagna. Il Messico cerca di risalire ma la scuola sovietica/russa, al di là di tutto, aveva un’ottima tecnica“.

Capitolo “a cinque cerchi”: la visione di Sandro Damilano

La novità di Parigi 2024 è data dall’abolizione della storica 50 km. “Io ho sempre sostenuto che la marcia debba cominciare dove finisce la corsa. Perciò la vera specialità della marcia è la 50 km, dove conta davvero tutto: l’allenamento, la capacità di resistenza e la tecnica. Non so se l’abolizione sia dovuto alla lunghezza eccessiva delle gare o a questioni pubblicitarie. Con i 35 km forse avevamo trovato la lunghezza di gara perfetta, sia per i ventisti che per i cinquantisti“.

La nuova staffetta a coppie miste sulla distanza della maratona sembra un voler mettere insieme tutti gli ingredienti per attirare pubblico, ma va considerato che è uno sport di resistenza e così non abbiamo un chilometraggio classico“.

E tutto ciò non può che attirare più di una perplessità. “Il discorso è che così facendo si unisce la velocità alla resistenza di base. Bisognerebbe rivedere le metodologie per il recupero dell’atleta dopo le gare. Può darsi che sia spettacolare, vedremo come agiranno i giudici… Però la mia paura è che, dal momento in cui sarà difficile valutare a una certa velocità il gesto tecnico, potrebbero arrivare al punto di eliminare la marcia dalle Olimpiadi“.

L’esperienza e l’obiettività di un uomo in marcia da una vita. “Ora ho 74 anni e gli anni cominciano a pesare fisicamente, i viaggi mi distruggono più di una 50 km. Dopo Parigi 2024, smetterò“.

Premi play per ascoltare l’intervista integrale a Sandro Damilano, pubblicata su “Atletica Viva”, il nostro podcast dedicato all’atletica leggera

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Giuseppe Bernardi

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